Prendete una squadra reduce da una notte magica in Champions League ed una nobilissima provinciale con tantissima fame di punti dopo un inizio stagione zoppicante. Aggiungete quella rivalità calcistica tra le rispettive tifoserie che si perde negli anni Ottanta, tra monetine che planavano sulla testa di brasiliani baffuti, trasferta vietata al San Paolo prima che inventassero questa “categoria” di partite ed una vena di antimeridionalismo nemmeno troppo legato alle sorti di questo o quel partito politico. Come tocco finale, piaccia o non piaccia, la recente decisione di una parte della Napoli ultras di ricominciare a viaggiare. Avrete così gli ingredienti giusti per una domenica calcistica di livello, di quelle non solo che mi riportano a Bergamo per la terza partita consecutiva ma, udite udite, fanno tornare la voglia di arrivare al Comunale con quelle quasi tre ore di anticipo che per tanti anni sono state la normalità.

Inutile nascondersi dietro un dito: il prepartita potrebbe essere molto caldo vista l’annunciata presenza di un contingente ospite che non penso si sia tesserato con il solo scopo di farsi un selfie in questo o quello stadio e che, oggi, in terra orobica non è venuto per mangiare i casoncelli. Nonostante siano le 12.30, trovo già nel parcheggio riservato agli ospiti parecchie persone, varie auto e qualche pullman, ma una volta compreso che si tratta di tifosi tranquilli, il timore di essere arrivato, anche se presto, comunque in ritardo sugli eventi sfuma. Non manca una bancarella che vende sciarpe affrescate come un quadro e altri gadget per il “napoletano medio”, calcisticamente parlando.

Si comincia quindi a gironzolare verso quelli che potrebbero rivelarsi i punti nevralgici della giornata, dribblando senza nemmeno troppa fatica uno schieramento di forze dell’ordine importante ma non imponente. Di gente a passeggio ce n’è tanta, e se vedi facce note che vanno in direzione contraria a quella dello stadio capisci che il territorio è presidiato nell’attesa che i Naples in qualche modo si facciano vedere.

Di tifosi ospiti in giro se ne vedono assai, alcuni modello “albero di Natale”, altri più cauti ma riconoscibili comunque: senza volere scomodare Lombroso li inquadri a decine di metri di distanza e quando ti passano vicino il loro accento conferma tutto. Gli ultras locali non li toccano, in stretta osservanza di un antico codice (non scritto, come direbbero i cavesi). Ci vuole una buona mezz’ora prima che veda sfrecciare alcuni bus arancioni scortati e sigillati. Un’altra manciata di minuti per una seconda infornata di bus e, in coda ad essi, alcuni pullmini più piccoli. Tutto avviene così rapidamente che, per chi volesse, non c’è nemmeno tempo per avvicinarsi a salutare gli avversari.

Il comitato di accoglienza, comunque, si attarda fino alle 14,00 inoltrate e poi rompe le righe, come se aspettassero qualcuno che non è arrivato, oppure è arrivato ma non come ci si aspettava. Sarà per un’altra volta, o magari tutto è rimandato solo di un paio d’ore.

Ritrovato un vecchio amico con cui parlare, si guadagnano infine gli ingressi a quindici minuti dal via. Passo nuovamente di fronte al parcheggio ospite e vedo che è praticamente sold-out: che il contingente partenopeo sia pressoché al completo è confermato quando metto piede nello stadio e vedo il settore.

L’attenzione non si concentra sui numeri ma su quel quadrato compatto nella gradinata bassa, quattrocento persone a torso nudo che non passano certo inosservate. Ora, se è vero il vecchio adagio popolare quando dice che “l’abito non fa il monaco”, figuriamoci se è la mancanza d’abito a farlo, ma in questo caso di dubbi ce ne sono pochi: i volti, i nervi tesi, una compattezza quasi militare mi fanno pensare, come direbbe l’amico Giangiu, che questi sono davvero “amarissimi” da incontrare.

La coreografia sono loro, i loro corpi, le braccia in movimento e, ma lo scoprirò solo dopo un po’ di tempo, i guanti neri che molti tra i presenti indossano. Non vedo sciarpe, non vedo striscioni ultras; presenti solo un piccolo drappo appeso al vetro e due bandieroni che sventolano, anch’essi privi di scritti, sigle, simboli. Bastano i colori.

Ottimo anche il colpo d’occhio della Nord, baciata da un sole ancora tiepido e pronta a colorarsi nell’attesa del via: prima si alza un telone con il simbolo della Dea e poi, quando scende, c’è spazio per una mezza fumogenata. Coreografia anche in Sud per mano dei Forever, i cui ragazzi si sono posizionati anche nella parte superiore della curva per garantirne la riuscita.

La partita si mette subito bene per i padroni di casa, che passano in vantaggio al primo affondo: non siamo nemmeno al 10° che Petagna, marcantonio di appena ventanni, sfrutta con l’opportunismo del miglior Paolo Rossi un pasticcio dei difensori avversari e scarica in rete di potenza. Il Napoli non si butta a testa bassa e ricomincia da dove era rimasto: quella che inizialmente sembra una prova di maturità degli uomini di Sarri con il passare dei minuti assume però i contorni di incapacità ad organizzare la controffensiva. Certo, non manca il lavoro a Berisha (sempre ottimo nelle risposte), ma si tratta tutto sommato di episodi isolati. Chi oggi fa la partita è l’Atalanta, squadra “riveduta e corretta” come dice il radiocronista al mio fianco, capace di coniugare una difesa attenta con un reparto offensivo che, guidato da un incontenibile Gomez, è in grado di creare altre tre nitide occasioni da rete.

Facile immaginare l’entusiasmo del Comunale, che raggiunge il culmine verso la mezz’ora: prima il “Bergamo-Bergamo” e poi il “Vinci per noi magica Atalanta” infiammano la Nord e trovano seguito in altri settori dello stadio.

Non è certo lo svantaggio a sorpresa che ferma i partenopei: tempo zero e i loro cori tornano ad alzarsi, seppure con qualche pausa.

Come era prevedibile, i bergamaschi non fanno passare sotto silenzio la questione della Tessera del Tifoso ed a metà tempo espongono lo striscione “Ogni scelta è una responsabilità, ti sei tesserato TRADENDO due città!”. Non poteva essere diversamente, considerata l’ortodossia che la Nord ha tenuto in tema di TdT. La risposta napoletana non arriva da gestacci o altre amenità del genere ma è tutta in un coro: “Se volete siamo qua”.

Si arriva all’intervallo con il guizzo di Milik che riceve e colpisce secco al volo: una sorta di rigore in movimento che trova ancora pronto Berisha.

Proprio tra un tempo e l’altro consegnano i numeri della giornata e resto francamente basito nell’apprendere che oggi al Comunale ci sono solo 15.000 spettatori, dei quali ben 10.794 gli abbonati. Ecco un’altra conferma dei favolosi risultati di tessere, biglietti nominali e leggi antiquesto e antiquello. Le famiglie allo stadio non ci vengono… facciamo tornare i single!

Il sole intanto è girato e l’ombra si allunga sul settore ospiti, buon motivo, per i più, di rimettersi la maglietta, che tanto restano “amarissimi” quanto prima.

Non è un Napoli con il coltello tra i denti quello che torna in campo: Sarri proverà anche varie sostituzioni ma l’offensiva non risulterà mai particolarmente intensa. C’è tanto merito dell’Atalanta, sia ben chiaro: dopo lo show del primo tempo ora sceglie una tattica più attendista, eppure mai rinunciataria.

Il gioco è meno spumeggiante e questo incide, insieme ai grandi sforzi profusi in precedenza, sull’intensità del sostegno vocale orobico: lo stesso “Forza Atalanta Vinci per Noi” di metà ripresa sembra un po’ più povero di decibel rispetto ad altre partite. Più frammentato anche il tifo napoletano, caratterizzato da svariate pause. Prendono invece la scena, fatte le debite proporzioni numeriche, i Forever della Sud, che ripropongono una seconda coreografia ed i cui cori si sentono nitidamente per tutti gli ultimi 30 minuti.

Tempo di assistere alla standing ovation per Petagna, sostituito da Grassi, e poi saluto il Comunale. Mancano una manciata di minuti al 90°, i Naples intonano un “Lottate fino alla fine” ma il risultato non cambierà, né – da quanto mi risulta mentre scrivo – il dopopartita risulterà particolarmente agitato.

Lele Viganò.