Nel maggio del 2017, proprio di questi tempi, la Spal festeggiava il ritorno in serie A. Otto anni dopo, lo scenario è potenzialmente da incubo: playout per non retrocedere in serie D. Che significa Dilettanti. Solo una volta Ferrara non è stata tra i professionisti. Stagione 2012-2013. Ma non per demeriti sportivi: l’anno prima era fallita. Si capisce dunque, il terrore che c’è al Mazza e dintorni. Dalla serie A alla serie D in otto anni. Un record potenzialmente senza precedenti.
All’andata tra le altre cose ha vinto il Milan, ergo in casa spallina tocca vincere. La tifoseria lo fa capire chiaro e tondo già dal riscaldamento: fuori gli attributi, intimano ai giocatori, perché il tempo di scherzare è finito. Sono più di 10mila sugli spalti, numero notevole per la categoria. La Spal primeggia in termini di pubblico, ma la squadra va al contrario sul campo: e così, eccola giocare il playout. L’ultima possibilità di redenzione, prima della caduta all’inferno.
Sì perché, se ancora non si fosse capito, la discesa in D significherebbe modificare lo stato sociale del club, che diventerebbe per l’appunto squadra non più professionistica; non serve aggiungere altro, per descrivere il clima di tensione che regna sugli spalti. La Curva Ovest, già ai ferri corti con Joe Tacopina (l’avvocato di Donald Trump) ha un solo ed unico coro-slogan: vincere, senza alternative. Anzi, ne ha anche un altro: l’invito a Zio Joe ad andarsene. I danni del resto, dalla retrocessione in C a quella ipotetica in D, sono sotto gli occhi di tutti.
All’entrata in campo della squadra, il colpo d’occhio è davvero notevole: ma quale playout di C. Questo è un pubblico che merita minimo la cadetteria; non si capisce davvero che stia a farci in questo contesto; e a proposito: doverosa parentesi sulle squadre B. Se da una parte c’è una Ovest spettacolare, dall’altra c’è il nulla mischiato col niente. Bello il modello delle seconde squadre. La rappresentazione distopica di quanto cantavano anni fa Elio e le Storie Tese. Nessuno allo stadio. Contenti voi.
Prima della partita c’è il saluto a Pasquale Schiattarella, idolo indimenticato del popolo ferrarese; non solo: sparsi in tribuna, ci sono vari vip del calcio regionale. Due su tutti: Davide Ballardini e Pierpaolo Bisoli. Poi si gioca, con l’undici ferrarese che spinto da un pubblico del genere, non può proprio sbagliare. 2-0 dopo il primo tempo, con una sinergia perfetta squadra-popolo. Ci si chiede anzi come si sia potuti arrivare a tutto questo, dopo aver visto i primi 45.
Il resto è una grande passerella verso il finale: vince la Spal, esultano i 10mila. La Ovest non è comunque in vena di festeggiamenti coi giocatori (emblematico lo striscione “Sparite”, sfoggiato al triplice fischio) e si capisce anche il perché; ma resta lo scampato pericolo. Le feste alla fine sono solo per l’idolo Mirko Antenucci, all’ultima partita in maglia spallina. Ancora cori contro il presidente (“ti prendo a calci nel…se non torni in America”), con lo striscione contestato (“One hundred fucking people”) in riferimento alle sue recenti dichiarazioni contro la stessa tifoseria spallina. In sintesi, canti e i balli andranno avanti ben oltre il novantesimo. Ma è pura autocelebrazione. E insomma: si capisce anche il perché e ci sta tutto.
Dall’altra parte invece, una squadra retrocede nel più completo silenzio. Non c’è neanche un tifoso che gridi improperi, niente. Il buio. Che bello il modello squadre B. Mi perdoni chi legge, ma per una volta mi tocca mandare al Diavolo (letteralmente) la neutralità. Stavolta il bene ha vinto sul male. No alle squadre B. Colpo potenzialmente mortale, per un calcio già malato. Viva al contrario il modello Spal. Quello del calcio di provincia. Nobile. E che pur antico, si ostina a non morire.
Stefano Brunetti














