E quindi, dobbiamo davvero abituarci — o peggio, arrenderci — ai derby senza tifoserie rivali?
Salernitana–Cavese è soltanto l’ultimo esempio, in Italia, di un derby svuotato della sua essenza: una partita priva del suo sale, del suo spirito, di quella tensione sportiva che lo rende unico. Un derby “sterile”, in cui la gestione della sicurezza appare come un ostacolo insormontabile, quasi si trattasse di una questione di ordine pubblico nazionale. Vietare sembra essere diventata la soluzione. Ma vietare è davvero la soluzione?

Storicamente, la rivalità tra le due tifoserie è sempre stata oggetto di discussione: c’è chi la considera sentita, chi invece la ridimensiona. Negli ultimi anni, però, i cosiddetti leoni da tastiera hanno certamente contribuito ad alimentare il clima, esasperando contrasti che sul campo e sugli spalti avrebbero potuto rimanere in un sano contesto di competizione sportiva. Fatto sta che questo derby mancava dal 2007 — anno in cui l’Arechi fu teatro di un intenso botta e risposta di striscioni e sfottò, il cuore autentico di partite come questa. Chi sperava di rivivere quell’atmosfera oggi, tuttavia, sarà rimasto inevitabilmente deluso.

Se la curva ospiti grida nei posti vacanti e nel silenzio, la curva granata si presenta con un’ottima cornice di pubblico, nettamente più numerosa rispetto agli altri settori. La pioggia aggiunge mestizia per gli assenti e cade profusamente cercando di fermare anche il tifo di chi c’è, che però non ne vuol sapere di arrendersi. L’ingresso in campo delle squadre è accompagnato da una sciarpata, e il supporto canoro degli ultras non conosce pause: cori continui, buona coordinazione tra il settore basso e quello alto.

Si vedono segnali evidenti di ripresa in termini di partecipazione, nonostante il brusco passaggio dalla Serie A alla Serie C — un salto che avrebbe potuto tramortire anche i più appassionati. Il settore caldo della tifoseria ha saputo ricompattarsi, ritrovando entusiasmo e presenza. Certo, non siamo ai livelli dei tempi d’oro, quando l’Arechi ribolliva di cori, bandiere e coreografie capaci di suggestionare gli avversari già nel tunnel degli spogliatoi. Ma le differenze interne nate dopo la retrocessione e le inevitabili discrepanze tra chi vive il tifo con approcci diversi, non hanno cancellato il senso di appartenenza che unisce il popolo granata e la spinta univoca verso la causa comune, verso l’amore comune.

Sul terreno di gioco, il primo tempo offre poche emozioni, nonostante l’incitamento costante e qualche fumogeno acceso a riscaldare l’atmosfera. Nella ripresa, però, sembra di assistere a un’altra partita: la grinta aumenta, c’è un testa a testa di gol, il pubblico si infiamma, e un pizzico di quella rivalità sopita riemerge.

In segno di rispetto verso la tifoseria avversaria, non vengono esposti cori o striscioni provocatori. L’unico striscione presente è quello dedicato a Caterina, ultras blufoncé scomparsa pochi giorni prima del derby: un gesto semplice ma carico di significato, nonché prova tangibile che una partita come Salernitana–Cavese avrebbe potuto essere giocata anche con entrambe le tifoserie sugli spalti, senza che l’ordine pubblico dovesse trasformarsi in un dilemma o in una minaccia.

Dal punto di vista sportivo, la partita non delude: la Salernitana mostra solidità e qualità, confermando di essere una squadra fuori categoria, mentre la Cavese evidenzia segnali di ripresa rispetto alle gare precedenti, lottando con dignità e onorando i propri tifosi – tifosi che, pur impossibilitati a seguire la squadra, non hanno fatto mancare la loro presenza ideale. Una privazione che pesa quasi quanto la sconfitta: perché il calcio non è solo risultato, ma esperienza condivisa, emozione collettiva e senso di appartenenza. Tolto questo restano ventidue scemi in mutande che inseguono un pallone, come ebbe a dire qualcuno.

Alla partenza della squadra, infatti, i sostenitori blufoncé hanno salutato la stessa con cori, bandiere, fumogeni e striscioni lungo il tragitto autostradale: un rinnovato rituale per occupare nuove zone temporaneamente autonome alla Hakim Bey e che racconta la mentalità cavese, l’orgoglio, la coerenza e la testarda difesa di ciò che è anche identità territoriale non solo franchigia sportiva, marketing e pop corn.

Alla fine la vittoria della Salernitana fa esplodere la festa granata. Lo stadio si riaccende, in un grido impetuoso dopo mesi difficili, segno che la fede non conosce confini né categorie.

Un derby anomalo, sì, ma pur sempre un derby. Sicuramente intriso di malinconica bellezza, quella che solo le partite vere (con la presenza di entrambe le tifoserie) possono trasformare in splendore. La forza di queste sfide sta nella memoria, nella cultura popolare e nella passione che resiste, anche quando tutto intorno cambia.

Imma Borrelli