Dal 2001 il 1˚ giugno non è una data come le altre ad Arce, piccolo e grazioso paese in provincia di Frosinone. Una comunità ferita e profondamente scossa da vent’anni che nel volto di Serena Mollicone – all’epoca 18enne, prima scomparsa e poi trovata uccisa nel bosco di Anitrella, con mani e piedi legati e la bocca imbavagliata – continua a riconoscere una delle ferite più profonde della propria storia. Un mistero che scuote la provincia italiana e continua a suscitare inquietudine. Indagini finora mai ultimate e un macabro codazzo che ha lasciato alle proprie spalle diverse vittime in questi vent’anni. Cominciando dal papà Guglielmo, morto in seguito a un infarto nel maggio dello scorso anno, nel pieno dell’ennesima battaglia giudiziaria condotta per sua figlia (era in attesa che il GUP decidesse sulle cinque richieste di rinvio a giudizio fatte dal p.m. al termine della nuova inchiesta sul caso) e non dimenticando Santino Tuzi, il brigadiere morto suicida nel 2008 dopo aver testimoniato qualche giorno prima sull’omicidio.

Per quanto il mondo ultras sia un fenomeno di carattere sociale, negli ultimi anni mi sono sempre più estraniato dalle sue prese di posizione su temi extra stadio. Questo è sicuramente figlio della mia poca tolleranza ma anche dei troppi “pareri non richiesti” espressi da un movimento troppo spesso impegnato a specchiarsi in battaglie mai realmente ultimate e messaggi più utili ad apparire sulle pagine social che alla causa. Ammetto invece che questa idea partita da Gaia, cugina di Serena, e sposata/pubblicizzata da un gruppo della Nord di Frosinone mi ha trovato pienamente d’accordo. Un messaggio secco che si è espanso per buona parte delle curve italiane e che non ha voluto entrare nel merito ma si è posto come solo e unico obiettivo quello di ricordare una ragazza innocente per cui, dopo quattro lustri, non si è riusciti ad avere giustizia.

Potremmo star qua a discorrere all’infinito sul concetto di giustizia e su quanto essa in alcuni casi – come questo – sia ovviamente soltanto un palliativo rispetto al dolore di una famiglia e di una comunità per un fatto così grave e lugubre. Ma credo che tutti concordiamo sulla necessità di averne una. Di non assuefarci alla barbarie non punita o ai casi insabbiati. 

Con l’omicidio Mollicone vengono spontanee alcune riflessioni e tendo a riconsiderare profondamente il ruolo e il rapporto genitore/figlio. Essere una madre o un padre immagino sia qualcosa di unico, ma ammetto che me ne spaventa la responsabilità richiesta, nonché l’atroce impotenza in casi come questo. Ci vuole coraggio e ci vuole tanta forza in corpo per cercare di abbattere un muro così infame e alto come quello eretto tra la verità e la vigliaccheria di tutto ciò che si nasconde dietro questa vicenda.

E allora ricordare Serena Mollicone, anche solo con uno striscione, anche solo con un messaggio, almeno questa volta non penso sia un atto di sciatta mitomania come possono essere tanti altri atteggiamenti di un movimento che amo ma che ormai da tempo poco riconosco. 

Per avere giustizia, per chiederla e per pretenderla, non bisogna mai e poi mai dimenticare ciò da cui questa necessità nasce e chi ne ha pagato la mancanza senza alcun motivo. 

Simone Meloni