Nei giorni scorsi, in Francia, prima di Italia-Spagna erano stati arrestati tre ragazzi italiani per aver esposto uno striscione con il vituperato acronimo “ACAB”. Dopo essersi fatti mettere a ferro e fuoco le città da russi, polacchi e inglesi mostrando parecchie falle nell’organizzazione della sicurezza pubblica, i francesi si sono riscoperti intransigenti persino con i reati d’opinione. Opinioni forti, fuori dalle righe, persino esecrabili se vogliamo, ma opinioni. Poi però la difesa dei tre ha sostenuto che i tre non fossero ultras e che lo striscione non era altro che una goliardata: “Ardone libero. Acab” sarebbe la sua stesura completa e secondo la tesi difensiva, faceva riferimento ad un tale amico di nome Ardone, costretto a casa dopo la bocciatura a scuola. Così il giudice li ha graziati, ammonendoli che in caso di recidiva sarebbero stati invece puniti.

Nel corso degli anni, se vogliamo restare nel solco della goliardia, l’acronimo ACAB è stato usato nei modi più fantasiosi dagli ultras: “All Colors Are Beatiful”, “Ama il Calcio Ama la Birra”, ecc. Sarebbero stati giudicati ugualmente goliardici se mossi da altri “attori”? Resta il ragionevole dubbio su quanto giusta o pericolosa possa essere la discrezionalità che dovrebbe sancire il discrimine fra goliardata e reato. Se non sia orwelliana la rincorsa ad una neolingua come in “1984”, dove solo pensare o pronunciare determinate parole costituiva reato.

Restano quesiti retorici a fronte di un’opinione pubblica per la quale la difesa dei diritti è una questione di classe sociale o di categoria e qualora non si rientri fra quelle privilegiate, non si può rivendicare alcunché: cominciò così, vennero a prendere prima gli ultras che tutti ritenevano colpevoli a priori e indifendibili, gli stessi esposero lo striscione “Oggi per gli ultras, domani in tutta la città”, poi come da profezia erosero pian piano tutti i diritti di lavoratori, manifestanti, cittadini ma non rimase nessuno che potesse piangere se non per sé stesso.

Matteo Falcone.