Vorrei tanto avere un’opinione da parte dei puritani che dirigono Lega e Federcalcio. E poi perché no, vorrei anche che Osservatorio e Ministero dell’Interno, tanto solerti a muoversi per quattro cori che si fanno dalla notte dei tempi, facessero una bella task force in merito. Ma soprattutto vorrei che quelli che un giorno, ahimè pagando regolari tasse, dovrò chiamare colleghi, esprimessero il loro pensiero in merito a quello che sto per raccontare. Eh sì, perché se sono disposti ad etichettare, giudicare e condannare il comportamento di un tifoso in base a delle credenze e dei preconcetti alquanto criticabili, vorrei sapere se con tale veemenza abbatterebbero la loro scure ed il loro mandato d’ignominia verso quello a cui ho assistito in questo ordinario pomeriggio romano. Vorrei davanti a me i vari soloni di Repubblica, Gazzetta e Corriere della Sera. Per domandargli, ascoltarli ma anche semplicemente osservarli negli occhi. Del resto per capire l’onestà intellettuale di una persona ci vuole molto meno di quanto voi pensiate. Pecunia non olet. A buon intenditor poche parole.

Mi rendo conto di trovarmi a scrivere un simile articolo in meno di un anno. Ma all’interno di una stampa in cui i protagonisti hanno il coraggio di riesumare (evidentemente con successo?) pezzi o addirittura fantomatiche inchieste sul mondo del tifo risalenti all’età della pietra, non penso né di essere ripetitivo né tantomeno pedante. Uso solo la loro stessa moneta. Una notizia, se sparata migliaia di volte, alla fine diventa realtà. Anche narrasse di un asino che sorvola i cieli di New York. L’unica differenza è che ciò che mi appresto a scrivere sono fatti accaduti ed incontrovertibili. In teoria alla base di qualsiasi deontologia del giornalista.

Roma, quartiere Cinecittà. Quadrante Sud della Capitale. Zona iper popolosa ed iper affollata di sodalizi calcistici. Come ogni sabato pomeriggio mi appresto ad effettuare il mio compito di cronista sportivo per un giornale locale. La gara in questione vede di fronte il Certosa ed il San Lorenzo per la categoria Juniores Regionali B. Parliamo quindi di ragazzi con non più di vent’anni. L’incontro comincia e come al solito dagli spalti partono le solite invettive da parte di genitori (evidentemente frustrati) che invitano l’arbitro ad andarsi a fare un giro in quel paese in cui nessuno vuole proprio andare ed i propri figli a picchiare duro sulle gambe altrui. Ora, per carità, lungi da me fare la morale. Ma visto che ogni domenica sono solito riceverla, e proprio spesso da molti di questi signori che sfogano la propria amarezza di vivere su ragazzini con almeno 30 anni di meno, ci tengo quanto meno ad essere sincero nel racconto. In queste situazioni si sa come va a finire. Una parola tira l’altra. Un intervento un po’ più falloso in campo, un insulto più intenso di un genitore avversario per cui “quel numero 6 è proprio una merda” (un adulto che insulta un adolescente da dietro una rete. Un cuor di leone insomma) e via che si scatenano le reazioni da parte di chi quel ragazzino l’ha visto crescere. Giustificate penserete in molti. Non m’inoltro nel merito. Ma da che mondo è mondo l’uomo è un animale. Ed in natura se proviamo a togliere un cucciolo alla propria mamma, tutti sappiamo a quali conseguenze andiamo incontro. Attenzione, seguite tutto bene. Perché molti di questi fenomeni della domenica (del sabato in questo caso) sono gli stessi che foraggiano la chiusura dei settori per un coro politicamente scorretto o esigono pene più severe verso chi tira una torcia o un fumogeno in campo impedendo loro di vedere beatamente la loro partita su Sky mentre gozzovigliano sul divano di casa. Forse perché loro non si limitano a ciò. In tribuna infatti, nel fattempo, è scoppiata una rissa. È un qualcosa che accade spesso quando si assiste a partite tra ragazzini. Generalmente le cose vanno così: in campo se le danno per agonismo e non si va mai oltre qualche scaramuccia che finisce appena terminata la partita, nelle tribune i genitori fanno molto, ma molto, peggio degli ultras che tanto spesso vituperano per far contento il loro ego da Massaia di Voghera.

Il San Lorenzo segna. Un gol palesemente viziato da un fallo di mano non visto dal direttore di gara. La rissa sugli spalti per ora si è placata (ricordiamo che se là ci fossero stati due ragazzi di curva dopo una mezz’ora sarebbero stati probabilmente condotti in Questura con riconoscimento, denuncia e Daspo. Non dimentichiamocelo mai perché tutto questo fardello che sto scrivendo deve mettere in evidenza soprattutto i due pesi e le due misure che caratterizzano la nostra società) ma chiaramente in campo ci sono le vibranti proteste dei giocatori di casa. Fioccano ammonizioni ed un espulsione e dopo il fischio che annuncia la fine del primo tempo, l’arbitro fatica incredibilmente a smorzare le polemiche. Ma a questo ci siamo abituati e fa parte del gioco. Mettiamoci peraltro che la svista è stata davvero di quelle clamorose. Ma il meglio deve ancora venire, come direbbe Ligabue. Poco prima che la seconda frazione di gioco ricominci, uno dei moralizzatori sociali presenti sulle tribune (gli stessi che per 45’ hanno coraggiosamente offeso ragazzini con tre decenni in meno) decide bene di sfondare il cancelletto di entrata negli spogliatoi e mettere le mani addosso ad un dirigente della squadra opposta. Ci sono gli ultras? Non mi pare. Allora non è violenza, giusto? Tanto quella, applicata al calcio, esiste solo ed esclusivamente se esercitata dai ragazzi che occupano la curva. Eppure a casa mia, dieci minuti buoni di scazzottate, rincorse, spinte e parapiglia si chiamano rissa. Che peraltro è anche un comportamento sanzionato dal codice penale sempre se non erro. Perché almeno allo stadio funziona così. Anche per situazioni molto più soft. La partita non ricomincia. Non se ne parla proprio. Sospesa definitivamente. Ed i gruppi organizzati dove sono? Rebus per Repubblica, Corriere, Gazzetta: c’è una partita sospesa, trovate la follia ultrà. Vi do una mano: qualcuno che ha frequentato la Sud o la Nord dell’Olimpico lo trovate, almeno potete scrivere la vostra stucchevole premessa “ex ultrà romanista/laziale)” . Abete e Massucci che facciamo con questa tessera? La estendiamo anche questi genitori (che mi sa sarebbero davvero gli unici ad averne bisogno, ma prima magari li affiderei ad un buono psichiatra) oppure pensate che non possano rimpinguare il circuito bancario di famiglia? Osservatorio, CASMS, Corte Federale, Tosel: avete da punire i cori contro le formiche da parte degli scarafaggi oppure pensate ancora che la discriminazione territoriale (ah ah ah!) sia il vero problema di chi segue il calcio in Italia? Datemi un cenno di vita. Vi prego. Je vous en prie, come è solito recitare Woody Allen nei sui monologhi.

L’epilogo. Perché c’è anche un epilogo. Escono i ragazzi delle due squadre dagli spogliatoi. Tra loro non si nota nervosismo. Ma qualcuno dei cuor di leone di cui sopra, pensa bene di aprire ancora bocca per dargli fiato. Provocazione su provocazione, alla fine chi a 20 anni ha già il sangue bollente di suo, reagisce a modo. Altro giro, altra rissa. E che diamine. Non è Savoia-Turris o Partizan Belgrado-Stella Rossa. È Certosa-San Lorenzo! Penso che un pomeriggio così intenso e rissoso attorno ad un impianto di calcio, in Italia non si registrava da anni (l’importante è credere alle veline di regime). Ma domani qualcuno ne parlerà? No. Qualcuno parlerà delle curve dell’Olimpico chiuse per discriminazione territoriale (ah ah ah)? Tutti. È vero che la Serie A non è la Juniores Regionale. È vero che gli interessi che girano attorno al massimo campionato di calcio non sono neanche minimamente paragonabili a queste società di quartiere. È tutto vero. Ma è altrettanto vero che negli ultimi 20 anni ci hanno talmente fatto il lavaggio del cervello con la violenza attorno al calcio, che alla fine si è portati a giustificare gli unici che davvero la compiono senza se e senza ma. L’importante è che non siano ultras. Tutto molto patetico.

Simone Meloni