Quando arrivo a Graz la pioggia scende già fina e pungente. Del caldo torrido dell’Italia mi rimane solo la polo a maniche corte, prontamente coperta da uno strategico giubbino primaverile. Il mio impatto con l’Austria è traumatico da un punto di vista meteorologico. Un po’ meno sotto il piano della vivibilità: il capoluogo della Stiria è la seconda città del Paese per grandezza e importanza, nonché un riconosciuto polo universitario con un patrimonio artistico non indifferente. Il suo centro storico è divenuto Patrimonio Unesco addirittura prima di quello della Capitale – Vienna – e inerpicarsi sul castello, per poi scendere nelle viuzze centrali, visitare i suoi musei e concedersi una passeggiata sul minuto fiume Mura è assolutamente d’obbligo.

Quello che mi colpisce sempre di queste graziose cittadine situate poco più in là del confine italiano (e in questo caso sloveno) è la paciosa tranquillità con cui si presentano. Un sunto della posizione geopolitica che occupano probabilmente. Un’armonia praticamente sconquassata da quello che poi si vede negli stadi. Ma su questo torneremo tra poco.

Oltre che per i sei atenei disseminati sul suo territorio, Graz è celebre anche per l’omonimo Casinò, che a fine anni ’90 (quando i bianconeri raggiunsero i vertici della propria storia conquistando due dei tre titoli nazionali sinora vinti) fece anche da sponsor al club stiriano, sostituendone addirittura il prefisso “Sturm” (Tempesta).

Ampio approfondimento meriterebbe la rivalità con i concittadini del Grazer AK. Inimicizia che purtroppo da un decennio non ha più modo di sfociare nel confronto curvaiolo a causa di una sporca storia di fallimenti e ripartenze poco ortodosse del GAK. Una situazione che ha alcuni parallelismi con quella dell’Austria Salisburgo, su tutti quello di aver visto i supporter del Grazer rifondare la propria squadra ripartendo dal basso con il nome di Grazer Athletiksport-Club.

Ma il focus oggi lo merita questo secondo turno di Coppa d’Austria, che vede opposti ai locali i Viola di Salisburgo appunto. E se dal punto di vista ultras c’è davvero tanto da dire, lasciatemi dapprima rendere omaggio a un club e alla sua gente che forse tra i primi in Europa sono riusciti a non piegarsi alla folle volontà del calcio contemporaneo e delle sue multinazionali, negando qualsiasi appoggio alla Red Bull che nel 2005 ha acquisito la storica società fondata nel 1933, cambiandole nome e colori.

Una scelta che non ha visto alcuna mediazione da parte dei Tori Rossi (e a posteriori penso sia stato meglio così, non possono esserci compromessi in questi casi) e che è culminata con il definitivo abbandono della Red Bull Arena da parte degli ultras nel settembre 2005, al 72′ minuto della sfida contro l’Austria Vienna. Una scelta simbolica, dato che si celebravano i settantadue anni della società. Una decisione ferma, arrivata dopo l’ultima provocazione del patron Mateschitz, quella di apporre sui seggiolini della Curva migliaia di occhiali viola. Come per dire: “Se volete, potete vedere sempre i vostri colori”. Una bassezza (come la proposta di mantenere il colore viola solo nei calzettoni dei portieri e per le partite giocate in trasferta) a cui gli ultras hanno risposto fieramente: “L’Austria Salisburgo sopravvive a tutti voi”. Che suonava come un monito. Una promessa. Poi ampiamente mantenuta.

Sì costituisce così la Sportverein Austria Salzburg (SVAS), che riparte come un’Ultrasverein (società di ultras). Non solo la volontà di non rinnegare fede e passione verso la propria squadra, ma anche una grande intelligenza e lungimiranza nel far ripartire da subito quella che per la Salisburgo calcistica è l’unica e sola rappresentante calcistica. Una rinascita dalle categorie amatoriali. Fatta di campi al limite dell’agibilità, tribune piccolissime e tanto fango da mangiare per tornare quantomeno tra i professionisti. Approdo che avviene nel 2011, con la promozione in Regionaliga. Con il sogno di sfidare gli usurpatori biancorossi in una stracittadina che sembra a un passo nel 2014, quando i Viola riescono a conquistare la Bundesliga 2 (la nostra Serie B), proprio un anno dopo aver perso gli spareggi contro il Liefering, altra società salisburghese controllata dalla Red Bull.

Ma a quel punto bisogna fare i conti con le spese da affrontare (ampliamento del Max Aicher Stadion, messa a norma per le riprese televisive, etc etc) e il club rischia di finire sul lastrico. A salvarlo ci pensano ultras e simpatizzanti di tutto il mondo che, grazie a una raccolta fondi, permettono ai Viola di limitare i danni subendo “solo” una retrocessione d’ufficio in Regionaliga. Una battuta d’arresto, ma uno scampato pericolo che ha sottolineato quanto questo progetto sia riuscito a far colpo nel cuore del tifoso, quello che ancora preferisce la tradizione, i colori e la passione a uno scialbo teatro in cui c’è una squadra che vince qualche coppa e campionato.

Quindi è facile comprendere perché il viaggio a Graz assuma contorni a dir poco eccitanti per la tifoseria viola. La trasferta in casa bianconera manca da diversi anni e lo stimolo di confrontarsi con una tifoseria di livello è assolutamente più grande del giorno infrasettimanale e dell’orario pomeridiano. Inoltre c’è una vecchia rivalità da onorare e di fronte una Curva davvero in grande spolvero negli ultimi anni.

Mi incammino verso lo stadio usufruendo del comodissimo tram che in una decina di minuti mi porta a destinazione. Il mezzo arresta la propria corsa poche centinaia di metri prima della fermata. Un imponente schieramento di polizia è dispiegato sui binari e ci vorranno diversi minuti affinché gli uomini in divisa si spostino. Appena sceso capisco il perché di tutta questa agitazione: il clima è frizzante e parecchi ultras di casa stanno cercando di sfondare parte del cordone per arrivare ai salisburghesi. Volano torce e qualche bottiglia ma il tutto sembra rientrare. Per onestà: non so se prima del mio arrivo fosse successo altro, quindi mi limito a scrivere quanto visto.

Sta di fatto che l’aria mi riporta subito a una sensazione che sembrava svanita, quella tipica degli stadi italiani almeno fino a metà anni duemila. Un mix di adrenalina e felicità, ben corroborato dall’odore delle torce. La polizia austriaca, pur con qualche affanno, sembra controllare. Riprendendo ovviamente tutto e riuscendo a convogliare i tifosi dello Sturm Graz verso il loro settore.

Penso a quanto questo genere di episodi in Italia genererebbero scalpore e scandalo, mentre qua sembra tutto sommato passare quasi inosservato. Sì, ok, è vero che la cassa di risonanza del nostro calcio è sicuramente differente, ma è diverso anche l’approccio alla violenza. Se vogliamo alquanto strano, basti pensare all’indignazione che può provocare una rissa da stadio se paragonata alle ricerca di assurde giustificazioni in caso di stupri o violenze sessuali.

Facendo altri paragoni – ma in ambito stadio – noto subito come anche qui il grosso dei gruppi sia composto da giovani. Il che lo trovo davvero salvifico per il movimento e per il suo futuro. Mentre purtroppo da noi in troppe occasioni ci si ostina a lasciare al comando vecchie cariatidi, che ovviamente al passo con il loro tempo finiscono per irretire prima, e poi scoraggiare e svilire tutta l’esuberanza giovanile. Anziché canalizzarla e darle un’inquadratura. Finiscono, di fatto, per reprimere anche quello che loro da ragazzi sono stati. Un conflitto generazionale triste e anacronistico, che negli anni non ha bastonato solo il mondo dello stadio, ma anche altri comparti – ben più importanti e vitali – della società italiana.

Prima di guadagnare l’accesso alle gradinate mi concedo un giro attorno al piccolo ma accogliente Stadion Graz-Liebenau. Un impianto moderno ma non eccessivamente commercializzato, ancora a prova di tifoso. La dimostrazione di come si possa (si debba) riammodernare uno stadio senza estirpargli l’anima e senza voler trasformare a tutti i costi il tifoso in un cliente acritico. Ma anche qua, ovviamente, fa molto la mentalità del Paese in cui si propongono certe cose.

Purtroppo per noi siamo un popolo che difficilmente riesce a riconoscere l’importanza di preservare un qualcosa di tradizionale (il che già di suo fa ridere pensando al patrimonio artistico e culturale che deteniamo). Se oggi da noi arrivasse una Red Bull del caso saremmo pronti a opporci oppure ci lasceremmo scivolare addosso tutto? E in caso, riusciremmo a fare ciò che hanno fatto i ragazzi di Salisburgo? Con tutto l’amore che ho per il movimento ultras italiano, permettetemi di nutrire i miei dubbi. Negli anni abbiamo dimostrato di non saper portare avanti battaglie unitarie, perché ci perdiamo nelle nostre fissazioni, nelle nostre rivalità e in altre minuzie che da sempre sono state un’arma a doppio taglio.

E poi ci sono sempre le vecchie cariatidi di cui prima a fungere da zavorra. A polarizzare idee e discorsi passati, mentre ahinoi il mondo va avanti e – esattamente come per tutte le generazioni – non va come vogliamo noi. E pure se non possiamo cambiarlo sarebbe bello contrastarlo, contestarlo o almeno raggirarlo. Non rimanere fermi. Stantii. Immobili. E finirne per essere parte integrante!

E va bene, è anche vero che l’Italia in fatto di repressione da stadio è forse il Paese più all’avanguardia nel mondo. Nessuno lo nega. Spettacoli pirotecnici come quelli visti questa sera a Graz da noi porterebbero molte tifoseria alla dissoluzione. E sì, lo so: veniamo da anni di divieti, restrizioni, impossibilità di fare aggregazione per bene. E infine so bene che l’Italia ha un tessuto sociale ben differente da quello austriaco, con realtà che ormai sono fortemente permeate da interessi extra-stadio, che non permettono certamente di dar priorità alla causa ultras. Ma tutto questo è vero fin quando non diventa una scusa. Da queste parti si cresce, c’è voglia di far strada e si dà spazio ai più giovani. Da noi le cose vanno al contrario. Salvo rare eccezioni.

Con la pioggia che ora si è intensificata la giornata prende in tutto e per tutto le dovute sembianze nordiche. Ma non è un difetto, semmai contribuisce a creare un ambiente davvero particolare. Le due tifoserie sono al completo pochi minuti prima del fischio d’inizio e tra le fila ospiti figurano i gemellati di Barletta, Udinese, Saarbrucken e Aarau. Mentre nella curva di casa scorgo una pezza dei ragazzi di Brema. Lo stadio non registra il tutto esaurito, ma la cornice di pubblico è comunque più che dignitosa.

Quando le due squadre fanno il loro ingresso in campo la Curva dello Sturm si colora con una densa fumogenata bianco/nero/verde. Il fumo si alza lentamente, finendo per causare il ritardo del fischio d’inizio. Gli ultras viola mostrano invece una coreografia con lo stemma sociale, semplice ma significativa. Per sottolineare come malgrado tutto loro e la loro squadra ci siano ancora.

Sul tifo cosa devo dire? Certe cose bisognerebbe viverle, sentirle. Non è facile riportare novanta minuti del genere per iscritto. A parte lo sconfinato utilizzo di pirotecnica, quello che davvero mi colpisce è l’intensità con cui le due tifoserie si confrontano. La voglia di sovrastarsi e farsi sentire. Quella che in Campania chiamano “cazzimma” e che ormai troppe volte – di contro – manca alle italiche Curve. Non si tratta neanche di cantare tutti (sebbene qui cantino davvero tutti) ma proprio di farlo con convinzione. Forte. Ben diretti dai lanciacori. Nessuno sembra stare sulla balaustra tanto per farlo o sulle gradinate con l’unico obiettivo di pubblicare un selfie su Instagram in serata. Grazer e Salzburger offrono uno spettacolo davvero meritevole e al quale assisto stropicciandomi gli occhi. Se dovessi riassumere questa partita direi che c’è tutto quello che mi ha fatto innamorare dello stadio e degli ultras.

Nota di merito anche per il materiale: su ambo i fronti curato e ben realizzato. Si vede che ci sono testa e lavoro dietro, e queste due componenti ripagano sempre.

In campo – come prevedibile – è ovviamente lo Sturm Graz a spuntarla, con un 3-1 che comunque restituisce più che dignità agli avversari considerata la differenza di categoria. Le due fazioni non smettono di cantare neanche quado le due squadre, dopo aver raccolto i rispettivi applausi, rientrano negli spogliatoi. È una serata magica, si percepisce dall’aria. E forse lo è ancor più per me che troppo spesso mi sono adagiato sulla mediocrità italiana. Nessuno se ne vuole andare, sebbene io debba cominciare ad avviarmi verso la stazione. Il viaggio prima verso Vienna e poi verso Roma sarà lungo e tortuoso, con una notte da passare in aeroporto.

Respiro appieno l’odore dell’aria ancora colma di pioggia. Non mi capita spesso di lasciare uno stadio con tutta questa soddisfazione addosso. Ma anche con tanti spunti di riflessione, perché quando si capita di fronte a qualcosa di bello e accecante bisogna sempre analizzarne la natura. Capire da dove provenga questo splendore e metterlo sotto forma di parole. Non certo tenerlo per sé stessi.

Bevo l’ultimo sorso di birra.

Qualche anno fa i clienti della Red Bull Salisburgo – quelli che vanno allo stadio spacciandosi per tifosi o addirittura ultras – si sono lamentati perché, a detta loro, la società sarebbe diventata una succursale della Red Bull Lipsia, con giocatori regalati al club tedesco. E ancora perché dopo il decimo titolo vinto la multinazionale decise di non apporre la classica stella sulla maglia per non rovinare il logo.

Tutto ciò farebbe ridere, se non facesse piangere.

Testo di Simone Meloni
Foto di Simone Meloni e Jürgen De Meester