A queste latitudini cogliere i confini che separano la passione dall’ossessione è un esercizio molto difficile. Per tutta la settimana le previsioni meteorologiche avevano indotto i tifosi pugliesi e campani a cercare una soluzione più “comoda”. Pioggia battente, freddo pungente e soprattutto classifica deficitaria avrebbero spinto qualsiasi persona mediamente equilibrata a restare a casa, godendosi il pranzo domenicale e gli affetti dei propri cari. 

La domenica per poche persone si ripete invece il solito rito: macchine, pullman e pulmini corrono lungo le strade d’Italia coltivando quella che appunto non può essere definita una semplice passione. Se esistesse un tribunale dell’inquisizione, il “reato calcistico” verrebbe rubricato tra i delitti passionali e pertanto severamente punito, con l’aggravante che il tifoso di serie D non potrebbe nemmeno usare come strategia difensiva il prestigio della categoria, come farebbe per esempio il tifoso dell’Empoli; la tradizione del proprio club, come invece farebbe il tifoso del Genoa; o soprattutto la possibilità di vedere all’opera calciatori particolarmente dotati, capaci di regalarti il gesto tecnico, come invece farebbe il tifoso del Manchester City. 

Esiste un manipolo di seguaci che in maniera ossessivo-compulsiva si ritrova imprigionata in un rituale religioso dal quale ormai non ne riesce a fare a meno. Se è quindi vero che l’amore per la propria squadra è un atto di fede allora è altrettanto vero che il calcio va letto e interpretato come una vera religione: ciecamente aderisci.

Perché si decide di seguire una squadra che, nella migliore delle ipotesi, potrà regalare la gioia della vittoria di un campionato ogni dieci anni e soprattutto perché questa passione accompagnato tutta la nostra vita e non è stata invece solo una semplice parentesi, bella, ma durata qualche anno? A queste domande non ci sono risposte, proprio perché non c’è nulla di razionale nel vedere 50 Altamurani e 50 tifosi Sorrentini sfidare pioggia, vento e freddo per il solito spettacolo che una normale partita del Campionato Nazionale Dilettanti può regalare. Lo spettacolo vero infatti è sugli spalti, poco affollati ma caldi di tifo. Al 7 minuto l’arbitro è persino costretto a interrompere la partita per la forte pioggia e mentre i giocatori trovano riparo negli spogliatoi, le due tifoserie continuano a darsi battaglia sugli spalti, rendendo ancora più irrazionale la loro scelta di lasciare il caldo di casa per questo match.

La squadra pugliese spinge a caccia del gol, supremazia comunque sterile che produce solo poche azioni da gol. Il Sorrento dopo una partita in difesa, alla prima occasione buca la rete degli ospiti, per la gioia dei pochi presenti. Lo sconforto tra gli Altamurani è tanto, forse a qualcuno qualche sospetto sull’opportunità di lasciare il pranzo domenicale sopraggiunge, ma per fortuna allo scadere dei 90 minuti arriva la rete del pareggio che comunque non accontenta nessuno.

La partita è diretta dal fischietto rosa Ilaria Bianchini, oggi il mondo del calcio ha infatti voluto regalare l’illusione di combattere la violenza sulle donne e contrastare quindi qualsiasi discriminazione di genere, relegando una donna ad arbitrare non il match più importante che a pochi chilometri vede affrontarsi Napoli e Lazio, ma una delle tante partite del massimo campionato dilettantistico italiano. In un contesto quale è quello calcistico, dove la retorica è il tratto caratteristico, non ci stupiamo più di nulla, neanche di queste inutili finzioni che invece di dare un segnale non fanno altro che peggiorare la situazione generale. La parità di genere la raggiungeremo infatti quando affideremo la direzione di una partita della massima serie anche alle donne, fino ad allora iniziative come quelle odierne saranno tentativi utili solo a lavarsi la coscienza e a rendere lo spettacolo sul campo, un teatrino dall’esito scontato. 

Michele D’Urso