Primo dicembre 2024, mancano solo trenta giorni alla fine di questo 2024. Un anno come tanti altri, tra alti e bassi, almeno per me. È domenica e alle 11.00 sono già in stazione. È la seconda volta che mi trovo ad usare il treno nel giorno della partita. Le distanze mi permettono di viaggiare comodamente e del resto io odio guidare. Soprattutto odio guidare in autostrada e secondo alcuni amici non sono neppure un gran autista.
Il treno è l’Intercity delle 12:45, sono diretto a Sestri Levante per vedere una partita di serie C tra i rossoblù padroni di casa e il Perugia. Trenta minuti scorrono veloci e alle 13:30 sono a destinazione. A Sestri non prendo mezzi, vado a piedi. Amo camminare e poi lo stadio è “sempre dritto”, come si dice in questi casi. Percorro le vie del centro e capisco di essere sulla buona strada quando iniziano ad apparire persone con sciarpe al collo.
Mi muovo veloce, quasi frenetico e spunto davanti allo stadio “Sivori”. È un impianto piccolo, contenuto, nessun ammodernamento all’esterno o almeno non lo noto, direi che si tratta di un classico stadio comunale. Tiro fuori il biglietto, rimbalzo da uno steward all’altro quasi impacciato, poco esperto, ebbene sì anche emozionato. Ma alla fine ci capiamo, vengo accompagnato all’interno da un simpatico signore con i baffi che dopo aver controllato biglietto e documento mi consegna una pettorina gialla.
Poso il mio zaino, mi giro intorno e i miei occhi si posano sui giocatori che fanno riscaldamento, ma allo stesso tempo noto i piccoli spogliatoi con le panche in legno e un ricordo mi porta alla mia infanzia, alle mie domeniche mattina in quegli spogliatoi senza riscaldamento, arredati con mobili di fortuna e quello che più era terribile, le docce fredde! L’ambiente mi risulta così famigliare, che mi aspettavo quasi che il signore con i baffi conosciuto poco prima, arrivasse con un tè caldo ed il salto nel passato, alla mia sgangherata carriera calcistica sarebbe stato compiuto.
Tempi andati, ormai lontani, supero la nostalgia dei ricordi ma ho quasi paura di entrare in campo, di superare la linea laterale. Passano i minuti e i settori iniziano a riempirsi. Quello di casa è abbastanza numeroso, anche se onestamente mi aspettavo più gente: è una tifoseria con trascorsi antichi ma novizia per il professionismo, ultimo assaggio nell’immediato secondo dopoguerra prima di questa parentesi in cui la loro compagine sta faticando non poco. Gli ospiti invece sono un pezzo di storia del movimento ultras italiano. Da ottobre, in onore del capo fondatore dell’Armata Rossa recentemente scomparso, hanno preso la denominazione di “Curva Nord Mimmo Pucciarini”, lo stesso coro secco con cui si presentano in concomitanza del fischio d’ inizio.
Bello l’impatto visivo degli ospiti che, stando a quel che scrive lo stesso Perugia Calcio, sono 152 (sono invece 726 quelli totali). Mi concentro su di loro, battimani, cori ripetuti, un bel tifo direi, ordinato anche se chiassoso. Cantano per tutta la partita, soprattutto nel primo tempo che si conclude con un 1 a 2 in loro favore che li fa ben sperare.
Anche il tifo dei levantini non mi dispiace, continuo e intenso. Non mancano tre bandiere che sventolano con buona frequenza. La partita in campo pure non è male, il vantaggio del Perugia per ben due volte e poi alla fine il pareggio: si rientra agli spogliatoi, dopo il triplice fischio, con un 2 a 2. I perugini contestano, gridando ai giocatori di darsi una svegliata. Pretendono di più, come è giusto che sia per una compagine del loro blasone. I giocatori del Sestri invece, si prendono gli applausi, tutto sommato hanno raggiunto un buon risultato in ottica salvezza.
Quando la contesa è finita, saluto tutti e mi incammino verso la stazione, immerso nei miei pensieri. Non vedo l’ora di tornare a casa il più velocemente possibile, ma anche un ragionamento più articolato si fa strada nella mia mente. Nonostante il calcio proiettato verso modelli da azienda, dove vengono preferite succursali di società avviate in borsa e dal grande fatturato economico chiamate con l’appellativo di squadre B, Futuro, Next Generation, penso che le realtà di provincia come il Sestri siano quelle che facciano davvero bene al calcio stesso, oltre la ristretta visione monetaria.
Sarebbe bello tornare ai tempi in cui questo sport era visto come la rappresentazione di un’identità territoriale e veniva vissuto come un momento di aggregazione che univa ogni fascia sociale. Soprattutto la serie C era il palcoscenico più accessibile alle piccole realtà, squadre di quartieri, paesi, piccole città di provincia che cercavano di farsi conoscere a livello nazionale; competere in questi campionati, incentivava anche la creazione di gruppi organizzati in stretto rapporto con le strade e la vita del tessuto sociale di riferimento. Di tutto ciò non restano che clienti. O quanto meno questo è il tentativo di omologazione che spinge dalle categorie superiori a scendere. Eppure, ancora una volta, dal basso si resiste.
Marco Bardi