Di notte l’aeroporto di Milano Malpensa si spopola totalmente, lasciando i pochi spazi a quella manciata di viaggiatori in attesa dei primi voli del mattino successivo. Qualcuno dorme, qualcuno legge, qualcun altro prova ad ammazzare il tempo guardando il cellulare. Nel mio caso provo a fare un po’ di tutto, puntando però la sveglia alle 5, in modo da non replicare spiacevoli, recenti, esperienze. Con aerei persi praticamente davanti al gate, in preda a un sonno profondo. Anche perché la stanchezza c’è tutta e questo derby arriva al termine di un fine settimana passato sui campi tedeschi ma, soprattutto, arriva tramite un viaggio scelto e organizzato soltanto grazie alla mia natura nerd in fatto di spostamenti. Da Rostock (dove ho assistito al Derby dell’Est contro la Dynamo Dresda) sono riuscito a trovare un passaggio Blablacar per Berlino, raggiungendo poi l’aeroporto di Brandeburgo, imbarcandomi per Malpensa e dovendo poi attendere le prime ore della successiva alba per raggiungere Catania. Mi rendo conto che non è cosa per tutti, ma è anche l’unico modo per non lasciare indietro troppe emozioni e mangiarsi le mani per non aver visto e vissuto più cose possibili. Se parliamo di Italia, poi, dico sempre che ogni volta può essere l’ultima. Ogni derby o sfida leggermente più sentita può essere alla sua ultima disputa con entrambe le tifoserie, subendo poi la feroce repressione delle chiusure cui siamo ormai abituati e che negli ultimi anni ha conosciuto un’inquietante recrudescenza. Ergo: fatta l’andata a Caltanissetta, andava fatto pure il ritorno. Sia per poter dire di esserci stato, sia- soprattutto – per poterla raccontare. Ultimo appunto: questo giro cervellotico degli aeroporti e delle autostrade è principalmente figlio dell’incertezza made in Osservatorio, Prefetture e Questure, che fino all’ultimo detengono il segreto sulla vendita libera dei biglietti per gli ospiti. Cosa che puntualmente mi costringe a prenotare tutto all’ultimo secondo. Le mie maledizioni a questi enti giullareschi non saranno mai poche!
Come spesso mi è capitato in questi ultimi anni, atterro a Fontanarossa che il sole è da poco sorto. Ormai conosco lo scalo catanese come le mie tasche e so a memoria gli orari dei pullman che lo collegano a buona parte della Sicilia e che – a causa dell’interruzione della linea ferroviaria per Palermo da Dittaino in poi – sono costretto a utilizzare in luogo del mio amato treno. Manco a dirlo la temperatura mite è un toccasana rispetto alla colonnina di mercurio teutonica, che nei giorni precedenti era scesa pesantemente sotto lo zero. La prima cosa da fare è togliersi gli indumenti termici in favore di un normale vestiario stagionale per l’Italia, dopodiché si può cominciare a pensare a questa partita. Non nego di averla segnata col cerchietto rosso sin dall’inizio della stagione, sperando in un’improvvisa voglia di lavorare e gestire da parte della Questura di Caltanissetta. Miracolo avvenuto, anche se ben bilanciato dai divieti irrorati a buona parte delle altre tifoserie del girone per le partite della Nissa a Pian del Lago (due esempi su tutti: Acireale e Siracusa). Del resto mica vorremmo davvero pretendere la normalità? Ormai neanche facciamo più caso a come lor signori abbiano “istituzionalizzato” situazioni emergenziali, quali dovrebbero sempre essere divieti e restrizioni. Esulando dalle “solite” chiacchiere sulla repressione, occorre concentrarci sul fascino assoluto di questa sfida, che torna dopo tanti anni e che coinvolge due comunità attigue del centro Sicilia, separate da una manciata di chilometri ma in realtà sempre più unite dall’urbanizzazione, con una storia di secolare rivalità e un antagonismo che affonda le proprie radici ben oltre il pallone. In questi anni ho avuto il piacere (e anche il privilegio, aggiungo) di vedere dal vivo diverse partite sia dei giallorossi che dei verdeamaranto, entrando in contatto con queste realtà e capendone un po’ dinamiche, vizi e virtù. Ho raccontato in più occasioni la disputa storica esistente tra le due fazioni e perdonatemi se mi “auto-cito” ma trovo ridondante approfondire di nuovo il tutto, quindi, come scrissi nell’articolo sul match di andata, basti sapere che:
“Siamo nel 1820 e i Borbone sono malvisti da molti siciliani per le numerose promesse non mantenute e per lo smacco dello spostamento del capoluogo del Regno da Palermo a Napoli. In questo contesto si svolge una di quelle partite di “nicchia” della storia, che tuttavia spesso accende e inasprisce contese e rivalità, arrivando sino ai giorni nostri sotto forma di campanile e folklore. Caltanissetta – la fedelissima, la capovalle – poteva godere di diversi privilegi (su tutti la tassa sul macinato: l’economia della zona dipendeva quasi esclusivamente dal grano, lo zolfo sarebbe arrivato qualche decennio dopo), che al contrario non furono estesi al vicino comune di San Cataldo. In questo contesto, a differenza delle altre province, in cui a scontrarsi erano soltanto i rispettivi eserciti, presero parte anche diversi abitanti delle due città, in una furibonda battaglia dove alla fine si contarono centinaia di morti. Capo della provincia venne nominato il principe Galletti di San Cataldo, avverso storicamente ai nisseni e capofila nelle sanguinolente battaglie (le Battaglie di Monte Babbaurra) durante le quali i sancataldesi saccheggiarono e danneggiarono Caltanissetta. L’episodio che fece scatenare la rabbia dei sancataldesi e da cui deriva l’ingiuria di traditori, fu quando i nisseni chiesero una sorta di armistizio, ma uccisero l’ambasciatore mandato dal principe Galletti per trattare la pace, assalendo a sorpresa, per l’appunto, Monte Babbaurra. Da allora dunque nacque l’appellativo di “maunzisi”, ovvero “traditori” (derivato dal nome del personaggio Gano di Maganza, o Magonza, il traditore della Chanson de Roland, nota in Sicilia anche a livello popolare grazie all’opera dei pupi). Inutile dire che questa “dialettica” è stata ampiamente utilizzata in ambito curvaiolo: dispregiativamente dagli avversari, ironicamente e goliardicamente dai nisseni che sia in passato che oggi hanno prodotto materiale e coreografie con questo nomignolo”.
La sfumatura campanilista non è soltanto l’hummus dove coltivare lo sfottò da stadio, ma è il vero e proprio ago della bilancia per il confronto della maggior parte dei nostri derby. Che ben venga. E che resista negli anni agli attacchi, al perbenismo e al politicamente corretto! Questa sfida allo stadio “Valentino Mazzola” presenta ovviamente una difficoltà gestionale ben diversa rispetto a quella dell’andata, dove la conformazione del “Tomaselli” permetteva un controllo, un afflusso e un deflusso ordinato e ben canalizzabile da parte delle forze dell’ordine. L’impianto sancataldese – com’è stato per anni il suo omonimo nisseno, il “Palmintelli” – è incastonato tra palazzi e strade strette, cosa che ha richiesto una di quelle riunioni speciali e prolungate da parte della Questura, tanto che i biglietti per il settore ospiti – ufficialmente 350 – sono stati messi in vendita ufficialmente solo il venerdì precedente al match. Fortunatamente qualsiasi ipotesi di bus “forzati” per i nisseni è alla fine decaduta, con gli ultras che hanno potuto utilizzare i mezzi propri, evitando un’altra metastasi prodotta dal modo ipocondriaco di gestire e organizzare le trasferte: i prezzi a dir poco esorbitanti per il noleggio degli autobus. Pratica divenuta troppo spesso equiparabile allo strozzinaggio, considerati gli “interessi”, le caparre e i pagamenti anticipati. In compenso, come preannunciato dai dirigenti della polizia di Caltanissetta, gli striscioni “usa e getta” tollerati sono veramente pochi, atteggiamento che ha prodotto il divieto o il sequestro per molti di questi. Tanto per confermare la ridicolaggine di alcune scelte. Mi viene quasi da chiedere cosa comporti uno striscione di sfottò, magari anche colorito, in un contesto dove l’ordine pubblico è gestito bene e alla fine non succede nulla (come poi è stato nel complesso delle due gare)? Io credo che anche i protagonisti del campo – presidenti, allenatori e giocatori – debbano tornare a farsi una risata di fronte a messaggi dissacranti. Forse, essendo abituato al derby della mia città – becero e senza troppe regole di galateo – do per scontato che anche il “contorno” accetti di buon grado le regole del gioco.
Lo spiegamento di camionette e agenti in tenuta anti sommossa è a dir poco impressionante. Per l’occasione sono arrivati rinforzi da Catania e Palermo. Al di fuori dello stadio il clima è già incandescente diverse ore prima del fischio d’inizio. Ma sarebbe meglio dire: già da diversi giorni prima. Le due tifoserie, infatti, non hanno mancato di esporre messaggi e slogan per invitare tutti allo stadio e pungolare l’avversario, lasciando ancora una volta intendere quanto sia sentita questa sfida ma anche quanto sia bello e passionale il nostro calcio, soprattutto se lasciato libero di confrontarsi. Per me passare dagli stadi moderni e impeccabili della Germania, alle alte e “sgarrupate” mura del “Mazzola”, ai suoi spalti in cemento e alle sue cancellate retrò, è un colpo a dir poco sensazionale. Userei volentieri la parola “romantico”, ma questo aggettivo mi è andato talmente sulle scatole da quando viene messo ovunque e a sproposito, che ormai l’ho totalmente depennato dal mio dizionario. Sia calcistico che quotidiano. Sta di fatto che mi godo il clima, mi godo ciò che ho attorno e la stanchezza sembra per qualche ora essere svanita. So che nel mio piccolo non ho mancato un appuntamento con la storia. La storia di due città, del calcio siciliano ma anche dilettantistico, la storia di un movimento ultras radicato, che in questa zona centrale dell’isola non solo ha fatto breccia ma sta portando proseliti e militanza. Cosa non scontata e non banale se si pensa agli atavici problemi che investono quest’area ma anche all’andamento sportivo delle sue compagini, non certo sempre sulla cresta dell’onda. In sintesi i centottanta minuti giocati sono un grande spot, che dovrebbe far riflettere su quanto sarebbe bello, naturale e redditizio (anche in termini di immagine) poter celebrare sempre questo genere di partite. A tutti i soloni che già alzano la mano per dire: “Sì, ma sai quanti incidenti ci sarebbero? Sai quanto faticherebbe la polizia a contenere addirittura 3-400 persone?” mi limito a rispondere che sono soltanto stati fuorviati dalla campagna mediatica e politica degli ultimi venti anni. Riapriamo tutte le trasferte, facciamo entrare tutto il materiale per il tifo negli stadi e gestiamo l’ordine pubblico come si deve. Vedrete che le cose andranno complessivamente bene. E sapete cosa? Sì, ci saranno incidenti e ci sarà qualche disordine, ma abbiamo talmente tanti strumenti e tante leggi in tema stadio, che nessuno sarà impunito. Le conseguenze debbono essere al massimo singole, non collettive. Sennò parliamo di Stato di Polizia. Ma forse a più di qualcuno – ormai totalmente rimbambito dalla propaganda – piace così.
Tornando alla sfida odierna: quando metto piede sul manto verde osservo gli ultras sancataldesi – che oggi inaugurano il nuovo striscione da casa – impegnati a sistemare gli ultimi dettagli della scenografia. Dall’altra parte, invece, i nisseni cominciano a fare il loro ingresso, dopo aver lasciato le macchine non troppo distanti dallo stadio ed esser incanalati in corteo verso gli ingressi. Per dovere di cronaca devo segnalare uno stendardo ironico esposto sulla rete del settore ospiti da parte dei padroni di casa, con la riproduzione dello striscione Cani Sciolti, storpiato in “Sciocchi”, prontamente tolto dalla polizia prima dell’ingresso dei giallorossi. Tra le due tifoserie partono subito i primi cori offensivi, mentre anche la tribuna opposta a quella dei nisseni va man mano riempiendosi. Ovviamente lo stadio andrà completamente sold out, restituendo un gran colpo d’occhio. Le nuove generazioni sancataldesi e nissene sono forse tra le poche in Italia che potranno dire, in futuro, di aver avuto il “lusso” di assistere al loro derby storico e sono certo che questo le formerà ulteriormente, andando ancor più a ingrandire le rispettive fila. Sì perché, come accennato in precedenza, lo spettacolo nello spettacolo di questo pomeriggio è vedere centinaia di ragazzi – alcuni anche molto piccoli – entusiasmarsi e vibrare ai cori, sventolare bandieroni e inveire contro il dirimpettaio. Tutti con la Trinacria stampata nel cuore, ma tutti con la voglia orgogliosa di esaltare la propria identità e la propria storia cittadina. Ancora catallini contro maunzisi, ancora una volta a rimbeccarsi e a mostrare la superiorità l’un l’altro. Per me, esterno e neutrale, è un’emozione sentire addosso quella sensazione vecchia, antica e apparentemente immortale che mi ha avvicinato a questo mondo. L’odore del fumogeno che si leva al cielo ma anche la tensione negli occhi di chi vuol vincere e non concedere nulla all’avversario. Mentre tutto volge all’inizio, l’ex difensore dei due sodalizi, Davide La Paglia, colpito dalla SLA nel 2008, sfila a ridosso delle tribune ricevendo un bell’applauso congiunto.
Ore 15: le due squadre fanno la loro apparizione sul terreno di gioco. Nel settore ospiti viene esposto un bandierone, sotto cui vengono accesi diversi fumogeni. Lo striscione dei Cani Sciolti è tornato al proprio posto, dopo che era stato ritirato per i numerosi Daspo ricevuti in seguito agli incidenti con gli ennesi, avvenuti nel novembre 2022. Da parte verdeamaranto viene calato un telo con la scritta Pensiero Stupendo, mentre nel settore si sventolano bandierine con i colori sociali e dietro la curva vengono accesi diversi fumogeni. Il risultato è più che ottimo nella sua semplicità. Penso sempre che andar a far leva sugli elementi basilari della nostra tradizione sia sinonimo di successo assicurato. In questo caso molto significativo anche lo slogan usato, con la celebre canzone di Patty Pravo che ben simboleggia il modus vivendi del Commando Neuropatico, gruppo che ha avuto il merito di trasmettere il suo pensiero, per l’appunto, a diverse generazioni e che mantiene una forte identità, ormai assodata all’interno del paese e che gli antesignani del gruppo hanno avuto l’intelligenza e la pazienza di modellare – per certi versi – sui componenti più giovani. La sfida è anche l’occasione per vedere a confronto due modi diversi di intendere il tifo: asciutto, esteticamente impostato sul total black, e caratterizzato da molti cori secchi quello dei giallorossi, più anni ’90/inizio 2000 quello dei padroni di casa, con canti tenuti a lungo, un paio di sciarpate effettuate durante la partita e bandiere sempre al vento. Se è vero che su ambo i fronti i numeri non sono certo quelli convenzionali delle domeniche “normali”, è altrettanto vero che partecipano praticamente tutti al tifo e il risultato è davvero di quelli notevoli. In sintesi: sarà pure un derby sentito dalle due comunità e che si regge sul grande campanilismo esistente, ma c’è anche molta sostanza nelle due fazioni. E questo fa la differenza tra la sfida bella e interessante ma dove prevale il folklore, e quella dove oltre alla rivalità c’è dietro un pensiero ultras che solidifica ogni azione e ogni coro.
In campo la Nissa passa quasi subito in vantaggio, venendo però riacciuffata al quarto d’ora. Un risultato di 1-1 che non cambierà fino alla fine, facendo il paio con il pirotecnico 3-3 maturato al “Tomaselli” nel match di andata. Ma oggi l’aspetto calcistico passa veramente in secondo piano, perché a farla da padrone c’è tutto il contorno. Che poi, non me ne voglia nessuno, ma in contesti come questi la cornice per me sono proprio i ventidue in campo, mentre il quadro, l’opera d’arte, la creatività, sta sulle gradinate. Quei pochi striscioni che sono riusciti a passare le Forche Caudine dei controlli vengono esposti, ma come detto l’aspetto su cui puntare – viste le restrizioni in tal senso – è quello canoro e del confronto da curva a curva. Arriva il triplice fischio e i giocatori vanno a prendere i rispettivi applausi; immagino che per ragazzi arrivati a giocare in questa categoria sia davvero un lusso potersi “esibire” in simili palcoscenici, che non hanno nulla da invidiare alla maggior parte delle gare professionistiche. Si intuisce vedendoli rapiti di fronte alle sciarpe tese delle loro tifoserie e saltellando al ritmo dei loro cori, esattamente come ragazzi che in quel momento potrebbero stringersi ai supporter, sulle gradinate. Ultimi scampoli di diatriba e poi, frettolosamente, i funzionari di polizia invitano i nisseni a lasciare il proprio settore. Esattamente come accaduto lo scorso ottobre al “Tomaselli”, infatti, viene favorito dapprima il deflusso degli ospiti, per poi aprire i cancelli anche ai sancataldesi. Lo dissi all’epoca, lo ridico ora: quando si vuol far ordine pubblico con criterio e logica, lo si fa senza troppe parole. In tal senso sarebbe da chiedere alla Questura di Caltanissetta perché questa gara, in questo impianto, possa essere aperta a tutti e, invece, un Nissa-Siracusa (che peraltro non si giocava da tempo immemore) venga vietata? Almeno una volta nella vita vorrei ricevere una risposta a tali quesiti.
Anche la mia giornata sta volgendo al termine. E anche in questa occasione devo ringraziare i prodi personaggi dell’Osservatorio e le loro tempistiche elefantiache, che mi hanno fatto perdere tutte le offerte Ryanair, costringendomi a prendere – dopo diversi anni dall’ultima volta – il pullman e raggiungere la Capitale via terra. Poco male, la fatica vale tutta l’esperienza. Mi auguro e spero che se le due compagini avranno modo di affrontarsi di nuovo il prossimo anno, i settori rimangano ancora aperti per entrambi. Ma non ci metto la mano sul fuoco e allora sono contento di essermi goduto due partite storiche. Sono soddisfatto di aver visto orde di giovani assiepati dietro pezze e striscioni, magari esausti dopo aver preparato scenografie e materiale per l’intera settimana. Eccitati, tesi, rabbiosi e fieri delle proprie città. Questi derby rimangono la base di tutto il nostro movimento. Caltanissetta e San Cataldo siano orgogliose per quello che hanno dato in questa stagione all’Italia curvaiola. Altro che quelle insulse partite tra Squadre B o, peggio ancora, tra società che giocano lontane dal proprio stadio decine di chilometri. Uno degli antidoti ai mali atavici del nostro pallone è rappresentato proprio da simili giornate e dalla mole umana che a esse dà vita. Varco lo stretto col mare che si infrange sul traghetto e Messina che velocemente si allontana. Saluto la Sicilia, ancora una volta nel giro di poche settimane. Mi addormento esausto per gli ultimi giorni, con il corpo che mi chiede una sacrosanta tregua. Ma è un prezzo che pago volentieri. Vivere tutto il possibile e a pieni polmoni. Viverlo quando si pensa sia irripetibile. Ogni lasciata è persa!
Simone Meloni



































































































