Non è la prima volta che leggo Andrea Ferreri, lo seguo dai tempi di “Ultras, i ribelli del calcio”, prima pubblicazione in cui già traspariva tutto il suo potenziale, nonostante si trattasse di un’opera puramente accademica, che poco margine offriva alle possibilità espressive. Proprio per questo (e per essermi perso “A Sud di Maradona”, che racconta il Lecce di Barbas e Pasculli) ho accolto con molta curiosità questo nuovo lavoro, dove si cimenta appunto con un genere meno vincolante dal punto di vista narrativo.

“Sugli spalti” è uscito recentemente per i tipi della “Meltemi”, che già con “Ultras, gli altri protagonisti del calcio” del nostro Sebastien Louis, aveva cominciato a muoversi in direzione degli stadi. E a sdoganare questi spesso bistrattati grandi contenitori sociali accanto ai temi più alti della saggistica antropologica e storica. Andrea Ferreri spinge ancora oltre questa metafora del calcio come paradigma umano: il suo è infatti, citando liberamente il sottotitolo, un viaggio negli stadi del mondo per raccontare attraverso di essi storie di sport, popoli e ribelli.

Venticinque stadi in giro per il mondo a partire dal leggendario Maracanà al semisconosciuto Aline Sittoe Diatta in Senegal passando per La Bombonera di Buenos Aires, El Centenario di Montevideo, l’Azadi di Teheran fino a chiudere il cerchio, con un po’ di lecita partigianeria, al Via del Mare della sua natia Lecce.

Chiunque viva fuori dai soliti stupidi preconcetti lo sa già, lo stadio non è solo mero teatro di contese sportive e tifo. Ci sono sì fra i suoi racconti anche partite memorabili dal punto di vista agonistico, come la prima finale mondiale in Uruguay o quella a suo modo tragica di Rio de Janeiro nel 1950. Quando i padroni di casa del Brasile persero in maniera così inattesa la Coppa del Mondo, ad un passo dal trionfo, che tanti tifosi piombarono in una tale depressione da spingersi fino al suicidio. Ma ci sono altresì partite che spaziano nel faceto, come l’esordio nel West Ham di “Tittyshev”, o quelle più serie come fra Honduras ed El Salvador da cui scaturì la cosiddetta “guerra del football” fra i due paesi, resa celebre anche dal libro del noto reporter Ryszard Kapuscinski. Che poi non è esattamente vero dire che la guerra cominciò lì, come non è giusto dire, da un punto di vista storico, che la guerra in ex Jugoslavia cominciò al Maksimir di Zagabria, nella partita del calcio volante di Boban al poliziotto. Altro evento iconico di cui si parla in questo libro.

Oltre le storie note, ce ne sono tante altre meno conosciute al grande pubblico. Altri momenti in cui questi impianti sportivi hanno fatto da crocevia della Storia con la maiuscola. È il caso dello stadio Camille Chamoun di Beirut nei pressi del quale sorgeva il campo profughi palestinese di Sabra e Shatila, tristemente famoso per il massacro del 1982, ça va sans dire per mano israeliana. Oltre alle macerie dello stadio, il raid lasciò a terra un numero imprecisato di vittime palestinesi (fra poco meno di 1.000 a 3.500, a seconda delle stime). La tragedia è raccontata anche dal bellissimo film animato “Valzer con Bashir” di Ari Folman.

Per restare su citazioni cinematografiche, c’è anche l’Ellis Park di Johannesburg, teatro del trionfo delle “Antilopi di Madiba”, la compagine sudafricana di rugby che, con la vittoria del Mondiale giocato in casa, diede un importante contributo alla riconciliazione nazionale dopo la fine dell’Apartheid. Storia che è stata magistralmente raccontata anche da Clint Eastwood con “Invictus”, il film con Morgan Freeman nei panni di Nelson Mandela.

Tanti altri grandi uomini e donne popolano le pagine di questo libro, come Frits Philips già presidente del PSV Eindhoven e nominato “Giusto tra le Nazioni” per aver salvato 382 dipendenti ebrei della sua fabbrica dai rastrellamenti nazisti. O come Sahar Khodayari, ribattezzata Blue girl dai colori della sua squadra del cuore, l’Esteghlal di Teheran, che per seguire dal vivo allo stadio si travestì da uomo, ma dovette poi fare i conti con la severa teocrazia iraniana. La sua è stata anche, o forse soprattutto una battaglia di emancipazione femminile dalla posizione di forte subalternità a cui le donne sono costrette in quella regione.

Ci sono insomma tante di quelle vicende, umane, politiche e sociali che sarebbe ridondante elencarle tutte. C’è poi lo stile di Ferreri che è colloquiale, elude il Barocco di paroloni o altre ampollosità linguistiche facendo sentire a proprio agio il lettore, mettendolo idealmente a sedere di fronte a lui come se fosse un amico a cui, davanti ad un caffè o una birra, racconta le avventure e le curiosità dei suoi viaggi intorno al mondo. Condizione non irrilevante questa, che l’autore, da cooperante, ha visitato in prima persona tutti i luoghi di cui parla e riesce ad avere, restituendola al contempo, una prossimità ai fatti e una aderenza al reale molto forte, che ne consolidano la credibilità.

In definitiva, un libro che si lascia leggere molto piacevolmente, che contiene una miniera di informazioni e suggestioni superiori alla media di tanti libri calcistici dell’ultimo periodo. Per lo più mere riproposizioni discorsive di voci di Wikipedia. Lo trovate chiaramente in tutti i grandi negozi online, sul sito dell’editore o, come nel nostro piccolo consigliamo sempre, dal vostro libraio di fiducia indicando l’ISBN 9788855193320.

Per tutti quelli per cui il calcio non è solo “undici scemi in mutande che inseguono un pallone”, è senza dubbio una lettura da regalarsi e regalare.

Matteo Falcone.