La strada del rientro dalle vacanze mi offre l’invitante tappa dello Stadio Arechi, dove i granata sfideranno la Sampdoria. Una partita che riserva molti spunti sul piano ultras e mi dà l’opportunità di tornare a vedere i doriani in trasferta, su un campo dove ormai mancano da diversi anni. La passata stagione, infatti, furono solo i Fieri Fossato ad esporre la pezza, con gli altri gruppi ancora fuori per la capienza ridotta. Non a caso questa volta i biglietti venduti sotto la Lanterna sono oltre 500.

Una vasta coltre di nuvole nere dapprima minaccia il capoluogo campano e poi parzialmente lo investe con una copiosa pioggia. Tipico fenomeno piovasco estivo, che renderà i primi minuti letteralmente “bagnati” per poi svanire lentamente e lasciar spazio a un cielo in lenta ripresa. Come detto in passato, non amo la pioggia e soprattutto non amo la reazione del pubblico italiano alla stessa: più impegnato a coprirsi con mantelline e ombrelli che a tifare. Tuttavia risulta bello veder bandieroni e bandiere sventolate sotto l’acqua, un effetto molto scenico soprattutto per chi scatta in direzione dei tifosi. E devo pure dire che il breve acquazzone non inciderà minimamente sulle rispettive prestazioni canore.

Bando alle ciance: terminato il “pre partita-karaoke” si entra nel vivo del tifo. E oggi vorrei fare una considerazione sulla Sud di Salerno. Senza ombra di dubbio i granata sono tra le tifoserie che più ho avuto modo di vedere negli ultimi quindici anni. In casa e in trasferta. E me li sono trovati di fronte davvero in ogni categoria, dalla Serie D alla A, passando per Coppa Italia e spareggi per non retrocedere. Conosco il suo potenziale. Quindi si prenda con nesso logico quanto sto per scrivere.

Come già accennato in occasione della sfida inaugurale contro la Roma, da qualche tempo noto una certa difficoltà nel coinvolgere in maniera compatta tutto il blocco inferiore da cui nasce il tifo e – di conseguenza – anche quello superiore. Parto da un livello di giudizio molto alto: ho ancora davanti agli occhi prestazioni sublimi in cui gli ultras del Cavalluccio mettevano quasi in soggezione ospiti o Curve di casa. E penso che già prima dello stop per il Covid la Sud avesse perso qualcosa. Spesso oggi si ha come l’impressione che il settore tifi con il freno a mano, non riuscendo ad esprimere appieno tutto il potenziale.

Intendiamoci: parliamo di una grande Curva, che continua a fare la sua bella figura nel gotha del calcio italiano (anche grazie alla sempre perfetta realizzazione di coreografie che l’hanno resa celebre) e che soprattutto in trasferta riesce ad esprimere davvero alla grande il proprio valore. Eppure tra le mura amiche qualcosa sembra essersi inceppato, dilapidando sovente un potenziale stratosferico. La prestazione odierna ne è un perfetto esempio: con una Salernitana che macina gol e gioco, asfaltando la Samp per 4-0, l’Arechi si fa bello a tratti, non riuscendo a risultare assordante e festoso come ci si aspetterebbe in seguito a una quaterna che in massima divisione mancava dall’aprile 1999 (4-0 al Bologna).

Riflessione generale: la Serie A porta con sé tanti onori ma anche tanti oneri, tra cui un pubblico dal palato più raffinato. Ma in questa circostanza questo aspetto è influente solo in parte. Sembra un po’ come se in alcuni frangenti manchi la grinta e – di conseguenza – la continuità. Laddove c’era una Curva che almeno nel suo blocco sottostante a tratti faceva quasi paura per la compattezza e la potenza vocale, oggi c’è sicuramente un buon settore, che però a volte fatica e stenta a farsi sentire baldanzoso come ci si aspetterebbe.

Ma soprattutto una cosa che sembra un po’ mancare è la fantasia. Eh sì, lo so che questo è un male endemico per tutte le Curve dello Stivale, ma nel caso dei salernitani parliamo di una Curva che della creatività ha fatto davvero un marchio di fabbrica. Mi rimangono sempre negli occhi quelle immagini della Sud colorata e festosa all’inizio di ogni partita della Serie A ’98/99. So che sono passati oltre vent’anni e tante cose sono cambiate, ma diciamo che il vedere il cuore degli ultras tirrenici quasi sempre scarno di colore (salvo alcune belle sciarpate e le coreografie, chiaramente) all’ingresso delle squadre in campo fa uno strano effetto.

Un’analisi la mia, che forse è stata anche indotta dalla particolare giornata di verve avversaria. Quanto mostrato dai doriani nel settore ospiti è letteralmente uno spot per il nostro movimento ultras. Senza troppi slogan e senza troppi giri di parole, i blucerchiati hanno paradossalmente espresso grinta e rabbia, anche mentre la squadra veniva presa a pallonate. Un tifo, il loro, che non si è fermato neanche per un minuto e che è stato reso ancor più bello e particolare dall’incessante sventolio dei numerosi vessilli con i colori sociali.

Se è vero che del colore e del bel tifo i genovesi hanno sempre fatto dei cavalli di battaglia, è altrettanto vero che un po’ come tutti negli ultimi anni hanno accusato un importante calo numerico. Forse anche dovuto alle coerenti battaglie contro la tessera del tifoso, che per diverse stagioni li hanno tenuti lontani dai settori ospiti. Anche la radicalità della posizione sulla capienza ridotta certo non li ha aiutati a incrementare quei numeri. Probabilmente il tornare in trasferta, il tornare a tifare tutti nell’anello inferiore del Ferraris e l’avere come stimolo il confronto con i cugini genoani (anche loro in un ottimo momento dal punto di vista di presenze e tifo) è stato determinate per il ritorno su grandi livelli.

Nota di merito per il materiale: nell’epoca di striscioni sciatti, fatti male, stampati e privi di inventiva, la Gradinata Sud continua a sfoggiare striscioni, pezze e bandiere davvero di ottima fattura. E se a qualcuno ciò può sembrare affare da poco, rispondo dicendo che è proprio da queste cose che si evince la creatività, la dedizione e la voglia di primeggiare di una Curva.

Resta la grande immagine di passione e colore, che ormai difficilmente siamo abituati a vedere nei nostro impianti sportivi. E il fatto che in molti, lasciando l’Arechi – oltre ad applaudire giustamente i propri beniamini – làncino uno sguardo di ammirazione ai tifosi liguri, la dice lunga su quanto l’ambiente e il folklore in uno stadio giochino ancora un ruolo fondamentale per l’appagamento di chi lo frequenta.

Esco dallo stadio cominciando a maturare i punti cardine di questo articolo. Un confronto ultras che ha lasciato spazio a molte riflessioni e che ha messo di fronte due tifoserie che alla storia del mondo ultras hanno dato tanto e che forse oggigiorno vivono differenti momenti delle rispettive esistenze.

Salerno dopo tanto peregrinare, dopo l’onta del fallimento e del dilettantismo sembra aver trovato calcisticamente la propria quadra, con una società che sta lavorando in sordina ma senza lasciare nulla al caso. Certo, sarà il campo a parlare, ma le premesse ci sono. Ecco, chiudendo questo pezzo dico che nella vita è sempre importante riuscire a fermarsi per qualche minuto, guardarsi dietro e vedere a che punto si è. Se ci sono cose da correggere e migliorare. Fare autocritica se necessario. La differenza tra l’impantanarsi in sé stessi e il sapersi rinnovare è proprio questa. Perché uno stadio come quello salernitano rappresenta un valore aggiunto per la nostra decrepita Serie A e penso sia giusto e sacrosanto che risulti sempre al top delle proprie possibilità.

Testo Simone Meloni
Foto Salvatore Izzo