Percorrere la strada che porta a Marassi da Piazza Principe è il solito cammino nel cuore di Genova, che lascia i suoi odori e i suoi rumori. Il capoluogo ligure continua a essere una città atipica in un’Italia che ha ormai venduto i suoi centri urbani al primo acquirente, modellandoli alla perfezione sia alle strambe voglie del turista medio che alla tendenza di annacquare tradizioni e peculiarità. Sarà che all’ombra della Lanterna – da buona città di porto – ha sempre resistito una certa rigidità nei confronti dei cambiamenti. Ma camminare per le sue arterie restituisce un’idea di antico, di passato. Quasi anacronistico. Nell’accezione buona del termine.

Mi sono ripromesso di fare il minimo indispensabile in Italia. Di non ripetere stadi fatti ormai cento volte, per non tornare a casa con una sensazione di vuoto e incompiuto che spesso mi sconfigge dopo spettacoli a cui ho assistito già in molteplici occasioni e che, per giunta, hanno davvero poco da offrire al giorno d’oggi. Eppure il ricompattarsi della Gradinata Sud mi ha dato quella spinta in più a partire. Per non lasciar insoddisfatta la curiosità di vedere com’è la situazione ora. E perché nutro sempre davvero tanto rispetto per chi – nell’era delle divisioni – riesce a superare frizioni e ostacoli, rimettendosi dietro un’unica bandiera per il bene comune.

Mi concedo un paio di pezzi di focaccia, giusto per onorare la tradizione cittadina. Poi il Ferraris. A piedi, con tranquillità. Per leggere le scritte sui muri, osservare le persone ai baretti, circumnavigare il perimetro dello stadio per arrivare in Distinti e ripetermi ancora una volta quanto Genova sia positivamente retrò. Lo vedi anche nelle persone che vanno allo stadio e che si accalcano nei locali adiacenti alla Sud. Qua il tifoso è ancora ruvido, riservato nel suo credo fideistico. Più che di fantacalcio senti gente parlare di Sampdoria, delle preoccupazioni relative alla classica e di quanto anche il turno di Coppa Italia contro l’Ascoli sarà decisivo per motivare una squadra che attualmente rischia decisamente il declassamento.

Una volta tanto l’afflusso allo stadio è alquanto veloce e scorrevole, senza troppi controlli capillari e senza lo stress di steward zelanti, che spesso con una pettorina addosso si sentono degli dei scesi in terra. Quando salgo le scalette per le gradinate e mi si apre di fronte il Ferraris in tutta la sua imponenza, penso che questo stadio ha sempre un fascino particolare. Quello che un po’ tutti, da piccoli, abbiamo invidiato a Genoa e Sampdoria. L’impianto dove avremmo voluto vedere giocare almeno una partita casalinga della nostra squadra del cuore, con quegli spalti attaccati al campo che tanto rari sono nel Belpaese. Nota di demerito, invece, per la nuova tribuna stampa: veramente un cazzotto nell’occhio. Chi l’ha progettata forse attraversava un grave periodo di crisi mistica!

Ovviamente le altre cose a cui do subito risalto, una volta entrato, sono le tifoserie. Il settore ospiti è pieno nell’anello superiore e presenta un bel colpo d’occhio anche in quello inferiore. Sono tanti, quindi, i tifosi giunti dalla Capitale, a riprova dell’entusiasmo ormai perdurante da un anno e mezzo a questa parte. La Gradinata Sud, di contro, va man mano riempiendosi, facendosi però sentire con diversi cori volti a riscaldare i motori. Come detto in precedenza, il mio interesse è calamitato anche dal suo ricompattarsi e sin da subito noto con piacere i diversi gruppi posizionati sui rispettivi ballatoi, con gli UTC al centro, come ai vecchi tempi.

Le due squadre entrano in campo e a settori ormai pieni inizia anche la sfida canora tra le due tifoserie. I doriani lasciano calare un telone raffigurante il compianto presidente Paolo Mantovani, artefice dell’unico scudetto vinto e rappresentato nel cuore e nella mente dei supporter blucerchiati come l’esempio del lavorare con amore e caparbietà per il club. Un contrasto fortissimo con quanto succederà poco più tardi, a causa della presenza di Massimo Ferrero. Ma andiamo con ordine. Tra le fila doriane spiccano anche le diverse torce accese e la sempre bellissima sciarpata sulle note di Lettera da Amsterdam. Mentre da segnalare utilizzo di pirotecnica anche in Nord, da parte di un gruppetto posizionato a centro gradinata, che si farà notare tutto l’incontro per vari insulti ai tifosi ospiti. Un quantitativo di folklore che fa sempre bene!

I romanisti attendono la fine dell’inno dirimpettaio per partire con la sciarpata sulle note di Roma, Roma, Roma, ormai una tradizione consolidata anche in trasferta. Oltre che un qualcosa di sempre ben riuscito. Il Ferraris, si sa, invita letteralmente al tifo. E infatti il contingente giallorosso si renderà protagonista di una gran bella prestazione, con particolare picco nel secondo tempo. Un insieme di manate compatte, cori a rispondere potenti e granitici, e canti tenuti con una discreta intensità e spesso seguiti anche nell’anello inferiore. Nel loro essere umorale in fatto di tifo, i romanisti dimostrano ancora una volta che quando c’è da mettersi in gioco e scendere al fianco della squadra, lo fanno senza troppi fronzoli. Da par loro tanti insulti agli avversari, per una rivalità che non è certo tra le principali ma che a livello di confronto vocale offre sempre buoni momenti di “convivialità”.

Venendo alla prestazione degli ultras blucerchiati, cosa dire? Tra i migliori visti in una partita casalinga negli ultimi anni. Il frutto di un lavoro pensato, lungo e tortuoso si vede ed è palpabile. La marea umana dell’anello inferiore della Gradinata Sud spinge e plasma i propri cori grazie al coordinamento tra tutti i gruppi e quello che ne viene fuori è spesso e volentieri un muro di mani alzate, un insieme infinito di bandieroni e le note dei classici cori del repertorio doriano, che ormai sono diventati un must sia per la tifoseria genovese che per chi li sente da neutrale. Tante volte restare ciò che si è sempre stati, anzi, forgiare la propria identità, può essere l’unica strada percorribile per tornare su ottimi livelli.

Dicevamo della presenza di Massimo Ferrero, che sebbene si sia dimesso da presidente è ancora formalmente proprietario del club. Me ne accorgo al rientro delle squadre in campo per il secondo tempo, quando praticamente tutto lo stadio canta “Ferrero uomo di m…”. Solo più tardi verrò a sapere della sua presenza in tribuna autorità e del tentativo – da parte di una buona fetta di pubblico blucerchiato – di mandarlo via. Tentativo peraltro andato in porto considerata la sua fuga dallo stadio a partita ancora in corso. Ovviamente ben sorvegliato dalla scorta.

Senza voler scendere troppo in considerazioni personali, mi limito a dire che se il sistema calcio avesse la purezza e la fermezza d’intenti dei suoi tifosi, oggi avremmo un movimento di prim’ordine. Invece le cose vanno esattamente al contrario e mi permetto di dire che Massimo Ferrero rappresenta alla perfezione il pallone italiano. E non mi riferisco soltanto ai suoi scandali finanziari, ma anche alla boria e alla presunzione con cui si è sempre avvicinato a questo mondo. E non me ne voglia nessuno, ma da romano riconosco in lui proprio quegli atteggiamenti strafottenti e deplorevoli di molti miei concittadini che, magari con fortuna, sono riusciti a costruirsi un loro piccolo impero. Rimanendo tuttavia poveri d’animo e di modi. Sgradevoli, per utilizzare un termine morigerato. Capisco perché, allora, la Sud insista tanto nel riproporre l’effige di Mantovani…

In campo è la Roma ad imporsi, grazie a un rigore siglato da Pellegrini pochi minuti dopo il calcio d’avvio. Tre punti che permettono agli uomini di Mourinho di rimanere attaccati al gruppone di testa, una sconfitta che invece spinge sempre più giù la Sampdoria. Ultima e a cinque punti dalla zona salvezza. Per ora a poco sembra esser servito il cambio di guardia sulla panchina, dove a Giampaolo si è avvicendato Stankovic.

Finisce con il settore romanista a fare festa e a ricordare che domenica prossima all’Olimpico arriverà il Napoli. Un “promemoria” che avviene alla classica maniera, quella che tanto tengono a stigmatizzare le anime belle di questo Paese ipocrita: con i cori di “discriminazione territoriale”. Che qualcuno definisce anche “razzisti”. Ma che noi frequentatori di stadi ci limitiamo a classificare come “sfottò”. Senza i quali manco avrebbe senza andare a vedere la partita!

Anche i padroni di casa non smettono di cantare e – malgrado la sconfitta – applaudono la squadra spronandola per le prossime partite. La salvezza può passare anche dall’unità d’intenti dell’ambiente intero.

Lascio lo stadio quando mancano ancora due ore per il mio pullman di ritorno. Mi concedo un nuovo giro per Genova. Stavolta i suoi caruggi sono vuoti e silenti. Inducono alla riflessione e un pochino anche all’inquietudine. Sensazioni che qua puoi trovare gratis, soltanto utilizzando la forza empatica del pensiero. Mentre di tanto in tanto, da qualche spiraglio tra i vicoletti, si vede la luna riflettere sul mare del porto.

Simone Meloni