Il calcio moderno è sempre più desolante e desolato. Restrizioni, tessere e repressione selvaggia aggiungono un disincentivo ulteriore alla pochezza attuale del nostro pallone. I gradoni grondanti di tifosi sono un ricordo da diapositiva ingiallita. Oggi c’è rimasto solo il grigio di quei gradoni, al massimo la retroilluminazione blu di una tv al plasma che trasmette calcio via satellite, in un salotto asettico dove non puoi urlare gioia o rabbia, non puoi abbracciare qualcuno e non puoi levare una sciarpa al cielo senza risultare ridicolo.

Detto ciò si evince facilmente che andare allo stadio mi piaccia sempre meno e non già perché oggi c’è più violenza, come racconta la favola dei media che assolvono i loro stessi padroni; sicuramente c’era più violenza in passato, e mi piaceva paradossalmente tutto di più perché ogni cosa era (più o meno) al suo posto, due pugni erano due pugni e ognuno pagava per questi, non li si scambiava per tentati omicidi depenalizzando gli omicidi volontari in eccessi colposi di zelo al semplice indossar di una divisa.
A una partita con un settore ospiti il più delle volte vuoto, lo dico senza vergogna, preferisco mille altre attività, ed è solo per fare un favore ad un amico collezionista di Ascoli che mi decido a far rotta verso Forlì. L’incentivo ulteriore è rappresentato dalla annunciata massiccia presenza dei tifosi Ascolani: le cronache della vigilia parlano di 800 biglietti venduti, un piccolo miracolo se si pensa che la trasferta è stata lungamente in dubbio e solo l’intervento diretto (e lodevole) della società Ascoli Picchio FC, che ha messo a disposizione i propri steward, ha contribuito all’apertura di quella che doveva essere la terza trasferta vietata dopo i noti fatti di Pisa.
Le buone premesse rischiano però di naufragare al botteghino degli accrediti, dove del mio pass non c’è traccia: visto che spesso e volentieri mi ritrovo a sputar bile sull’incompetenza e sull’arroganza di tante società, questa volta mi tolgo il cappello davanti all’addetto stampa del Forlì Calcio che, interpellato in merito, con molta gentilezza mi ha preparato un accredito seduta stante e mi ha accompagnato fino al varco d’accesso al campo. Se il calcio vuole riportare gente allo stadio, come dice a chiacchiere, deve prima di tutto ritrovare questa genuinità e rimettere i piedi per terra: di Real Roccacannuccia che si credono il Real Madrid ne faremmo volentieri tutti a meno.

Guadagnato l’ingresso sul terreno di gioco, l’impatto è già buono e promette di migliorare ulteriormente, visto che manca ancora un po’ al calcio d’inizio e l’afflusso continua. Nonostante il “Tullo Morgagni” sia un velodromo, nel suo insieme non è il classico pugno nell’occhio come altri della sua stessa specie: la piccola accortezza che hanno avuto (o a cui sono stati costretti dall’urbanistica) a Forlì, è stata quella di costruire le tribune solo sui lati lunghi (e bassi) della pista, a netto vantaggio degli spettatori, della visibilità e della partecipazione all’evento. La tribuna coperta funge da settore principale, quella opposta, oltre che essere scoperta, è divisa in due: una metà destinata ai tifosi locali, l’altra ai tifosi avversari. Capienza massima ufficiale di 3.500 posti e si può dire che oggi ci si sia avvicinati molto: piena la Tribuna Centrale, qualche vuoto più ampio nello spicchio di casa e quasi il tutto esaurito nel settore degli ospiti.

Quando al cielo si alza il primo ruggito della Curva “Rozzi” formato trasferta (presente anche una bella bandiera a ricordare il vecchio patron Costantino), si ha quasi l’impressione di essere ritornati indietro nel tempo: i numeri sono impressionanti per la triste attualità, ed ancor di più impressionante lo è il tifo. Diversi striscioni e pezze rappresentano la tifoseria bianconera, tra questi fa capolino anche un drappo degli amici Reggini.

Dalla tifoseria di casa, devo essere sincero, non mi aspettavo granché: dopo l’anno della promozione dalla D alla C, l’onda lunga dell’entusiasmo aveva permesso loro di navigare a vele ammainate anche nel successivo campionato, ma da qualche tempo mi sembravano aver esaurito la spinta favorevole. Lo striscione appeso in balaustra, “Presenti solo per la maglia – Rispetto per noi che ci siamo”, lascia intuire dissapori nell’ambiente per la bassa posizione in classifica che spero non siano una sorta di alibi per la poca voglia di tifare. Da lì a poco verrò smentito clamorosamente: i biancorossi, coadiuvati da un tamburo, non solo canteranno per i canonici primi minuti, ad accompagnamento dell’ingresso delle squadre in campo, bensì si faranno sentire in maniera costante per tutta la durata della gara, seppur proporzionalmente al loro numero e/o spesso sommersi dalla straripanza ospite. Anche gli Ascolani si avvarranno di un vecchio ed indimenticabile strumento di tifo come il megafono, ulteriore dimostrazione del clima disteso nella città Romagnola, dove evidentemente le forze dell’ordine pensano a cose più serie che non sequestrare caramelle.

L’ingresso dei ventidue in campo viene salutato da una piccola quanto piacevole coreografia nel settore locale, composta da un bandierone copricurva ricalcante la maglia del Forlì FC e recante il canonico numero 12. Un nugolo di bandiere fa da contorno e completa la bella macchia di colore.
Per gli ospiti è la voce l’elemento forte con cui si cerca di caricare a dovere i propri ragazzi, già ampiamente applauditi ed incoraggiati durante il riscaldamento. Sempre alte le bandiere e le “due aste”, mentre una densa coltre di fumo si leva al lato, innescata di nascosto onde evitare qualsiasi conseguenza. Come da prassi in questo periodo storico, l’elemento centrale del loro tifo saranno i battimani, che assolvono alla doppia funzione sia sonora che coreografica. Il tifo vocale sarà veramente poderoso nella prima frazione di gioco, tanto che solo a sprazzi si riusciranno a sentire i padroni di casa, abili a ritagliarsi qualche spazio nei fisiologici momenti di pausa degli Ascolani. Degna di nota, in questo primo tempo, anche una sciarpata dei Forlivesì, chiaramente sempre commisurata ai loro numeri, ma comunque piacevole a vedersi.

In campo quello che ci si aspetta è che l’Ascoli, coinvolto in un serrato testa a testa con il Teramo per guadagnarsi la Serie B, faccia un boccone solo del meno attrezzato Forlì. Invece il calcio, che non è scienza esatta, offre un confronto molto equilibrato, in cui i bianconeri hanno una supremazia alquanto sterile che non li porta mai ad insidiare sul serio la porta avversaria.

La partita si decide tutta a cavallo dell’intervallo: poco prima di tornare negli spogliatoi, Chiricò dell’Ascoli prova il tiro, il portiere Casadei c’è, ma si lascia colpevolmente piegare le mani dalla palla che sancisce lo 0-1. Un goal segnato così, un secondo prima del duplice fischio dell’arbitro, potrebbe segnare una svolta psicologica davvero pesante. Negli istanti subito successivi al rientro in campo, invece, c’è la reazione che non t’aspetti, con Emilio Benito Docente che ristabilisce la parità in campo. Passano poco più di dieci minuti ed ancora lui, Docente, viene trattenuto in area e si guadagna un rigore che non fallisce.

Il micidiale uno-due tramortisce tanto l’Ascoli in campo che i suoi tifosi sugli spalti. Ad onore del vero, i ragazzi sulle gradinate provano a reagire con maggiore convinzione rispetto ad una squadra in campo che pare disorientata ed incapace di aver la meglio sull’avversario meno blasonato.

Con il passare del tempo, i ranghi si sfoltiscono drasticamente anche tra i tifosi, con il solo zoccolo duro a tirare le fila e a crederci fino in fondo. Saranno poi le inesorabili lancette del cronometro a fare da falce e sgrossare sempre più i numeri del sostegno Marchigiano. Una prima fase di appoggio incondizionato, in cui si tenta con caparbietà di raddrizzare le sorti dell’incontro, lascia man mano il passo al disincanto e al malumore, che da serpeggiante diventa sempre più palese, e dall’arbitro colpevole di aver concesso il rigore, sposta poi il suo obiettivo sulla squadra e su chi l’ha messa tanto malamente in campo.

L’epilogo finale giunge senza ulteriori scossoni, senza ulteriori lampi di orgoglio da parte di una squadra che solo in una circostanza va davvero vicinissima al pareggio, che sarebbe comunque stato poca cosa al cospetto di una pericolante come il Forlì. Festeggiano giustamente i padroni di casa per tre punti che ridanno fiato ad una classifica asfittica, clima pesante invece in casa Ascolana: i giocatori vanno sotto al settore a scusarsi, ma non basta a placare un’ira che costerà cara soprattutto ad un calciatore bianconero, colpito da un oggetto volante.

Immancabili e roventi le polemiche nelle ore a seguire, con la società che per ripicca annuncia di voler aprire la prossima gara interna ai soli abbonati (come se a lanciare quell’oggetto non possa essere stato proprio un abbonato…), colpendo come al solito una tifoseria intera per le colpe di un singolo. A sangue freddo, le cronache raccontano di un ulteriore incontro chiarificatore tra squadra e tifoseria nei giorni successivi, un tentativo di far quadrato e rilanciarsi nella corsa alla cadetteria proprio nel momento topico della stagione.

Al di là del naturale calo dopo il disastro in campo, del nervosismo finale, questa tifoseria ha messo in campo numeri e qualità da altre categorie e da altri tempi, e meriterebbe non solo un premio dal campo, che può arrivare o meno a seconda delle fortune tecnico-tattiche, ma sicuramente un maggiore rispetto dalla componente dirigenziale, che invece l’ha mortificata con delle dichiarazioni e con delle scelte dalle quali si spera sappia fare un umile passo indietro. Vincere è un processo che passa anche attraverso il coinvolgimento della tifoseria, la quale – specie in questo caso – può risultare davvero il dodicesimo uomo in campo. Tagliarla fuori per orgoglio e per stupide guerre “politiche” di posizione, sarebbe tagliarsi un piede a corsa in atto. Inutile dire che, in tal caso, quella corsa potrebbe finire malamente: rispettare i tifosi significa salvaguardare il proprio futuro.

Matteo Falcone.