All’Arechi si trovano di fronte Salernitana e Pescara. Una sfida dall’antica rivalità, che vede protagoniste due squadre che ben hanno figurato nella prima parte del campionato, sebbene nelle ultime giornate i campani abbiano bruscamente frenato, perdendo posizioni in classifica e ricorrendo al cambio di allenatore, con l’avvento di Gregucci sulla panchina granata.

L’ormai classico sbarramento tra l’antistadio e il settore ospiti costituito da decine di container sovrapposti, viene eretto addirittura quarantotto ore prima del fischio d’inizio. Mentre il giorno della partita resterà come sempre chiusa la fermata della metropolitana “Arechi”. Scelte alquanto discutibili che, oltre ad evidenziare il perenne stato d’emergenza attorno a ogni evento calcistico, rendono parzialmente vana un’opera pubblica che al suo completamento avrebbe dovuto accorciare i tempi di percorrenza tra il centro storico e lo stadio.

Per il match in questione i tagliandi venduti sono circa 10.000. Numeri non da capogiro, ma sicuramente di tutto rispetto per una tifoseria che puntualmente vive sì campionati relativamente tranquilli, ma quasi mai in grado di trasmettere un sussulto, una speranza o un pizzico di adrenalina. C’è voglia almeno di sognare a Salerno, ma da qualche anno il tifoso granata è costretto a una mediocrità che non può, alla lunga, non logorare i più scettici.

La partita di oggi sarà la perfetta cartina al tornasole di quella che è la storia granata del recente passato. Una grande illusione seguita da una fragorosa – e malinconica – caduta nel vuoto. Osservando gli altri festeggiare.

Mi capita spesso di immedesimarmi nei tifosi di squadre come Salernitana, Genoa, Udinese, Torino e Bologna e pensare a quanto può essere frustrante non conoscere mai lo scalino successivo, il non saper mai uscire – almeno per mezza stagione – dalla sufficienza di chi ad ogni istanza ripete loro: “Eh ma io vi ho salvato!”. Come se questa poi fosse la panacea di ogni male o di ogni errore commesso successivamente.

Peraltro potremmo inserire in questo calderone anche il Pescara del buon Sebastiani. Perché se è vero che i supporter abruzzesi hanno rivisto due volte la Serie A negli ultimi anni, è altrettanto innegabile che queste apparizioni siano state alquanto sconclusionate e a tratte umilianti. Certamente mai ponderate seriamente e con lungimiranza.

La sconfitta fa parte del calcio. Anche quella rimediata rovinosamente e senza combattere. Ma se questa apatia diventa il marchio di fabbrica di talune società, non è facile per chi antepone i propri sentimenti ai meri calcoli economici/esistenziali accettarlo di buon grado e senza proferire verbo.

In riva all’Adriatico quest’anno si respira aria di alta classifica e sembrano esserci tutti gli ingredienti per una lotta al vertice fino all’ultima giornata. Ma già in tanti si chiedono: “E se saliamo cosa facciamo? Dobbiamo ritenerci retrocessi già in agosto. Perché se così fosse – non nasconde qualcuno – meglio restare in Serie B”.

Questo è uno dei tanti controsensi partoriti dal calcio italiano del 2019.

Tornando alla sfida di Salerno, la Sud pur non facendo registrare sold out presenta un bel colpo d’occhio, soprattutto nella parte inferiore. I campani si mettono in mostra con un gran bel tifo nel primo tempo: voce sempre presente con intensità e continuità, bandieroni al vento, solito repertorio canoro che attinge un po’ ai vecchi tempi e un po’ a nuovi tormentoni spesso partoriti proprio dagli ultras granata. Nella ripresa i tirrenici caleranno un po’, risentendo inevitabilmente del risultato, con i biancazzurri che ribaltano l’iniziale 2-0 vincendo per 4-2.

La Sud tutto sommato tiene anche botta, ma non può evitare di far sentire il proprio malumore, contestando i giocatori soprattutto dopo il triplice fischio.

Il grosso del contingente ospite si materializza a partita iniziata, accendendo il clima di rivalità al loro ingresso e scambiandosi diversi insulti con i dirimpettai. Dopodiché i pescaresi danno vita al loro solito repertorio da trasferta: tante bandiere, una sciarpata, belle manate e cori continui per tutti i 90′. Numericamente forse non sono i 300 annunciati, ma la qualità non manca e fondamentalmente questo è l’importante. Belle le esultanze.

Finisce così con due tifoserie dagli stati d’animo opposti. Una sfida che ha messo di fronte due realtà che personalmente ritengo una vera e propria certezza a livello di tifo. Con tutte le loro pecche o i limiti maturati negli anni, salernitani e pescaresi hanno comunque saputo tener viva la voglia di primeggiare all’interno degli stadi e questo – anche in partite anonime o dai risultati negativi – rende le rispettive prestazioni quasi sempre ben al di sopra della sufficienza.

Il freddo che comincia a farsi sentire quando il sole sta calando sul mare, mi invita a lasciare Salerno per tornare a casa e chiudere definitivamente quest’anno di partite e gradinate. Non potevo non salutare il 2018 con una classica del nostro movimento.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Andrea D’Amico.

Galleria D’Amico