Dopo una stagione dai due volti, il Sora si ritrova a disputare una delle gare più importanti della sua storia recente al fine di mantenere la categoria. Annata tribolata per i bianconeri che, dopo un buon inizio, nel girone di ritorno hanno pagato scelte tecniche e gestionali forse non proprio lungimiranti, venendo risucchiati nella zona bassa e dovendo affidare la permanenza in Serie D al playout contro il Roma City. Per quanto lo spareggio offra ai bianconeri due risultati su tre, resta comunque un terno al lotto, dove spesso e volentieri la squadra meno accreditata riesce nell’impresa. Il rientro degli ultras in Curva Nord, avvenuto ormai diverse settimane fa, rappresenta una spinta in più, nonché il motore per convogliare anche altri tifosi nel settore più caldo dei supporter locali. Per l’occasione gli stessi hanno organizzato una scenografia, che quando metto piede sul terreno di gioco è in fase di allestimento. Su fronte ospite c’è ben poco da segnalare, non avendo il club capitolino un seguito organizzato e potendo contare solo su parenti e amici dei giocatori, che tuttavia espongono uno striscione con la scritta “Anima e Core”, in chiaro riferimento alla canzone portata a Sanremo da Serena Brancale (sebbene questo titolo, in origine, appartenga al brano composto nel 1950 da Salvatore D’Esposito e Tito Manlio).
Quando le due squadre fanno ingresso sul terreno di gioco, il colpo d’occhio in Nord è di tutto rispetto, con gli ultras che mettono in scena il loro spettacolo: un grande telone con lo stemma comunale campeggia al centro del settore, nella parte superiore sventolano diversi bandieroni mentre ai lati viene srotolata la scritta “Orgoglio Sorano”. Riuscita pressoché perfetta e che rende appieno l’idea di chi l’ha realizzata, sottolineando ancora una volta un tratto distintivo della tifoseria locale: la semplicità. Una semplicità che tuttavia produce sempre notevoli risultati, riuscendo a mantenere quel filo di originalità essenziale in questa epoca troppo spesso piatta e senza idee. I tamburi battono il tempo, i bandieroni bianconeri ondeggiano fieri e la voce dei tifosi fa tremare la gradinata. È un boato che non si spegne, un coro continuo che accompagna ogni azione dei padroni di casa, anche se nei primi minuti le occasioni latitano da entrambe le parti. La paura la fa da padrona e la Nord cerca in ogni modo di far sentire la sua vicinanza alla squadra, in questo ultimo atto della stagione. Da segnalare la presenza dei gemellati veliterni, con la pezza della Banda Volsca.
Al 25’ del secondo tempo l’episodio che cambia tutto: una discesa sulla fascia di un giocatore bianconero si chiude con un contatto in area, l’arbitro non ha dubbi e indica il dischetto. Prima lo stadio esplode in un grido di gioia, poi trattiene il fiato. Sul pallone va il capitano Di Gilio, che trasforma con freddezza. Esplode la curva, esplode lo stadio. Qualche torcia viene accesa – una notizia a queste latitudini – e i ragazzi col megafono spingono forte i cori, per blindare gli ultimi venti minuti di gioco e interpretare appieno il ruolo di dodicesimo in campo.
Il vantaggio sorano pesa come un macigno e giocoforza spiana la strada della salvezza con i tifosi che alzano ancora la voce, stringono i denti, sentono il pericolo come se fossero loro a rincorrere ogni pallone. L’ansia di chi in questa settimana ha lavorato per comporre la coreografia e avvertito la paura della sconfitta, del fallimento, lentamente si trasforma in rabbia e voglia di gridare al cielo il proprio orgoglio. Quando dalla curva compare lo striscione in onore dei diffidati, assenti ma presenti in ogni coro e in ogni respiro di chi sta dando l’anima dietro agli striscioni, è chiaro a tutti che qui non si sta difendendo solo una categoria, ma un’identità.
Quando arriva il triplice fischio, è la liberazione. La squadra corre sotto il settore, abbraccia i propri seguaci e insieme esplodono in cori, sfottò verso i rivali storici e urla di gioia che si fondono in una festa che pare non voler finire. Per il Sora è salvezza. Per la città è orgoglio. E per chi come me ha deciso di esserci, è un ricordo che rimane inciso a fuoco: il calcio, quello vero, lo trovi in giornate come questa, proprio perché respiri la sofferenza e l’euforia finale che sanno di genuinità, lontanissime dai palcoscenici della Serie A o della Champions League. Gli ultimi cori, manco a dirlo, sono per i ragazzi che le vicissitudini repressive hanno portato lontano dagli stadi, ma anche per mettere il punto alla lunga stagione oppressiva e prevaricatrice che ha riguardato questa tifoseria negli ultimi due anni. Un connubio (mantenimento della categoria e rientro sulle gradinate del Tomei) che alla fine ha reso giustizia a chi nel corso del tempo ha costruito un movimento solido e con una bella identità in riva al Liri. Una soddisfazione per questa generazione che anche l’anno prossimo potrà confrontarsi con piazze storiche del nostro movimento.
Marco Meloni


























