La parola “Salerno” è ormai un brandello dello striscione che penzola dalla balconata. Lo stadio si sta svuotando. I doriani continuano a cantare nella curva ospiti per la retrocessione scampata, più di mille cuori con le mani al cielo e i bandieroni che sventolano. La Curva Sud Siberiano è un non-luogo, dove il gruppo di ultras presenzia tra le macerie, tra quel che resta di quest’annata maledetta fino alla fine e oltre, come un flebile e persistente battito.

La partita è stata sospesa per il clima di tensione. Le tribune sono state le prime ad andare. Anche gli steward invitano a uscire, ripetendo con voce meccanica la stessa frase. Tra i seggiolini, biglietti strappati, bicchieri vuoti, bile sputata e sogni a pezzi. Le camionette della polizia circondano le uscite, ma il caos previsto all’esterno si disperde rapidamente.

Salernitana – Sampdoria è l’ultimo atto dei play-out di serie B, una metafora del ciclo della vita in cui una vive e l’altra muore. Questa serata allo stadio Arechi ha un retrogusto amaro, perché porta il peso di una stagione che termina con glorie e traguardi per qualcuno, ma anche e inevitabilmente con molte delusioni, soprattutto guardando la gestione balorda di proprietà varie e leghe calcistiche che, tra fallimenti e penalizzazioni, stanno vivendo, e di conseguenza stanno facendo vivere, l’ennesima annata di crisi.

I tifosi di casa si presentano divisi per scelte ideologiche e approcci differenti in una gara in cui, comunque la si affronti, qualcosa la si sbaglia e la si perde comunque. Un gruppo è all’esterno in protesta, l’altro è dentro, presente e motivato a salvare la Salernitana. I biglietti concessi ai blucerchiati, invece, sono più di mille: aperto per loro anche il secondo settore e la loro presenza risulta compatta, colorata e animata.

I granata partono con un tifo caloroso, oserei dire indiavolato, stroncato poi dal gol annullato alla propria squadra che sembra un vero e proprio punto di rottura. Da quel momento in poi tutto inizia ad andare alla deriva e i movimenti in campo, parallelamente, diventano pesanti come la preoccupazione dagli spalti. Le grida dei tifosi le porta via il vento fresco che aleggia all’Arechi questa sera, piacevole quanto beffardo. Solo una delle due sopravvive, purtroppo e il clima generale è proprio quello di un’arena da combattimento, in special modo tra i tifosi.

Nella ripresa arriva il vantaggio della Sampdoria, così mentre i doriani respirano finalmente a pieni polmoni la salvezza, le speranze dei salernitani vanno in frantumi, lasciando il posto della delusione della retrocessione in serie C che assume contorni sempre più netti.

Il triplice fischio sancisce la salvezza di una storica piazza ma anche la sconfitta di molti, forse dell’intero sistema calcio vista l’assurda pantomima messa in scena che ne certifica la deriva. Alla fine a pagare sono soprattutto gli ultras e i tifosi tutti, che continuano testardamente a voler sognare in tempi che non lasciano più spazio nemmeno alla normalità, figurarsi ai sogni. Penso non solo ai tifosi doriani e della Salernitana, ma a quelli del Taranto, della Turris, della Lucchese, della Spal, del Brescia e a quanti sono finiti tritati da questa macchina o ancora rischiano di finirci inghiottiti nel prossimo futuro.

Si è discusso tanto su questi strambi play-out. Da un punto di vista prettamente ultras, diventa veramente difficile giudicare chi ha scelto da che parte stare, se fuori allo stadio in protesta o dentro a sostenere la squadra senza abbandonare la nave, da una parte o dall’altra, al netto di una situazione moralmente repellente. In estrema analisi, ciò che mosso ognuno di loro è stato il proprio ideale, il proprio cuore, anche a rischio di sbagliare tutto e questo, in questo marciume, non può che essere di gran lunga più apprezzabile di chi, nei palazzi del potere, non ha seguito affatto il cuore ma solo i meri interessi di bottega ma ha sbagliato ugualmente, ha sbagliato sicuramente di più e senza nemmeno l’attenuante della buonafede.

Per cui, i seggiolini rotti e lanciati in campo dai salernitani, il susseguirsi di torce accese a oltranza dai doriani per festeggiare sono nulla rispetto al dolo a monte che ha causato questa rabbia o questa gioia non per tutti condivisibili. Arriveranno inevitabilmente daspo,

tribunali, sentenze, ricorsi. Funziona ormai così tanto nei campionati come nella vita: c’è chi vince e chi perde, ma almeno ciò che inizia prima o poi finisce. Si spera. Anche se tante volte, allo schifo sembra non esserci un fondo.

Amaramente un’altra stagione è conclusa, il tempo delle vacanze è finalmente giunto. Non sono sicura che questo margine di tempo sarà sufficiente a trovare i veri colpevoli e i veri vincitori. Il pensiero va a chi non smette mai di credere nell’ideale, nonostante subisca gli errori altrui.

Imma Borrelli