È una freddissima domenica di inverno. Se sei fortunato non nevica, ma piove. Magari pallini di ghiaccio, come capiterà anche oggi durante il primo tempo. Sarebbero giornate da plaid e vin brulè, cartoni con il cucciolo o se la sua adrenalina pompa, “giochiamo a far la lotta” sul tappeto, comunque con il termosifone a vigilare e rassicurarci. Se solo una “f” separa questa stagione rigorosa e rancorosa dall’inferno che biblicamente tutti temiamo, non sarà proprio del tutto un caso.

Ma voglio farmi del male, assecondo il mio nichilismo e decido di andare a seguire non una gara da massimi palcoscenici, bensì il più umile Romagna Centro. A conti fatti la seconda squadra di Cesena, visto che Martorano, dove la compagine ha sede, ne è una frazione. Le gare del Romagna Centro, oltretutto, si disputano al “Dino Manuzzi”, tranne in questa giornata così ostica, dove nemmeno la gloria del nobile palcoscenico è concessa, e toccherà indirizzare il proprio gps verso il centro sportivo omonimo in cui non ero mai stato. Molto ben organizzato e strutturato, bisogna dirlo: è un vanto per una piccola società come la loro.

Sono curioso. Questo mi frega. E anche romantico. Perché penso che certe storie non possano finire. Così cerco di capire, di toccar con mano cosa è successo alla Campobasso degli ultras dopo il recente, pesante e duplice scioglimento per cui questa stagione ha dovuto prendere il via senza gli storici “Smoked Heads” e il più giovane ma vitale “Nucleo Zasso”. A tentare di riempire questo vuoto c’è un gruppo che risponde al nome di “Curva Nord Campobasso” che, ad essere sincero fino in fondo, non mi convince ancora, a prima impressione. Mi sembrano ancora acerbi, con meno numeri e qualità dei loro predecessori, con uno stile ancora approssimativo o indefinito, ma sono tutte doti affinabili con l’esperienza ed il tempo depone a loro favore. Poi, per dirla tutta tutta tutta, non li ho mai visti dal vivo e le mie potrebbero essere solo sensazioni. Stupidi pregiudizi. Sono curioso. Questo mi frega.

Quando la partita inizia, c’è solo freddo, una pioggia più infida della neve e pochi intimi a far da testimoni. Di ultras nemmeno l’ombra. Onestamente a me del calcio non me ne frega più niente da parecchi anni, per quanto lo abbia disperatamente amato da ragazzo. Non me ne frega di quello patinato delle serie maggiori, ancor meno me ne frega di questo degli infimi livelli (che almeno sono più genuini, diamone atto). Sono un amante tradito e rancoroso. Non conosco mezze misure. Sono qui per vedere gli ultras e gli ultras non ci sono, per cui già comincio ad elaborare l’idea di partire alla riconquista del plaid perduto.

Mentre per ammazzare il tempo faccio qualche scatto ai protagonisti in campo, quando corre il minuto dodici (e il Campobasso perde già 1-0) sento da fuori qualche coretto inequivocabile. Ci vorrà qualche altro minuto, sarà circa al quarto d’ora che una decina di ragazzi si assembreranno nella parte laterale e scoperta della tribuna, a intonare cori e sostenere i rossoblu in campo, che stanno offrendo una prestazione patetica e cinque minuti dopo il loro ingresso, vanno sotto di dure reti. Poi tre. Alla fine cinque. Una disfatta indecente al cospetto di una diretta concorrente per la salvezza, che lascia davvero poche speranze su cui fondare il proprio futuro.

Tralasciando il fattore campo, che interessa sempre relativamente, la nota di encomio senza se e senza ma, va a quella decina di ragazzi che hanno scelto ugualmente di pagare e oltretutto tifare, mentre assistevano a questo scempio irrispettoso nei loro confronti. Saprò successivamente trattarsi di fuorisede molisani che studiano o lavorano in Emilia. Non hanno pezze, nemmeno bandiere e nessun altro segno distintivo. Nemmeno il tifo è in verità un granché, ma sono in poco più di dieci e si può capire.

I presenti provano subito ad imbastire una serie di battimani, uno riuscito veramente bene, e la sequela di cori che si snoda nella prima frazione è tutto sommato buona. Poi, alla fine del primo tempo, vanno a cercare ristoro nel bar del centro sportivo e vi si tratterranno lungamente, fra birra e vino caldo per ritemprarsi. Torneranno quando il Campobasso ha già accorciato le distanze su calcio di rigore, ma sembra più una grazia ricevuta che frutto delle reali intenzioni e capacità di raddrizzare la fortuna.

Dopo la lunga pausa, il tifo nel secondo tempo sarà quasi nullo, forse perché nessuno cova la benché minima speranza per quanto avviene sul rettangolo di gioco. Oltretutto al 64′ il Campobasso rimane in dieci per doppia ammonizione e lì viene meno ogni residua velleità, con il manipolo rossoblu che vira decisamente verso la goliardia più sfrontata e simpatica. Qualche fuorigioco segnalato dal guardalinee diventa causa e pretesto per correre parallelamente allo stesso, ogni volta che passa sotto di loro, facendo anche seguire cori di scherzoso sostegno verso di lui, nella speranza di un altro rigore o qualche altro regalo simile.

Mentre in campo si consuma uno spettacolo a metà tra il comico e il grottesco, i campobassani trovano rifugio in una versione prolungatissima di “A far l’amore comincia tu” di Raffaella Carrà reinventata alla loro maniera, in cui dentro, di volta in volta, ci infilano prese in giro all’allenatore o a quanto succedeva in campo, invocando eroi del passato remoto ad intervenire divinamente. Apoteosi della giornata un coro in realtà isolato, “Metti amen e condividi” che mi fa spanciare dalle risate e sintetizza perfettamente sia l’epilogo in campo, che la somma di divertimento estremo in cui trovano rifugio i tifosi sugli spalti.

A fine partita la squadra ha almeno il coraggio di andarsi a prendere le rimostranze sotto il settore. L’approccio è quasi sconsolato, non c’è quasi rabbia, sembra più rassegnazione, anche se i tifosi comunque chiedono, anzi pretendono che chi vada in campo ci metta il massimo della grinta, specie in partite come questa, contro dirette concorrenti ed ampiamente alla propria portata, al netto dei condizionamenti ambientali e societari.

Mi sono volutamente lasciato alla fine la già menzionata “Curva Nord Campobasso”. Potrei sorvolare con eleganza, ma per onestà intellettuale verso me stesso e chi ha voglia di leggerci, non posso nascondere la mia totale delusione per quest’assenza del loro striscione in questa trasferta. Un’assenza che è una colpa molto pesante per un gruppo che è appena nato, che dovrebbe essere al colmo dell’entusiasmo non già per la brutta situazione calcistica ma per l’energia, la voglia che sempre accompagna chi muove i primi passi. L’eredità sulle loro spalle è molto pesante e bucare una trasferta tutto sommato accessibile, li fa sembrare quanto meno molto lontani dal poterla raccogliere degnamente. Vista la più che onorevole presenza della legione di stanza in Emilia, sarebbe bastata anche solo una macchina o, come spesso avveniva nel passato, persino un solo folle che si mettesse in viaggio in solitaria pur di marcare “presente” in questa trasferta portando con sé una pezza. Invece no, zero assoluto, da tutti i punti di vista. Sono una realtà giovanissima, appena nata e forse sbaglio pure a sovraccaricarla di aspettative; oltretutto hanno parecchio tempo davanti per riprendersi e rifarsi, ma con queste premesse hanno davvero tantissimo su cui lavorare e intorno al quale ragionare la loro idea di gruppo. In epoche in cui la gente viene obbligata a stare a casa, in assenza di quella odiosa tessera, restare a casa pur avendo la possibilità di andare in trasferta è forse il peggiore dei delitti di cui un ultras si possa ideologicamente macchiare.

Matteo Falcone.