Fatta l’andata, si fa anche il ritorno”: recita così un vecchio motto in voga tra i “partitellari”, per cui, dopo aver visto la sfida del “Colavolpe” tra il Terracina e il Teramo, primo round dei quarti di finale della Coppa Italia Dilettanti, decido di seguire anche il ritorno al “Bonolis”. Mi ritrovo, dunque, nel cuore dell’Italia appenninica a soli tre giorni di distanza da una bella doppietta nel Sannio, dove ho assistito, nella stessa domenica, alle sfide Campobasso-Avezzano e Benevento-Messina.

Quando metto in moto l’auto per questo mio ennesimo viaggio in solitaria mi accorgo che il margine di tempo non è abbondante, per cui, nelle successive due ore e quaranta alla guida, sono purtroppo costretto a rinunciare alle mie solite soste fotografiche (sono appassionato di monti e cartelli stradali…), non potendo concedermi il lusso di sprecare minuti preziosi. Nonostante sia un giorno infrasettimanale il traffico in autostrada è scorrevole e il viaggio procede spedito, per cui, quasi senza accorgermene, mi ritrovo alla diramazione di Torano, dove l’autostrada per Chieti e Pescara si stacca dalla Roma-Teramo. Davanti a me appare la mole innevata del Velino, il Signore del Lago, detto così perché un tempo ai suoi piedi brillavano le acque del Fucino, bacino lacustre fatto definitivamente prosciugare dai Torlonia nel XIX secolo, dopo un primo tentativo dell’imperatore romano Claudio.

In pochi minuti mi lascio alle spalle la Marsica e raggiungo la conca aquilana: il paesaggio è dominato dal massiccio del Gran Sasso, che poi scompare alla vista una volta imboccato l’omonimo tunnel, lasciato il quale si entra nella provincia di Teramo. Durante il viaggio ho guadagnato qualche minuto: potrei fermarmi nella solita piazzola di sosta verso Basciano per fotografare l’impressionante versante nord del Camicia, il paretone del Corno Grande e il magnifico rifugio Franchetti, ma i picchi appenninici sono coperti da un velo di nubi, quindi punto dritto allo stadio.

Ormai vedo Teramo, bellissima città posta in una posizione invidiabile, essendo situata a pochissima distanza dal mare e dalle vette più elevate dell’Appennino. Da queste parti, nelle soleggiate giornate di fine maggio o di inizio giugno, al mattino si può sciare nella conca del (fu) ghiacciaio del Calderone, mentre il pomeriggio si può nuotare tra le onde dell’Adriatico: pochissimi posti al mondo offrono tutto questo!

Interamnia era la capitale dei Praetutii (Pretuzi), uno dei tanti popoli di lingua osco-umbra dell’Italia preromana. Dalle forme intermedie Interamne e Teramne è derivato l’attuale nome, che significa “città tra i due fiumi”, essendo posta alla confluenza del Tordino e del Vezzola. Più precisamente, Teramo era detta Interamnia Praetutiorum per essere distinta da Interamnia Nahars, l’odierna Terni, fondata dall’antico popolo degli Umbri e bagnata, anch’essa, da due corsi d’acqua.

Sono nel cuore, dunque, dell’Ager Praetutianus, territorio sottomesso dal generale romano Curio Dentato nel 290 a.C. In seguito a questa annessione gli abitanti di Teramo furono iscritti alla tribù Velina (quelli di Anxur-Tarracina facevano parte, invece, dell’Oufentina). Le tribù, nell’antica Roma, erano circoscrizioni territoriali alla base dei comizi tributi, l’assemblea che eleggeva i magistrati sine imperio.

Nell’Alto Medioevo il territorio della diocesi di Teramo era detto Aprutium. Flavio Biondo, umanista quattrocentesco autore dell’opera Italia illustrata, fa derivare il nome Abruzzo da questa parola, che lo studioso collega all’etnonimo Pretuzi. Il termine Aprutium compare per la prima volta in una lettera del pontefice Gregorio Magno (secolo VI d.C.) a Oportunus de Aprutio, vescovo di Teramo (episcopus Aprutinus sive Interamnensis).

Dal Medioevo fino al Risorgimento, poi, il territorio teramano seguì le vicende del Regno di Napoli, di cui fu, per secoli, la frontiera settentrionale (al di là del fiume Tronto iniziavano le terre della Chiesa): i suoi dominatori furono, in successione cronologica, i Longobardi, i Normanni, gli Svevi, gli Angioni, gli Aragonesi, gli Spagnoli, gli Austriaci e i Borbone.

Mentre ripasso un po’ di storia arrivo, infine, all’uscita di San Nicolò a Tordino, dove lascio il raccordo per Giulianova. Il “Bonolis” è proprio a ridosso dell’autostrada. Dopo aver parcheggiato l’auto, scatto una foto al botteghino con il murales Sacrificio e passione”, poi guadagno il terreno di gioco e inizio a preparare l’attrezzatura.

Volgo lo sguardo al settore ospiti e noto che i terracinesi sono presenti in gran numero: dalla cittadina tirrenica sono giunti circa trecento sostenitori, una cifra di rilievo, soprattutto se rapportata al giorno infrasettimanale, che dimostra come quella biancoceleste sia una piazza meritevole di categorie superiori. Dall’altro lato, nella zona centrale della Curva Est, prendono posto i ragazzi di Teramo. Nel settore non ci sono stendardi: come noto, i Sedici Gradoni e i Teramo Zezza hanno deciso di ripiegare momentaneamente le proprie insegne, mentre i gruppi che seguono con i loro vessilli in trasferta, presenti all’andata al “Colavolpe”, non entrano al “Bonolis” da tempo.

Tra uno scatto di prova e l’altro arrivano le 14:30 e i ventidue si schierano sul manto verde. I terracinesi danno vita a una coreografia: fanno scendere un telone biancoceleste, con la scritta Curva Mare e l’immagine della tigre, poi aprono uno striscione con l’espressione latina “Macte animo”, traducibile semplicemente con “Coraggio!”. Questo motto richiama il verso 641 del libro IX dell’Eneide di Virglio: Apollo osserva Iulo, figlio di Enea, combattere contro i Rutuli e gli dice: “Macte nova virtute, puer; sic itur ad astra…”, cioè “Viva il tuo nuovo valore, fanciullo: così si va in cielo…”. I bandieroni e i due-aste accompagnano questa splendida scenografia, la cui colonna sonora è il coro “Ovunque andrai saremo, sempre ti sosterremo”. Nella Est, nel frattempo,i teramani si compattano bene e intonano dei cori secchi per i diffidati.

Nel corso della prima frazione le due tifoserie offrono un bel tifo: i teramani effettuano tantissimi battimani, intonano cori prolungati e secchi e sventolano il bandierone con la scritta Interamnia. Anche i terracinesi optano per una mescolanza di cori prolungati e a rispondere e sventolano senza sosta i numerosi bandieroni. Sia nella curva di casa che nel settore ospiti i cori sono accompagnati dal tamburo. Sempre nei primi quarantacinque minuti i tirrenici espongono uno striscione per i diffidati, applaudito dai biancorossi, ed effettuano una sciarpata.

Al 9’ il Teramo, in maglia verde, va in vantaggio con Oses, che infila il pallone in rete dopo un palo colpito da Santirocco. La Mare, in formato trasferta, continua a tifare e il Terracina prova a reagire: Curiale batte Negro con un colpo di testa, ma la rete dell’attaccante tigrotto viene annullata dal direttore di gara. Al 47’ gli abruzzesi realizzano la loro seconda marcatura con D’Egidio, che supera Martinelli con un pallonetto. Al duplice fischio del direttore di gara le due squadre prendono dunque la strada degli spogliatoi con il Teramo avanti di due reti.

Nella ripresa il copione del tifo è lo stesso della prima frazione, con le due tifoserie che cantano in modo costante. I terracinesi si fanno sentire con tantissimi cori prolungati, mettendosi in mostra per il colore che conferiscono al settore con i bandieroni, le bandierine e gli stendardi sempre aperti. A intervalli regolari si vedono transitare, alle loro spalle, i treni regionali che collegano Teramo con la ferrovia adriatica. Nella curva di casa anche i teramani tifano in modo continuo, effettuando tante manate e mostrando sempre il loro bandierone. I biancorossi omaggiano anche gli amici che non ci sono più.

Al 77’ la squadra di casa chiude i conti con Cangemi, che trafigge l’estremo biancoceleste con un tiro al volo. Il Terracina accorcia le distanze con Sossai all’84’, ma la rete vale soltanto per le statistiche, considerato l’1-1 dell’andata. I terracinesi cantano “3-1, 3-2, 3-3”, ma dopo cinque minuti di recupero il triplice fischio mette fine ai giochi: il Teramo approda in semifinale, dove affronterà i siciliani del Paternò.

Finita la partita le squadre salutano i propri sostenitori, mentre io sistemo l’attrezzattura e guadagno l’uscita. Il mio pomeriggio teramano non termina qui: decido di andare a vedere l’esterno del mitico e glorioso “Comunale”, la vecchia casa del Diavolo, teatro di sfide epiche e irripetibili, oggi memoria architettonica di un calcio che non c’è più. Camminando per le strette vie intorno provo a immaginare l’atmosfera che si poteva respirare in quelle strade e su quegli spalti in occasione di ogni partita, e ripenso ai miei anni alle medie, quando già amavo l’Italia del campanile e delle province, quella rappresentata dai campionati dalla B in giù, fino all’Interregionale: ogni lunedì non vedevo l’ora di tornare a casa da scuola per vedere “C Siamo”, il mio programma del cuore.

Ripenso anche alle mie prime riviste di settore, che ogni sabato, durante l’adolescenza, acquistavo nell’edicola di fiducia per vedere le foto degli striscioni che hanno fatto la storia del tifo italiano, come quello dei Devil’s Korps. Immerso in questi pensieri il tempo scorre velocemente, quindi mi reco nel centro storico: visito la magnifica Cattedrale, l’anfiteatro e il teatro del periodo romano, i resti delle domus, i portici, gli stretti vicoli e la graziosa chiesetta di San Getulio, costruita in epoca bizantina. Trovo molto carina questa cittadina a misura d’uomo e ricca di antichità romane e medievali.

Tra una foto e l’altra sono ormai le undici: è tempo di rimettermi in auto e tornare a casa. L’autostrada è deserta e il viaggio fila liscio, tranne nel tratto L’Aquila-Tornimparte, dove sono costretto a deviare passando per una tortuosa strada di montagna. Intorno a me non c’è nessuno e sono solo sull’asfalto. L’arrivo è previsto alle due, ma viaggiare di notte è sempre magnifico, pur consapevole che la sveglia del giorno seguente sarà traumatica. Ascolto Gli anni di Max Pezzali e penso a quanto sarebbe stato bello un Teramo-Terracina al vecchio “Comunale”!

Andrea Calabrese