Per l’ennesima volta negli ultimi anni la Roma torna a disputare un suo incontro a Genova nella seconda parte del campionato. Quella di raggiungere la Lanterna con l’arrivo della bella stagione sembra ormai esser diventata consuetudine per i giallorossi, quasi a voler fungere da buon auspicio vedendo il mare con i primi caldi della primavera.

È sabato sera e i dintorni del Ferraris cominciano a brulicare di gente già tre ore prima del fischio d’inizio. Curioso caso quello del capoluogo ligure, dove determinati equilibri sembrano esser sopravvissuti all’usura e ai cambiamenti di una Serie A ormai sempre più formato-cliente. Così come è sempre bello vedere primeggiare dai balconi effigi blucerchiate o rossoblu, a testimonianza di quanto a queste latitudini l’amore per il calcio patrio e i suoi vessilli sia ancora un qualcosa di sacro. Difficile da corrodere, anche dalle evoluzioni di un CR7 o dalle “strisciate” che distano davvero un tiro di schioppo.

Genova è metà metropoli e metà città di provincia. Malgrado la sua storia secolare, il suo porto famoso in tutto il mondo e il suo ruolo chiave negli scambi commerciali e culturali italiani, questa città ha saputo mantenere un fascino tutto particolare. Magari non abbagliante, non superbo e né altezzoso. Ma autentico e genuino. Che pervade le narici e acquieta l’anima con un passato, neanche troppo lontano, in cui i nostri centri erano scintillanti centri culturali, variegati e diversi tra loro.

Tante volte abbiamo scritto e raccontato quanto il modo d’essere di una città si rifletta nel calcio e, ovviamente, allo stadio. Genova non trasgredisce queste regola e l’aggregazione fatta e supportata delle sue tifoserie è cosa arcinota e riconosciuta in tutto l’universo del tifo organizzato. Del resto non è un caso che qui – assieme a Milano e Torino – affondino le radici del movimento ultras e il “verbo” si sia tramandato veramente di generazione in generazione senza troppi patemi d’animo.

È chiaro, gli ultimi tre lustri di repressione folle hanno fatto male anche a una tifoseria, quella doriana, che si è sempre schierata contro la tessera ed ha sempre cercato di vivere lo stadio alla vecchia maniera. Non andare in trasferta per quasi dieci anni è costato molto – almeno in termini numerici e aggregativi – alla Gradinata Sud e oggi che i “geni” dell’ordine pubblico hanno parzialmente riaperto le trasferte senza l’odiosa carta ministeriale, tutta quella fetta di pubblico “normale” che un tempo seguiva le carovane organizzate dagli ultras ha detto “basta”, scoraggiata da anni di chiusure e divieti, oltre che dalla trasformazione degli stadi in lager dai prezzi a dir poco vergognosi. Sempre per ricordare che poi c’è chi si riempie la bocca con le famiglie allo stadio.

Sampdoria-Roma è una delle classiche del calcio italiano e come sempre fa registrare un buon colpo d’occhio. Malgrado l’annata anonima della Roma, dalla Capitale sono attesi oltre un migliaio di tifosi. Sono spesso critico con le tifoserie e cerco di analizzare i fatti con più obiettività possibile ma con altrettanta onestà va detto che passano gli anni e cambiano gli stili, ma numericamente i supporter giallorossi rimangono pressoché impeccabili.

Con l’approssimarsi del match la Gradinata Sud prepara i suoi vessilli, che come di consueto vengono issati tutti assieme durante “Lettera da Amsterdam”, storica canzone dedicata ai blucerchiati. L’insieme di vessilli, bandieroni e stendardi blucerchiati produce un effetto notevole e immutato nei tempi.

Mi capita sovente di rivedere foto anni ’80 del Ferraris e poi buttare l’occhio su quelle più recenti: beh non bisogna fare un grande sforzo di immaginazione per accorgersi di un filo conduttore che ben lega generazioni di ragazzi passati per la Sud. Una concezione del tifo e del portamento davvero continuativa nei tempi. Merce rara in un mondo che – come logico che sia – si evolve con la stessa velocità con cui cambia la società attorno.

Unico peccato è quello di non vedere gli striscioni di quasi tutti i gruppi blucerchiati. Una scelta coerente con il loro modo di essere, su cui di certo non posso obiettare. Tuttavia le varie sigle sulla balconata sono state, almeno fino al 2007, davvero la ciliegina sulla torta di una gradinata colorata e fantasiosa.

In compenso sono tornati al proprio posto i tamburi. E questa è comunque una notizia importante. Soprattutto per una tifoseria che ha fatto dei cori lenti, lunghi e ritmati un proprio cavallo di battaglia. Non penso sia un caso, infatti, che rispetto a qualche anno fa la Sud sia tornata a ruggire con maggior veemenza, puntando anche su un’apparente, ritrovata, unità d’intenti tra tutte le componenti.

Certo, la partita di oggi – brutta e sotto ritmo – non aiuta a scaldare il cuore dei presenti. I doriani si producono comunque in una buona prova, anche se non ai livelli dell’ultima volta in cui li avevo visti all’opera in casa, un annetto fa.

C’era molta attesa, dopo la gara persa contro il Torino, per un match che avrebbe dovuto rilanciare la Samp in zona europea; la sconfitta maturata nel secondo tempo ha messo invece a repentaglio le speranze per la squadra di Giampaolo.

Di contro respira la Roma, che si rimette teoricamente in corsa per un posto in Champions e ritrova, in un colpo solo, vittoria e gol del suo capitano, Daniele De Rossi.

A tal merito vorrei aprire una piccola parentesi su un argomento di cui si sta disquisendo in queste ore: l’eventuale squalifica del centrocampista romanista per aver bestemmiato durante l’esultanza. Posto che è diventato veramente petulante e stucchevole dover rendere conto anche di una minima parola perché qualcuno è sempre pronto a riprenderti con il cellulare, questi processi mediatici di stampo bigotto sono veramente lo specchio dell’Italietta moralista da quattro soldi in cui viviamo.

Un Paese che si spertica in giudizi e condanne etiche per un festeggiamento scomposto o un coro contro gli avversari che si fa da cent’anni.

Un Paese che è sempre più attento a guardare il dito anziché la luna, al punto da sprecare fiumi d’inchiostro, parole in televisione e verbali in Lega Calcio per punire questa o quella esultanza.

Come se non bastasse a offrirci tutta questa dose non richiesta di virtù nel vivere e galateo non sono propriamente degli esempi di comunicazione o gestione sportiva. Tutt’altro.

Tornando al settore ospiti, tutte le sigle del tifo romanista sono presenti a Genova, facendo sì che il proprio settore offra un bel colpo d’occhio.

A inizio e fine partita viene ricordato Fabio “Roscio”, storico ultras della Roma scomparso qualche anno fa, mentre per tutto l’incontro il sostegno canoro si manterrà su livelli sufficiente conoscendo un paio di picchi dopo la rete del vantaggio.

Dopo il triplice fischio i blucerchiati restano nel proprio settore per caricare l’ambiente in vista del derby. Questo produce, contemporaneamente, un simpatico “scambio di opinioni” con i dirimpettai romanisti, tanto per suggellare una rivalità che magari non sarà tra le più sentite su ambo i fronti, ma è comunque parte dell’immenso bagaglio culturale del nostro movimento.

Prima di andarmene ho modo di saggiare l’ingiustificato nervosismo della Questura locale, che – a un’ora dalla fine – al grido di “ci sono ancora gli ultras della Sampdoria in giro” non vuol far uscire nessuno dal settore ospiti, arrivando persino a schierare minacciosamente gli agenti anti-sommossa davanti ai cancelli per arginare qualche famiglia o tifoso residente a Genova.

Insomma, nulla di nuovo!

Simone Meloni