Diretti verso l’estremo oriente della Svizzera per una gita mattutina a San Gallo. Fondato nel 1874, l’FC San Gallo è il club più antico della Svizzera. Sebbene privato di titoli per quasi 25 anni, può contare su un sostegno incondizionato, al punto che lo stadio è molto spesso pieno.

Un pioniere del calcio svizzero

Creato il 14 aprile 1879, il San Gallo è il club più antico svizzero, e il quinto club più antico in Europa, il che gli consente di far parte della cerchia molto ristretta del “Club dei Pionieri”, creato nel 2013 dallo Sheffield FC e che riunisce i decani del Vecchio Continente.

Con due titoli vinti nel 1904 e nel 2000, oltre a una Coppa di Svizzera nel 1969, gli Espen (da Espenmoos, l’ex stadio di San Gallo) hanno vissuto molti alti, con alcune grandi prestazioni europee (Galatasaray e Chelsea in Champions League nel 2001; Spartak Mosca nel 2013), ma anche molti bassi, con due retrocessioni nel 2008 e nel 2011; un titolo mancato nel 2020, oltre a due finali di Coppa di Svizzera perse nel 2021 e nel 2022.

Dal punto di vista degli spalti, l’FCSG gode di una popolarità molto forte, sia in casa che in trasferta. Tanto che il club ha dovuto smettere di vendere abbonamenti, per lasciare un numero minimo di posti in vendita nei giorni delle partite. Riunendo i diversi gruppi grün-wiis (verde e bianco), l’Espenblock, che prende anch’esso il nome dal vecchio stadio, impressiona per il suo tifo di qualità, le sue coreografie varie e ben eseguite e un numero molto elevato di tifosi in trasferta, che gli permette di competere con la Muttenzerkurve di Basilea e i “vicini” zurighesi della Südkurve.

Immersione in una vera istituzione

Raggiungendo lo stadio, si può apprezzare quanto il club della Svizzera orientale e i suoi tifosi si siano spesi per esso. Enormi affreschi, che ripercorrono i gloriosi anni della compagine della città famosa per il suo pizzo, ornano le scale che conducono allo sportello di accreditamento. Una volta ottenuto l’accredito, bisogna attraversare un enorme corridoio decorato con maglie e gagliardetti storici. Come un vero museo del calcio.

In un momento in cui alcune istituzioni stanno scomparendo, sia a livello sportivo che amministrativo, è fondamentale ricordare l’importanza del rispetto per la storia del club.

Prima di salutare il mio collega Jürgen de Meester (redattore di Sport People e In de Hekken), eccomi al bordo del Kybunpark, che mi ricorda lo stadio Rudolf Harbig della Dinamo Dresda, in particolare per la sua imponente curva senza posti a sedere e l’onnipresenza di colori locali (dove il verde del San Gallo sostituisce ovviamente il giallo di Dresda).

“Espenmoos, Espenmoos”

Le due curve accolgono i giocatori con una sciarpata e i 200 tifosi losannesi che hanno affrontato il lungo viaggio dalla Svizzera occidentale, possono esultare già dopo 3 minuti di gioco, marcatura che scatena a sua volta la reazione del pubblico locale in toto, che contesta vigorosamente ogni intervento dell’arbitro e segue spesso e volentieri i cori dell’Espenblock.

In virtù del gemellaggio con gli ultras del Reutlingen (5a divisione tedesca), la curva locale espone alcuni striscioni celebrativi del 25° anniversario della fondazione del loro gruppo “Szene E”. A proposito di amicizia, vale la pena sottolineare la presenza degli ultras del Winterthur con i Losannesi, mentre oltre a Reutlingen, fra i locali si segnala anche Neuchâtel, grandi rivali del Losanna.

La partita si rivela vivace, entrambe le squadre si dimostrano decise a non arrendersi con i Grün-Wiis che passano dall’1-2 al 3-2 in un quarto d’ora. Il pubblico del Kybunpark tira fuori le sciarpe, cantando “Espenmoos, Espenmoos”, sulle note di “Take me Home, Country Roads” di John Denver.

L’uscita dallo stadio si preannuncia piuttosto tempestosa, dato che le due curve si insultano prima di uscire per poi ritrovarsi sulla stessa banchina della piccola stazione di Winkeln, situata a 600 metri dallo stadio! A parte qualche altro insulto e il lancio di qualche palle di neve però, l’arrivo dei manganelli dell’antisommossa scoraggia persino i più audaci.

Max Michelet