Nella giornata calcistica catalizzata dal derby di Roma, in programma alle 20:45, trovo modo e maniera di incastrare due partite tra mattina e pomeriggio, entrambi dagli ottimi contenuti ultras. Dopo la sfida tra Priverno e VJS Velletri, infatti, imbocco con relativa tranquillità la Statale 156, dei Monti Lepini, con la quale risalgo verso la Ciociaria, immettendomi successivamente sulla superstrada Ferentino-Sora. Un itinerario comodo, che oltre a darmi modo di godere del paesaggio bucolico e primaverile che per la maggior parte del percorso si palesa davanti ai miei occhi, mi consente di coprire i circa cinquantacinque chilometri di distanza in meno di un’ora. Praticamente quando parcheggio, proprio a pochi metri dal Liri, manca un’ora abbondante al fischio d’inizio. Torno al Tomei un anno e mezzo dopo l’ultima volta (Sora-Sambenedettese), in occasione di un match a dir poco fondamentale per la lotta salvezza, che vede contrapposta ai laziali una compagine dalla lunga e solida tradizione come la Civitanovese. In questi diciotto mesi di acqua sotto i punti del Lungoliri ne è passata tanta, forse più di quanto sia la reale e striminzita portata di questo fiume negli ultimi anni. Gli ultras bianconeri, dopo numerosi episodi di gratuita e provocatoria repressione (divieto di ingresso per sciarpe e felpe con la scritta “diffidati” su tutti), seguiti da altrettanto gratuitissime diffide e procedimenti vari, dopo la gara contro L’Aquila (17.4.2024), hanno deciso di disertare il proprio settore, spiegando in un lungo comunicato come “non ci fossero le condizioni” e prendendo ovviamente una strada dolorosa ma necessaria. Necessaria, forse, più per tutelare il presente e il futuro del movimento cittadino che per dare un segnale dimostrativo a chi di taluni segnali se ne infischia, in preda ai propri deliri di onnipotenza. Vittime di una folle politica nella gestione dell’ordine pubblico, i sorani si sono trovati davanti a un bivio. Ricevendo la solidarietà di buona parte del mondo ultras delle categorie cosiddette “inferiori”, anche da tifoserie che hanno avuto modo di sperimentare sulla loro pelle cos’era diventato lo Sferracavallo nella stagione passata. Come hanno scritto nel comunicato di rientro, prima di Sora-Vigor Senigallia, “sembra che ora ci siano le condizioni”. Quanto basta per lasciar intendere che alcune cose sono rientrate nella normalità della vita da stadio.

Arrivato nei pressi dei cancelli mi soffermo per immortalare qualche graffito, su tutti quello che ritrae un giocatore di Subbuteo con la maglia del Sora anni ’90, senza dubbio i migliori per il club laziale. Dopodiché mi avvio verso la porta carraia ed entro senza problemi negli spogliatoi, per ritirare la casacca e lasciare il documento all’arbitro. Attraversato il corridoio che porta al campo, sono sul manto verde. La Nord sta preparando una coreografia, mentre i giocatori effettuano il consueto riscaldamento. L’annata sportiva dei padroni di casa si può sostanzialmente dividere in due tronconi: discreta, se non buona, la prima parte, difficoltosa nel girone di ritorno, dove la compagine ha faticato rimanendo invischiata nella lotta per non retrocedere. Quando parliamo di salvezza, a queste latitudini, parliamo di vita, calcisticamente parlando. I tempi delle vacche grasse sono lontani da decenni, soprattutto in una regione traffichina e ambigua come il Lazio, che negli ultimi venti anni si è messa in evidenza solo per scandali, crack finanziari e per l’ascesa fulminea di sodalizi senza storia e tradizione, a scapito di piazze e tifoserie sovente derise e lasciate marcire nell’oblio del dilettantismo. Ogni riferimento a situazioni passate e attuali è puramente casuale!

Tornando alla gara odierna: il rientro degli ultras in Curva Nord ha ovviamente riportato diverse persone allo stadio, sebbene anche oggi i numeri stenteranno a decollare. Ma questo è un male endemico che affligge la maggior parte delle piccole piazze italiane, dove ormai un certo tipo di attaccamento e identità, al di fuori dell’aggregazione curvaiola, si è perso in luogo di molteplici diversivi o, anche semplicemente, della Serie A (vista rigorosamente in televisione). Complessivamente, forse, la cosa peggiore che è cambiata nell’essere tifosi in Italia dall’inizio degli anni duemila a oggi è questa smaniosa, a tratti morbosa, ricerca del grande palcoscenico, della vittoria. Dell’instagrammabile anche, se vogliamo contestualizzare questo discorso ai giorni nostri. Tra l’altro in una realtà come quella sorana, dove l’ultima generazione di tifo organizzato ha veramente lavorato bene in fatto di presenze, approccio alla curva e radicamento sul territorio, ciò è paradossale. Ma rende al meglio la distanza esistente tra ultras e tifosi/sportivi. Di fatto: il “tifa la squadra della tua città” è un qualcosa che ha effettivamente attecchito alla grande in ambito curvaiolo, mentre il tifoso meno passionale tante volte preferisce il caldo del salotto davanti a uno Juventus-Inter qualsiasi anziché le scomodo e fredde gradinate autunnali o invernali. Anche per questo credo che il rientro in curva sia fondamentale, sebbene in quest’annata i bianconeri siano stati pressoché inappuntabili lontani dal Tomei, con presenze sempre ottime da un punto di vista numerico e del colore. Ma questo è possibile proprio perché nell’ultimo decennio sono stati bravi a costruire una base solida, sin dagli anni dell’Eccellenza. Una base che ha permesso di resistere alle numerose diffide piovute e all’allucinante campagna repressiva di cui sopra.

Poco prima delle 15 in Nord si cominciano ad alzare i vessilli che andranno a comporre la piccola scenografia: bandierine bianconere ai lati con la scritta “Forza Sora” fanno da contorno al disegno centrale, che raffigura un Andy Capp con la maglia bianconera, lanciatissimo verso la porta dopo essersi liberato con la forza di un avversario. La frase sotto, “Gonfia la rete”, è a dir poco eloquente su quale sia l’unico obiettivo concepibile per i supporter locali quest’oggi. Rimangono poche partite alle fine e il margine di errore è prossimo allo zero. Come spesso capita da queste parti, lo spettacolo è ben riuscito, anche (soprattutto) grazie alle mani e alla fantasia di chi cerca sempre di portare un qualcosa di dinamico e fresco sulle gradinate. Cosa non facile in un mondo dove quasi tutto è già stato fatto. Poi personalmente non amo gli spettacoli da kolossal, che tante volte strizzano più l’occhio ai social che a un qualcosa fatto con l’intento di spronare la squadra o esaltare la propria militanza. In questo penso che tifoserie come quella sorana abbiano sempre portato avanti una linea che ben concilia la tradizione italiana degli anni novanta/inizio duemila con qualche tocco innovativo ma non pacchiano. Ergo: sono basico e scontato, me ne rendo conto, ma la miglior scenografia per me resta sempre quella nei novanta minuti. Fatta di voce, mani, bandiere e stendardi. Forse la più difficile da realizzare con costanza e intensità. Perché figlia di un lavoro che parte da lontano.

Mentre pontifico su tutto ciò e mi barcameno tra fotocamera, videocamera, cavalletto e giocatori che a un certo punto, giustamente, mi cacciano fuori dal campo, i civitanovesi stanno facendo il loro ingresso. Sistemati i drappi di Piazza Conchiglia e aperti i tre bandieroni portati con loro, gli adriatici cominciano a farsi sentire, aiutati da un tamburo e visibilmente vogliosi di non lasciare la scena ai dirimpettai (con i quali, tra l’altro, ci saranno diversi scambi univoci in favore del movimento ultras e contro la repressione). Che i rossoblù siano una tifoseria rognosa, sempre attaccata alla propria causa e godano di un’ottima considerazione a livello nazionale, non lo scopro certo io. Oltretutto ho avuto modo di vederli in varie fasi della loro storia e, malgrado cambiamenti e stili differenti, una cosa non gli è mai mancata: la voce. Anche oggi si dimostrano bravi nel fare il tifo, cantando per tutti novanta minuti, senza sosta e con battimani a cui partecipano tutti. Peraltro mi sento di dire che il numero portato al Tomei – un’ottantina circa – è più che notevole. Parliamo di una delle trasferte più lontane del girone, a sostegno di una squadra che rischia la retrocessione diretta dopo un solo anno di Serie D. Insomma, queste sono le occasioni in cui si misura il valore di una curva e del suo zoccolo duro.

Capitolo sorani: dopo la scenografia, la Nord si compatta dietro ai ragazzi con il megafono, facendosi sentire con cori lunghi ed esibendo sempre una bella dose di colore, garantita da bandiere, bandieroni e stendardi di ottima fattura. L’iniziale vantaggio marchigiano, chiaramente, fiacca un po’ i bianconeri, che tuttavia si riprendo strada facendo alzando i decibel, venendo premiati sul finire del primo tempo dalla rete del pareggio. Sempre nei primi 45′ viene esposto uno striscione per Raffaele Battisti, capitano ai tempi della Serie C presente quest’oggi in curva con gli ultras. Nella ripresa i bianconeri capiscono che occorre spingere sull’acceleratore e la loro performance si fa più acuta, anche grazie al gol del 2-1 che arriva quasi subito e spalanca la strada a un successo fondamentale. Come sempre non manca la sciarpata, eseguita a lungo e in modo tutt’altro che scontato se si considera la tendenza generale nell’eliminare questo genere di spettacolo folkloristico, in favore del total black e, più in generale, di una asettica sobrietà. Al triplice fischio giubilo per il pubblico di casa, che ritrova i tre punti e può festeggiare con i propri giocatori. Delusione, ovviamente, su sponda civitanovese, con i rossoblù che intravedono lo spettro dell’Eccellenza e sono chiamati a vincere da qui al termine del campionato.

Rimango a centrocampo per fare le ultime foto, con i giocatori che seguono entusiasti i cori degli ultras. Dopodiché, mentre si ritirano gli striscioni, anche per me è tempo di riporre l’attrezzatura, riconsegnare la pettorina, passare nuovamente di fronte alla Madonna posta proprio nel tunnel degli spogliatoi e incamminarmi verso la macchina, direzione stadio Olimpico, per il derby. Riprendendo la superstrada per Ferentino ho in bocca e nelle narici il buon sapore di una mattinata e di un pomeriggio trascorsi dove non si può star male e dove ci saranno sempre spunti e sensazioni per scrivere e analizzare. Quasi mi verrebbe da dire che le vere partite erano quelle e che la stracittadina sarà solo la ciliegina sulla torta. Un paradosso che in realtà renderebbe perfettamente l’idea. Il sole è ancora alto e questo concilia con il buon umore, penso che come me ci sono migliaia di persone su autostrade, treni e pullman che in questo momento vanno o tornano dalle trasferte nel nostro Paese. E tutto questo mi fa pensare al filo che unisce il nostro mondo. Un filo fragile, che a più riprese viene indebolito e messo in pericolo. Magari qualcuno aspetta che a tagliarlo sia l’Atropo della situazione, per consegnare il cadavere del movimento ultras all’Ade travestito da burocrate repressivo. Probabilmente ci riusciranno. Ecco perché val la pena vivere appieno anche gli ultimi secondi di questi momenti…

Simone Meloni