La più grande vittoria di Stefano Furlan? Aver unito l’Italia del tifo da Nord a Sud. Senza bandiere. Senza vessilli. Senza nomi di città o di settori. Ma solo in memoria del suo nome e della sua storia. Oggi, a quarant’anni di distanza dalla sua morte, dalla sua barbara uccisione, gli ultras alabardati sono ancora impegnatissimi a difesa del suo nome. E dopo la riuscitissima mostra esibita a Trieste nella prima parte di quest’anno solare, continua la presentazione del libro “Una notte lunga 40 anni”. Un momento di incontro, confronto e memoria con il resto della Penisola, portato avanti in modo egregio. E arrivato anche nella “lontana” Calabria. Una lontananza geografica ma non mentale, empatica e solidale. Una distanza colmata dal filo rosso che unisce migliaia di ragazzi e che oggi li ha portati a sedersi nella stessa stanza, all’interno del bellissimo Chiostro di Piazzetta San Domenico, a Lamezia Terme, dove gli ultras della Vigor hanno organizzato capillarmente questo incontro. Una giornata storica nel suo insieme: sia per “l’arrivo di Stefano” sulla punta dello Stivale che per il veder radunate praticamente quasi tutte le realtà curvaiole regionali, raro avvenimento per un mosaico sociale e ultras sempre molto complicato e arcigno. Oltre che ostacolato dalle difficoltà di un territorio che non fa sconti e spesso rende arduo anche passare da una parte all’altra della costa.

Davanti allo stupore di chi forse si aspettava problemi di ordine pubblico o puerili scaramucce di fronte a una questione così più importante, anche rispetto a rivalità e inimicizie, sono stati oltre centocinquanta i presenti, tanto da rendere la sala insufficiente e costringere molti ad ascoltare da fuori. Ascoltare dapprima la ferocia con cui Stefano ha pagato l’incompetenza e la cattiveria di un agente che mai veramente ha pagato le sue negligenze, e poi tutta la strada con cui gli ultras giuliani hanno allacciato i rapporti con la mamma, Renata, e costruito mattone su mattone il ricordo di Stefano. Tanto da renderlo, oggi, una pietra miliare per tutto il movimento ultras. Un punto di riferimento per chiunque si avvicini a questo mondo, nonché l’esempio – purtroppo non l’unico – di come sovente, con una sciarpa al collo, si diventi obiettivi fragili per alcuni abusi e alcuni comportamenti fuori da qualsiasi schema democratico e del vivere civile. Ecco perché la memoria assume un contorno importante, fondamentale. La memoria che parte da Stefano e ci fa tornare a galla le storie torbide di Gabriele Sandri, Celestino Colombi, Luca Fanesi, Alessandro Spoletini, Paolo Scaroni e di tanti altri, purtroppo parte di questa triste e a volte mortifera lista. Su questo ordine di idee, oltre a Lorenzo Campanale, hanno preso parola alcuni esponenti di vecchia data del tifo calabrese, riassumendo quasi totalmente alcuni punti salienti che accomunano tutti e sottolineando come a livello locale sia stato un momento pressoché storico, grazie alla partecipazione di piazze notoriamente rivali e lontane.

Oltre cinquant’anni di movimento ultras e una compattezza che forse neanche i presenti si aspettavano. In un sobrio pomeriggio di metà settembre, con l’inconsapevole risultato di dimostrare la forza di un mondo – quello delle gradinate – ancora oggi vivo e attivo. E se è vero, come qualcuno ha sottolineato, che spesso questo universo non ha saputo combattere e difendere i propri diritti, o farsi sentire quando è stato ripetutamente messo alla porta dal sistema calcio e dalle istituzioni, è altrettanto vero e incontrovertibile che nei momenti del dramma e dell’abuso selvaggio, si è scoperto unito. E questa riflessione vale probabilmente doppio per un contesto regionale come quello calabrese, da oggi forse più cosciente delle proprie forze e della propria ricchezza comunicativa. La forza di Stefano, quattro decenni dopo, è anche questa: far avvicinare entità e mondi diversi ma che da sempre formano il patrimonio curvaiolo regionale, conferendo alla Calabria una tradizione ultras più ampia e profonda di quanto si possa pensare. Magari a fari spenti e silente in alcune sue componenti, ma forte e radicata. Il connubio tra i ragazzi che stanno portando in giro questa iniziativa e quelli che vi partecipano, in ogni parte d’Italia, è forse il ritratto più bello di un movimento aggregativo che con troppa fretta viene liquidato solo come un qualcosa di violento, frivolo e marginale. Bastava vedere le facce dei presenti. Bastava carpirne le diverse estrazioni sociali e culturali. Bastava avvertirne l’eguale emozioni e l’eguale voglia di rendere omaggio a un ragazzo che ha avuto la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con l’aggravante di avere una sciarpa al collo. Da Lamezia, insomma, una messaggio chiaro e forte: l’unione fa la forza, la memoria ne preserva il futuro!

Simone Meloni