Senza ultras, a questo derby tra Monza e Como avrebbero assistito meno di 500 persone. Proprio così: un vero derby regionale, la Brianza da una parte, il Lario dall’altra; una rivalità sempre molto sentita, non solo dalle curve; una partita in terza serie nazionale, con due squadre di ottima tradizione. Lo ripeto e voglio evidenziarlo, meno di cinquecento persone. Tutta una questione di sottrazioni. Togli gli ultras dal settore ospiti e sarebbero rimasti una ventina di tifosi, per una trasferta di 30 chilometri. Togli il gruppone centrale della Curva Pieri e, tra la curva stessa e la tribuna, ci sarebbero state intorno alle 400 persone. Dimenticavo: oggi c’erano una cinquantina di ragazzi appartenenti alle squadre giovanili del club biancorosso.
Hanno avallato ogni porcheria possibile, dal biglietto nominativo (una vergogna in Lega Pro) alla tessera del tifoso (impensabile, specie in questa serie, da una mente con un minimo di lucidità), dai divieti di trasferte al bando, almeno ufficiale, del grosso del materiale del tifo. “Bisogna riportare le famiglie allo stadio” dicevano, “isolare la parte malata del calcio e riportare quella sana”. La realtà la vediamo tutti, ovvero che, per assurdo, a far sembrare non troppo deserti molti campi di Lega Pro, se non di Serie B qualche volta, ci sono sempre e solo gli ultras. In pochi, direte voi, ma togliete loro e vedrete che non resta nulla. Questo ho pensato, oggi, vedendo uno spettacolo bello nella facciata ma triste nel suo senso più profondo. Nonostante non mi sia certo annoiato, vedere, per l’ennesima volta in questi ultimi anni, che sono solo gli ultras a salvare la baracca, mi fa riflettere.
Se a Monza, come a Como, come a Mantova o a Venezia, o anche in diverse piazze scendendo a Sud, gli stadi, al netto delle tifoserie organizzate, sono desolatamente vuoti, vuol dire una sola cosa: sebbene l’ultras avrebbe dovuto essere il primo a disertare i suoi affezionati gradoni, alla fin fine, egli è l’ultimo a farlo.
Il calcio, soprattutto in questa squallida Lega Pro, è solo: solo con queste squadre artificiali, a volte satelliti delle squadre di Serie A; solo con questi steward che con le loro casacchine risultano tristi come Pierrot dietro la maschera; solo coi suoi annunci antiviolenza, declamati di fronte a 200 persone inermi; solo con la sua burocrazia, con le sue biglietterie in tilt; solo con quei dirigenti dei club che non fanno nulla per tutelare il tifoso inteso come risorsa; solo coi suoi giocatori che si credono star già a 20 anni ma che giocano ad un livello da Eccellenza Regionale, salvo poi mancare di umiltà per ringraziare persino, a fine partita, quei pochi seguaci che ancora ci credono; solo nei suoi abusi di potere, dal signore anziano che non può far entrare il suo ombrello all’ultras che, per un atto d’amore, rischia la sua fedina penale perché sprovvisto di una insignificante tessera; solo coi suoi orari assurdi – novità di quest’anno – che neanche ti permettono di capire quando giocherà la prossima partita la tua squadra; solo col suo ridicolo web streaming che neanche funziona, tra l’altro; solo con le sue regole d’uso per lo stadio, che non risparmiano nemmeno chi ci va a lavorare; solo con le sue inferriate che, in pochi secondi, quando c’è la partita, trasformano delle pacifiche vie di provincia in dei fortini pronti all’assedio delle truppe nemiche, che non arriveranno mai, come nel “Deserto dei tartari”; solo coi suoi interi settori di stadio chiusi, o per aggirare qualche regolamento, o perché, effettivamente, il pubblico è troppo poco e sarebbe tutto ancora più ridicolo; solo col suo abbassare la testa a capo chino di fronte alle richieste della Federazione, della Lega, del Questore o del signorotto locale di turno.
Questo calcio malato ha finalmente una sua diagnosi. Morirà di solitudine. Signore e signori, ora che il Daspo di gruppo è legalizzato, ora che il taser può colpire deliberatamente, che l’ultras può diventare un sorvegliato speciale alla pari del mafioso, ora che un Daspo può durare anche otto anni, più consciamente che mai, spero che esso sia abbandonato anche da quegli ultimi romantici che ancora ci credono e che esitano ancora ad abbandonare i loro gradoni.
Solo gli ultras, oggi, hanno salvato questo che una volta era un bel derby dal degrado fisico e mentale tipico di questo calcio. Ammiro quei lariani che si sono presentati al “Brianteo”; ammiro quei Monzesi, in curva, che hanno ancora voglia di accendere torce e fuochi d’artificio, rischiando sulla loro pelle; mi piace questa vita che faccio tra una partitella e l’altra. Ma, nel prossimo futuro, anche se mi annoierò a morte, spero di essere testimone di quanto gli stadi siano diventati vuoti e tristi, senza nessuno a seguire quelle insignificanti e banali marionette.
Stefano Severi