Negli anni migliori, quando i capelli erano di più, i chili di meno e ancor meno gli obblighi famigliari e lavorativi, Ravenna era una di quelle sortite che mi concedevo un buon paio di volte l’anno. Per sbirciare le tifoserie avversarie soprattutto, sarò sincero, ma anche e perché no, per tastare il polso alla tifoseria giallorossa e carpirne gli umori e lo stato di salute. Nel frattempo invece, sono già passati due anni dallo scioglimento degli Ultras Ravenna 1994 e non ho onestamente proprio idea di come abbia reagito la tifoseria a questo scossone, se non da percezioni a distanza.

In questa stagione il Ravenna sta andando decisamente forte: primo a pari punti con l’Imolese nel girone D della Serie D, con la quale condivide anche il primato di miglior difesa con soli 5 goal subiti, mentre sono 16 le reti all’attivo. Non il miglior attacco però: quello lo detiene proprio la Sammaurese che affronta quest’oggi in casa propria, al “Macrelli” di San Mauro Pascoli. Partita a razzo, la compagine allenata dall’ex giovane promessa dell’Inter Mirko Taccola, s’è piano piano ridimensionata dopo essere stata per alcune settimane anche in vetta. Ma pur avendo imboccato una parabola discendente, quello della squadra della città natale di Giovanni Pascoli resta comunque un test probante per le velleità di vittoria finale dei ravennati, chiamati a vincere per imporre la propria legge senza mezzi termini.

C’è molto meno materiale di cui discutere sugli spalti, dove di fatto è lecito attendersi un soliloquio degli ospiti, come poi in effetti sarà. Sono giusto qualche centinaio gli spettatori accorsi a sostegno dei padroni di casa, talvolta anche rumorosi nel sottolineare le giocate della propria squadra o le decisioni della terna arbitrale, però nulla di nemmeno lontanamente equiparabile al tifo organizzato. In questa partita non c’è nemmeno più lo striscione “Sammauresi doc” che addobbava la parte laterale e scoperta della tribuna, dietro il quale si poteva ammirare sporadicamente qualche giovane o meno giovane con un fumogeno, una bandiera o qualche altro elemento folkloristico. Era poco più di niente ma, appunto, era sempre meglio del niente attuale.

Ad un occhio distratto sembrerebbe che anche sul versante ospite non vi sia più alcunché di organizzato: campeggia solo un piccolo striscione giallo e rosso con il motto “Iterum rudit leo”, il leone ruggisce ancora, che al di là delle connotazioni dannunziane, evoca nel cuore dei tifosi lo stemma dell’indimenticata US Ravenna, quello dei due leoni rampanti accanto al pino contornato dal fregio con la frase in latino; lo stesso che, prima dell’amaro fallimento del 2001, aveva contrassegnato la storica promozione in Serie B degli adriatici. Leggermente decentrato rispetto a questo striscione, si compatta invece un bel quadrato di persone, senza alcun tratto distintivo, se non qualche bandierina ma con un’attitudine inequivocabilmente ultras.

Al di là della bella presenza numerica, la loro prestazione desta fin da subito molto interesse soprattutto dal punto di vista qualitativo. Un buon terzo dei presenti, se non la metà, si distingue alzando spesso le mani al cielo e sostenendo la squadra a gran voce. All’ingresso della propria squadra in campo, si vede anche una torcia, occultata tra le gambe dei presenti, giusto per evitare qualsivoglia ritorsione. D’altro canto, guadagnando l’ingresso in campo prima della partita, passando giocoforza nei pressi del settore loro riservato, mi colpisce molto vedere quello che verosimilmente dovrebbe essere un funzionario della Digos che, con videocamera fissata su un treppiedi proprio davanti all’ingresso, riprende uno per uno chiunque varchi quella soglia. Considerando che nel piccolo centro ospitante c’è a malapena una piccola stazione dei Carabinieri, si capisce che è una dimostrazione muscolare della stessa questura ravennate, dopo gli scontri degli anni passati, pagati già con un ampio tributo di diffide oltre al già citato scioglimento dello storico gruppo ultras cittadino. Da certe prospettive evidentemente, se sei ultras sei colpevole a priori e per questa colpa, la sanzione prevista è una fine pena mai.

Ad onta di ognuna di queste spinte repressive però, la persistenza, la resistenza di quanti si ostinano ad alzare al cielo le loro voci e le loro mani, sono la dimostrazione che a Ravenna, sotto la cenere, la brace arde ancora. E sopravvive anche lo spirito degli Ultras 1994, come si evince dai due striscioni esposti (uno per ricordare Gabriele Sandri, di cui il giorno prima ricorreva l’anniversario della scomparsa e l’altro a sostegno della Toscana colpita dall’alluvione), entrambi con in firma l’inequivocabile saetta con la quale, lo stesso disciolto gruppo, era solito rivendicare le proprie posizioni espresse su carta. Insomma, se le ferite dei reduci bruciano ancora, se sul campo di battaglia giacciono a terra ancora un numero considerevole di diffidati, è lecito pensare o almeno sperare che grazie a chi s’è preso la briga di custodire la saetta, possa magari nel prossimo futuro rinascere qualcosa di nuovo, nel solco di questa quasi trentennale storia.

Sul tifo vocale c’è da dire che ci sono anche alcune pause, alcune pure piuttosto significative, specie ad inizio secondo tempo, quando forse in tanti si stavano attardando al bar. Perentoria si alza invece la voce ad inizio gara, alla fine e nei momenti topici come ai goal o altri momenti di gioco particolarmente concitati, vedasi la doppia espulsione, una per squadra, dopo la quale si accende un focolaio di rissa in campo. Nelle fasi di stanca però, quando la partecipazione del resto del pubblico viene meno, anche il volume del tifo si affievolisce di molto, pur restando comunque sempre attivo. Degna di nota, seppur non fittissima, una bella sciarpata. Per farla breve, certo aiutata da un momento calcistico felice, la Ravenna degli ultras è viva e vegeta, anche se non c’è formalmente nessuna entità a guidarla. Verrà quel giorno o forse no. Forse è questa la formula vincente? Nell’anonimato e senza strutture che dall’esterno possano essere più facilmente colpite e decostruite? Solo il tempo potrà rispondere, nel frattempo tanto di cappello ai ragazzi che si sono presi l’onere di tenere in vita il movimento nella città bizantina.

In campo la gara si conclude con uno 0-2 in favore dei giallorossi ospiti, molto meno pungenti del solito invece i locali che confermano una certa involuzione tattica. Un goal per tempo mentre i coinquilini dell’Imolese si fanno imporre lo stop in casa dal Sant’Angelo, così il Ravenna e i suoi tifosi possono festeggiare il primato in solitudine. Oltre ai classici cori per la capolista che se ne va, viene riproposto il tormentone del momento, sentito già spesso nei novanta minuti: una riproposizione, chiaramente con temi calcistici, della hit degli anni ’80 “La colegiala” entrata nelle nostre case con la pubblicità di un noto caffè e poi divenuta hit disco con Gary Low. La cantano anche i giocatori, a riprova della sinergia e dell’atmosfera positiva di quel che si sta ricostruendo in campo e in parallelo sugli spalti.

Matteo Falcone