Dopo il riassunto della massima serie appena conclusa, proseguiamo la nostra corsa contro il tempo sperando di completare i nostri canonici riassunti di fine stagione prima che la nuova prenda definitivamente il via.

Storicamente, a fronte di una Serie A orfana da tempo delle famose sette sorelle, dove lo strapotere economico delle grandi si traduce in un incontrastato monopolio sportivo che ammazza la competitività e annoia nella sua ripetitività, la cadetteria è invece spesso e volentieri ricca di colpi di scena e combattuta fino all’ultimo respiro. Non ha fatto eccezione nemmeno questa stagione appena trascorsa, dove proprio sul filo di lana sono stati decisi o bruciati alcuni traguardi. E tanto per rimanere su corsi e ricorsi storici del calcio che fu, solo per un pelo non s’è realizzata una storica tripletta che dopo anni di progetti in vitro pieni di soldi e senza tifo al seguito, avrebbe riportato fra le protagoniste del nostro calcio le squadre che furono di Jurlano con Pasculli e Barbas in campo, di Luzzara e di Romeo Anconetani.

Andiamo però con ordine e partiamo come al solito dalla testa della classifica dove è stato appunto il Lecce a ergersi, vincendo il campionato con un minimo di tranquillità in più rispetto alle altre promosse e rispettando i pronostici della vigilia che lo inserivano nel novero delle pretendenti alla Serie A. Se grande è stata la soddisfazione per i tifosi giallorossi (piccolo risarcimento per una di quelle realtà che più aspramente pagano il conto delle proprie scelte), incommensurabile la si può definire quella di chi tifa Cremonese, compagine che proprio sul filo di lana, dopo aver buttato via la matematica promozione nella penultima gara giocata allo “Zini” contro l’Ascoli (0-1), ha riacciuffato il sogno vincendo a Como. Mentre in contemporanea e clamorosamente il Monza, con un piede e mezzo in A e fra le maggiori accreditate per la vittoria finale, usciva battuto dal “Renato Curi” di Perugia (1-0). Grande risultato per i grigiorossi, fra i piccoli grandi protagonisti del calcio di provincia la cui tifoseria, corroborata dai risultati in campo ma su un’onda lunga che parte decisamente da più lontano, sta facendo segnare forse il suo miglior momento di sempre, in termini di presenze e tifo, dai tempi dei Sanitarium.

Se l’imprevedibilità che da sempre contraddistingue ed ha reso popolare questo sport, ha permesso all’impeto giovanile della squadra di Cremona di avere la meglio sulla corazzata Monza, costruita a suon di milioni da Berlusconi e Galliani, la stessa ha poi saputo prendere il destino per il collo e arrivare comunque in Serie A. Seppur per la strada più lunga e tortuosa dei playoff. Prima assoluta in A per i brianzoli dunque, e per quanto le opinioni in merito possano essere divisive, in fondo l’hanno meritata anche i tifosi che, pur vivendo da sempre sotto l’asfissiante ombra delle milanesi, al di là di sterili considerazioni numeriche, ci sono stati sempre ed ovunque al seguito della loro squadra. Fin da tempi non sospetti.

Grande stagione anche per il Pisa anche se poi l’epilogo dei playoff è stato tanto difficile da metabolizzare quanto vicino sembrava essere arrivato al ritorno in Serie A. In una partita folle come nel più classico copione della B, i nerazzurri toscani dapprima ribaltano l’1-2 dell’andata portandosi sul 2-0 all’Arena Garibaldi dopo soli nove minuti, poi subiscono il ritorno avversario fino al goal del 2-2 a dieci minuti dal termine che però, proprio allo scadere, viene replicato dal 3-2 pisano che porta la gara ai supplementari. Negli ulteriori trenta minuti però viene meno la benzina e il 3-4 finale spegne gli ultimi bagliori di un sogno comunque bellissimo. Poche realtà in Italia come la Curva Nord Maurizio Alberti meriterebbero di riassaporare gloria e palcoscenici di lusso, ma se il tempo e le avversità non hanno piegato una piazza rimasta in piedi anche dopo il fallimento e la ripartenza in Eccellenza, anche dopo una selvaggia campagna repressiva, rappresaglia per il suo grande impegno sociale, prima o poi dovranno essere proprio il tempo e la sorte a piegarsi alla volontà di una tifoseria di ritornare grande.

Retrocesso quasi senz’appello il Pordenone, dopo una serie di belle stagioni e soddisfazioni che, di pari passo, avevano permesso anche alla sua piccola ma volenterosa tifoseria di crescere inequivocabilmente. Anche se poi il processo ha finito per essere arginato dagli anni di peregrinare fra Udine e Lignano, in assenza di un restyling del proprio Bottecchia, un mancato impegno dei massimi vertici calcistici e politici cittadini che, in certo qual senso, è stato concausa o quanto meno foriero del declino realizzatosi in quest’annata.

Pesante la debacle dell’Alessandria, arrivata in Serie B dopo una lunghissima rincorsa durata ben 46 anni e subito costretta a salutare la categoria. Amaramente decisiva l’ultima giornata in cui i grigi, pur giocando in casa, si sono fatti beffare dal Vicenza che li ha agganciati in classifica, accedendo ai playout a discapito dei piemontesi in virtù del vantaggio negli scontri diretti. Gli strascichi di questa disfatta sportiva hanno poi definitivamente logorato i rapporti fra la tifoseria e il presidente Luca Di Masi, con non poche polemiche incrociate proprio in quest’ultimo periodo, striscioni di sdegno e tentativi dello stesso patron di cedere il pacchetto di maggioranza. Cambierà la categoria, cambierà forse anche la dirigenza, alla fine l’unica cosa certa è che i tifosi resteranno sempre al loro posto, patrimonio immutabile del club.

A differenza delle altre retrocessioni, forse più clamorosa è quella del Crotone che se non puntava apertamente a rinverdire i recenti fasti della Serie A, quantomeno era considerato dai bookmaker come una delle possibili sorprese e sorpresa in fondo lo è stato, anche se in negativo. Per vedere il bicchiere mezzo pieno, tornare in terza serie potrebbe essere uno stimolo per la piazza pitagorica che, numeri alla mano, non ha fatto niente per invertire il declino calcistico, facendo registrare la peggior media spettatori dopo Cittadella e Pordenone, che però non sono capoluoghi di provincia, non hanno lo stesso bacino di pubblico e nemmeno la stessa tradizione di tifo. I mezzi ci sono: ripartire si può e si deve.

L’ultima retrocessione avvenuta per mezzo dei già citati playout è purtroppo toccata ad un’altra grande squadra del nostro calcio, il Vicenza di mister Diesel Stefano Rosso, battuta nel doppio confronto dal Cosenza dopo essere arrivata a questi spareggi con una grande rimonta, anche se complessivamente la loro stagione è stata costellata di tanti passaggi a vuoto e un andamento molto deludente. Figlio di questa situazione è il dissapore venutosi a creare fra la Sud berica e la proprietà che fin dal suo insediamento s’è resa colpevole di una serie di scelte strategiche molto discutibili, sicuramente più orientate al business e al marketing che non attente ai sentimenti della tifoseria. Emblematica la maglia scelta per celebrare i 120 anni del club e che nulla ha da spartire con la storia del club, per l’appunto oggetto di polemiche incrociate fra le parti. Non che l’aria che tira in Calabria fra club e tifosi sia più serena, con il serpeggiante malumore degli ultras verso il patron Guarascio che sicuramente riemergerà nel prossimo futuro.

Se non hanno dovuto pagar dazio con il deragliamento totale, sono sicuramente da annoverare fra le grandi delusioni soprattutto il Parma e il Brescia. Se i ducali a tratti hanno addirittura rischiato di essere invischiati nella lotta per non retrocedere, in barba al ritorno di Buffon che doveva rilanciarli verso un ritorno al galoppo verso la Serie A, più prossima all’obiettivo s’è mantenuta la Leonessa, che al momento dell’esonero di Inzaghi era ancora a -5 dall’allora capolista Cremonese, ma ancora una volta la propensione di Cellino all’esonero è stata determinante. Così come a Cagliari anche Brescia, dopo la parentesi al Leeds, comincia ad essere caratterizzata dalle scelte del vulcanico imprenditore sardo che, immancabilmente, si riflettono anche sui rapporti dello stesso con la piazza.

Passate per i playoff ma fermatesi anzitempo Ascoli, Benevento, Frosinone e Perugia, tutte compagini che avevano già conosciuto il dolce sapore della Serie A ma che devono ancora rimandare le loro ambizioni almeno alla prossima stagione. Salvo senza affanni il Como appena tornato in B, fra metà classifica o ad un passo dai playoff si ferma l’annata di Frosinone, Cittadella, Ternana, un po’ più tribolato il campionato della Spal che più che pensare ad un ritorno nella massima serie recentemente perduta, ha dovuto guardarsi dal non sperperare quanto costruito e non sprofondare nuovamente in Serie C. Solo in apparenza più facile la salvezza della Reggina che però ha dovuto fare i conti con una importante crisi societaria che l’aveva portata, per l’ennesima volta, ad un passo dal fallimento. Poi scongiurato dall’ingresso in società dell’imprenditore Felice Saladini, reduce però da un’esperienza non incoraggiante ai vertici della Vigor Lamezia, che ha lasciato più di qualche contenzioso aperto fra lui e i suoi tifosi. In una sorta di mors tua vita mea che seppur non consequenziale è comunque emblematico del costante compito di vigilanza che tocca perennemente ai tifosi. Dormire sonni tranquilli più che ai sognatori è riservato ai poveri illusi, quelli che vedono il calcio come puro intrattenimento. Chi invece come gli ultras crede nei propri sogni deve per essi combattere, restando svegli e fermi nel proprio ruolo di ultimi custodi della tradizione popolare del tifo.