Dopo la bella esperienza nella gara di andata non potevo mancare a questo Sambenedettese-Sora, valevole per la prima giornata del girone di ritorno di Serie D. Si torna a giocare dopo le festività natalizie, con l’anno solare che per i padroni di casa si è chiuso con una dolorosa sconfitta interna contro la Vigor Senigallia, il primato in classifica perso e il malumore dei propri tifosi. Momento delicato, dunque, per San Benedetto, che in questa stagione è tornata a sognare il ritorno tra i professionisti, dopo gli ormai “consueti” anni di stallo e il pericolo fallimento. Un excursus a cui ormai i tifosi marchigiani sono abituati, dimostrando comunque sempre un attaccamento radicato e una fede incrollabile, anche laddove in molti avrebbero mollato o disertato a oltranza.

In questa domenica a dir poco piovosa e funesta dal punto di vista del meteo, decido di partire presto da Roma per poter degustare al meglio le varie sfumature che la cucina locale offre sulla strada: la mitica consolare Salaria, oggi classificata come Strada Statale numero 4. Giungo in riva all’Adriatico con un discreto anticipo sul fischio d’inizio, potendo così permettermi un giretto nel centro città, dove l’amore per la Samba si palesa sotto forma di murales e bandiere affisse un po’ ovunque. Essendo per me la prima volta da queste parti, rimango davvero colpito: se è vero che i rossoblù vantano ben ventuno campionati di Serie B, è altrettanto vero che l’ultimo torneo cadetto disputato è datato 1988/1989. Trentacinque anni di distanza in cui il popolo sambenedettese ha dovuto subire l’onta di svariati fallimenti e relative ripartenze dai campionati regionali, potendo assaporare giusto qualche annata di Serie C e sporadiche soddisfazioni, quasi subito uccise da presidenze e società pronte a lasciare in mutande l’intera comunità sportiva locale. Ecco perché questa è una piazza particolare, che merita tutte le attenzioni del caso: una sorta di Idra, a cui più teste si tagliano e più ne ricrescono.

Quando manca poco meno di un’ora all’inizio decido di avviarmi verso lo stadio. Tanti tifosi pasteggiano davanti ai baracchini, a poca distanza dalla curva: olive, porchetta e birra. Noto sin da subito la presenza di ultras e famiglie, sintomo di quanto il calcio sia aggregativo da queste parti, ma soprattutto di quanto i colori rossoblù abbiano un incredibile potenziale identitario. Inoltre cosa dire del Riviera delle Palme? In un momento storico dove diversi stadi di A e B cadono a pezzi e sicuramente versano in condizioni strutturali a dir poco disastrose, l’impianto rivierasco offre un colpo d’occhio – sia all’esterno, che all’interno – davvero notevole. Senza dubbio un palcoscenico che può ospitare competizioni ben più elevate rispetto alla Serie D. Anche se, curiosità, da queste parti è visto da sempre con un pizzico di diffidenza: la sua inaugurazione (1985), infatti, coincise con l’inizio della fine della Samb, sportivamente parlando. Dopo gli anni d’oro del mitico Ballarin – oggi ancora al centro di contese affinché non si proceda alla sua totale demolizione e se ne preservi l’importanza storica e culturale – questo stadio segnò giocoforza un punto di rottura con il passato, diventando una cattedrale nel deserto calcistico in cui San Benedetto del Tronto si è ritrovata spesso a brancolare.

Tuttavia, oggi, bando ai pensieri malevoli del passato remoto e recente, il popolo sambino è graniticamente al fianco dei suoi colori, avendo scampato l’ennesimo fallimento in estate ed essendo ripartito con una società apparentemente ambiziosa. Proprio le vicende societarie che hanno caratterizzato il finale del campionato scorso hanno rappresentato un motivo ostativo per il festeggiamento del centenario. Che cadeva per l’appunto nella primavera del 2023. Un momento non adatto a mettere in atto le varie iniziative per omaggiare al meglio un secolo di Sambenedettese. La Nord e i suoi seguaci hanno preferito rimandare, scegliendo alla fine proprio il match odierno per le celebrazioni. Nei giorni precedenti gli ultras hanno emanato un comunicato con cui annunciavano la produzione di una sciarpa commemorativa, venduta proprio agli ingressi dello stadio e propedeutica alla realizzazione di una coreografia. Insomma, per un giorno mi sento nel posto giusto al momento giusto!

Dopo esser passato di fronte alla targa che ricorda il tragico rogo dello stadio Ballarin, dove a margine della partita Samb-Matera, nel 1981 persero la vita due persone e ci furono oltre centocinquanta feriti e ustionati, posso finalmente mettere piede nell’imponente terreno di gioco del Riviera. Sono presenti circa seimila spettatori, con duecento biglietti acquistati dai tifosi sorani. Cornice davvero importante, che comincia a rumoreggiare già durante la fase di riscaldamento. Ma il vero spettacolo si consuma quando i giocatori entrano in campo: la Nord – e anche buona parte delle tribune – diventa un muro di sciarpe rossoblù a bande (con l’effige della Curva Nord Massimo Cioffi stampata ai lati) e si cimenta nel tipico canto popolare “Nuttate de lune“, riconoscibilissimo dalla prima strofa: “Rèsce la lune che lu mare alluce, s’apre ‘na vele nghe ‘na stella ròsce, che ppiù lentane va le recunòsce, jè chelle che qua ‘npitte chiuse sta!”. Una canzone che da sempre unisce generazioni di tifosi rossoblù e che già in passato è stata oggetto di striscioni o riferimenti per coreografie e momenti cruciali del club. La gente di San Benedetto c’è e malgrado umiliazioni e insuccessi non è vinta. E oggi si prende per l’ennesima volta gli onori della cronaca con un qualcosa di talmente semplice e profondo, da risultare bello e perfetto nella sua realizzazione.

E poi, lasciatemi fare questa considerazione: il cuore del tifo locale con il lungo striscione Curva Nord Massimo Cioffi e tutte le pezze dei gruppi sopra, prende tutt’altra forma rispetto allo scarno scenario a cui negli ultimi anni ci si era abituati. Storicamente il tifo degli adriatici ha sempre fatto del colore e delle pezze massicce e ben realizzate un vero e proprio cavallo di battaglia. Oggi è stato un po’ come rivivere, visivamente, quella vecchia Nord che ancora oggi si staglia nell’immaginario collettivo dei tifosi italiani. Fermo restando che le scelte in fatto di insegne, pezze e striscioni hanno ovviamente una loro logica (che va dall’aggirare i divieti al mantenere vive le varie anime della curva) e di certo la mia non vuol essere una critica, ma una semplice osservazione dal punto di vista estetico. A proposito: oggi oltre alle classiche pezze di Bandaraia e Futili Motivi, presenti anche i gemellati di Friburgo e i romanisti (con una bandierina giallorossa). Inoltre, a suggellare l’ormai salda amicizia con i capitolini, uno striscione di incoraggiamento per Picchio, ragazzo della Sud che in queste ore sta combattendo un’importante battaglia per la propria vita.

Parlando di tifo, ammetto di aver avuto la pelle d’oca nel vedere il coinvolgimento che questa gente riesce a trasmettere. Tutti uniti nel cantare: donne, uomini, bambini e anziani. Qualcosa di sempre più difficile da trovare nei nostri stadi. È vero che la partita sicuramente ha reso in discesa anche la performance dei rossoblù: un 4-1 finale maturato quasi subito nel primo tempo e una vittoria mai in discussione. Eppure si respira nell’aria una passione e una gioia nel sostenere la Samb, che va al di là del semplice successo sportivo. Le radici, la tradizione e l’attaccamento sono linee guida tramandate da queste parti e il modo di tifare è genuino anche per ciò. Peraltro: tamburo battuto “civilmente”, senza ritmi forsennati e scoordinati, e cori cantati appartenenti quasi tutti al “passato”. I sambenedettesi non sembrano essersi fatti coinvolgere nelle hit da discoteca o da “copia e incolla” che ormai spopolano in gran parte d’Italia, riuscendo così a restituire un’immagine davvero importante circa l’autodeterminazione e l’autonomia “culturale” di questa piazza. I cori contro l’Ascoli e il Picchio, invece, rinverdiscono i fasti di una rivalità che va ben oltre il calcio (del resto le due squadre non si affrontano da quasi quarant’anni) e che è diventata parte integrante della storia campanilistica nazionale. Saranno passati decenni e generazioni, ma l’approccio semplice e ruvido rimane un marchio di fabbrica autoctono. La sciarpata finale, le bandiere sempre al vento e gli stendardi alzati a più riprese, completano l’opera di una curva in gran spolvero, che attende ora anche il rientro dei tanti diffidati, falcidiati in questi anni da una repressione che non ha mai risparmiato stoccate terribili al movimento ultras cittadino.

Tuttavia oggi sarebbe ingiusto non volgere lo sguardo anche al settore ospiti del Riviera, dove i sorani hanno onorato alla grande un match da loro atteso e bramato dopo anni di presenze nei campetti provinciali e spesso sgangherati del Lazio. Gradoni dove, va detto, i bianconeri si sono formati e forgiati, preparandosi al grande salto di quest’anno. Una Serie D che per ora non li ha trovati per nulla impreparati. Oggi si può dire che dal pre partita fino a qualche minuto successivo al fischio finale non hanno davvero mai smesso di cantare, malgrado dopo 26′ la pratica sportiva fosse praticamente già archiviata, con i marchigiani avanti per 3-0 (esattamente come nel match d’andata). Assiepati dietro lo striscione Sora 1907, i laziali mettono in mostra tutto il proprio repertorio, volenterosi di dimostrare sia il loro attaccamento alla causa che la volontà di rimanere tra le “big” di un campionato conquistato con il sudore della fronte. Le tre sciarpate eseguite in vari momenti della sfida, gli stendardi sempre stilisticamente perfetti e i cori scanditi con tutta la potenza possibile, rappresentano – di fatto – l’unica nota positiva per i colori bianconeri quest’oggi. Sicuramente la più importante, quella che comunica anche a una società dimissionaria e che per l’ennesima volta rischia di lasciare ferite profonde in riva al Liri, quanto il Sora Calcio sia dei suoi tifosi e della sua comunità. Non potendo ancora una volta rimanere schiavo, prigioniero e vittima di bizze e capricci imprenditoriali. Un titolo sportivo non è una franchigia NBA, da vendere quando ci si stufa e da passare di città in città. Bisognerebbe ricordarlo sempre e non piangere puntualmente a morte acclarata.

Come detto il responso del campo è pienamente in favore dei padroni di casa. Con la pioggia che comincia a cadere copiosa e tutta la Samb che si porta sotto la Nord, l’ormai celebre coro che chiede a “Gino di preparare lo spino” si leva forte e portentoso, così come la successiva richiesta di “rispettare San Benedetto”. Applausi e incoraggiamento anche per il Sora, che malgrado la figuraccia non era chiamato certo oggi a fare l’impresa. Termina una domenica per me emozionante e indimenticabile, in grado di trasmettermi una grande idea e una grande sensazione di calcio vicino alla gente e a misura d’uomo. Ma anche il ricordo di due tifoserie che oggi, rispettivamente e sulla scorta della propria natura e tradizione, hanno onorato gli spalti dimostrando ancora una volta di non essere entità artefatte o “costruite”, ma sinceri e veraci esempi di come la militanza curvaiola italiana sia ancora attiva e in grado di trafiggere cuori e menti.

Testo Marco Meloni
Foto Simone Meloni e Marco Meloni