Se Squinzi avesse lo stadio, il Sassuolo sarebbe una piccola Reggiana. La parafrasi di un simpatico proverbio barese non può far altro che da cornice a un quadro la cui pittura è stata attesa vent’anni. Sì, perché se Reggiana-Parma è, sotto tanti punti di vista, l’evento dell’anno, non solo per le tifoserie ma anche per un’intera categoria che dopo anni riaccoglie a braccia aperte un derby senza cervellotici divieti e con una cornice di pubblico maestosa, dall’altro lato è l’ennesimo schiaffo assestato dal calcio aziendalista, quello senza anima e tradizione, ai danni del pallone inteso come volano di sogni e divertimento.

Si gioca di lunedì la madre di tutte le partite per gialloblu e granata, a causa dell’impegno domenicale tra il Sassuolo e l’Internazionale. E ci è voluta quasi una sommossa popolare per far sì che il calcio d’inizio non fosse confermato alle 14,30. Eppure, malgrado l’affanno di una buona fetta di media e menestrelli, impegnati ad esaltare il progetto Mapei, senza tener conto di un pubblico medio che generalmente supera le poche migliaia di spettatori; malgrado i biglietti regalati e i dati mendaci riportati dai tabellini, per fare il pienone c’è voluta una partita della squadra cittadina. Due categorie sotto a quella che, seppure proprietaria dello stadio, resta geograficamente ospite. Insomma, se qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che la Reggiana sia Reggio Emilia e viceversa, oggi li deve aver fugati definitivamente.

Perché tra quasi 20.000 persone ci potranno pur essere tanti occasionali, ma gli stessi si sono ricordati di affollare le gradinate del Città del Tricolore in occasione di una partita di Lega Pro. Non ci sono Inter, Milan e Juve che tengano quando, per il calciofilo medio, di fronte c’è il campanile. E la propria città va messa in primo piano. Non si sentano attaccati i tifosi del Sassuolo, soprattutto quelli organizzati, che hanno sempre solidarizzato con le proteste dei reggiani. Ma credo sia doveroso aprire questo pezzo rendendo omaggio a uno spettacolo che difficilmente vedremo in Serie A. Evidentemente conta la storia. Conta il blasone. Conta la tradizione. Contano le rivalità. Contano le coreografie, il tifo e i colori. Reggiana-Parma vale più di qualsiasi big-match della massima categoria o di Europa League. Sono i numeri a dirlo. Non io.

Reggiana-Parma è il big-match per antonomasia. Una di quelle partite per cui avrei fatto carte false pur di esserci. Nel mio immaginario questo derby, a livello di campanile, è sempre stato tra le sfide più importanti nel nostro Paese. Un’acredine nata da lontano. Le teste quadre, come vengono soprannominati i reggiani, alludendo al loro essere spigolosi e ruvidi, contro la borghese Parma, quella dal passato francese che in dote le ha lasciato la R moscia. Solo quaranta chilometri e il fiume Enza separano le due province. Una divisione che segna due nette appartenenze calcistiche e culturali. Un’antipatia che resiste e vive ben oltre il perimetro dello stadio. Nell’epoca dei divieti e delle restrizioni, negare questo derby a tutti gli amanti del calcio sarebbe stato l’ennesimo gesto di insensibilità nei confronti degli stessi e di questo sport. Fortunatamente così non è stato e se per me, che sono uno spettatore neutrale, la sfida è iniziata al momento dell’ufficializzazione dell’orario e dell’acquisto del biglietto ferroviario, per le due tifoserie si è finalmente rinfocolata già dall’ufficializzazione dei gironi.

A inizio anni 2000 ebbi l’opportunità di assistere a una gara nel settore ospiti con i parmigiani, mentre qualche mese dopo di vedere un bellissimo Reggiana-Cavese all’ex Giglio. In ambo le occasioni una cosa mi sorprese, proprio in virtù della mia ignoranza fanciullesca: le offese che, a distanza di chilometri e categorie, le due tifoserie si riservavano. Continue, insite nei cori. Nonostante in quegli anni il Parma disputasse finali europee e lottasse spesso per lo scudetto mentre la Regia era rovinosamente scivolata nei bassifondi della Serie C. Che cos’è una rivalità? Ecco, se qualcuno dovesse chiedermelo io risponderei semplicemente che una rivalità è Reggiana-Parma. E direi anche che se il nostro calcio cominciasse a valorizzare nuovamente queste sfide, forse tornerebbe a essere un’oasi felice con un appeal totalmente differente rispetto al grigiore contemporaneo.

Da buona sfida della Bassa non possono mancare il freddo umido e qualche goccia di pioggia, che lentamente scioglie le consistenti nebbie dei giorni precedenti. Come sempre mi capita quando passo per Reggio Emilia, non posso rinunciare a uno sguardo al vecchio Mirabello. Ripenso a cosa potessero essere i derby là, poi faccio ritorno in stazione nell’attesa dei tifosi parmigiani. Il loro appuntamento è alle 18 in stazione e non sarebbe certo male immortalarne l’arrivo. Ma i miei piani saranno destinati a fallire a causa della solita gestione dell’ordine pubblico all’italiana, operata questa volta dalla Questura di Reggio Emilia.

La stessa che dapprima, in settimana, inviterà i supporter ducali a lasciare lo stadio un quarto d’ora prima per riprendere l’ultimo treno delle 23, poi li farà arrivare a partita iniziata nonostante l’esigua distanza tra le due città (complice anche il classico giro turistico in autobus per attendere il fischio d’inizio), i tanti treni a disposizione e uno stadio abituato a fare settimanalmente la Serie A, e infine, ricorrendo fortunatamente a un minimo di buonsenso, ritarderà l’ultimo convoglio permettendogli almeno di assistere all’intera gara per cui hanno pagato.

Così decido di avviarmi verso lo stadio. E stavolta scelgo appositamente il treno. L’idea di arrivare nei pressi delle gradinate su rotaia mi affascina. Ricordo di aver letto, su un vecchio opuscolo relativo all’inaugurazione dell’ex Giglio, di questa stazioncina ubicata proprio a pochi metri dall’impianto. Mi basta seguire le indicazioni per i treni diretti a Guastalla e salire sul piccolo vagone per essere a destinazione in cinque minuti. Tutto molto bello, anche per me che di solito non vado d’accordissimo con modernità ed estrema comodità.

Inutile dire che, rispetto al mio ultimo Sassuolo-Roma, il clima attorno al Città del Tricolore è completamente diverso. Il freddo non allontana tifosi di ogni età dai baracchini che vendono birra e panini. Si sente la tensione per la partita e ogni tanto dei cori contro i rivali di sempre si levano al cielo, riscuotendo l’apprezzamento di tutti i presenti. Ritiro il mio accredito e poi, nel tentativo di scongelarmi per qualche minuto, mi dirigo verso le gradinate prima e in sala stampa poi. La curva di casa e la tribuna dirimpetto a me, quaranta minuti prima del fischio d’inizio, presentano già un ottimo colpo d’occhio, mentre i pochi parmigiani per ora presenti stuzzicano gli avversari con il classico coro “Il 25 aprile è nata una puttana, l’hanno chiamata AC Reggiana”, al quale i granata rispondono con offese, gesti e l’altrettanto classico “Chi non salta insieme a noi cos’è? È un bagolo!”, utilizzando un termine dialettale col quale generalmente si indicano i “fanfaroni”. Rimango per qualche minuto incantato a vedere le gradinate riempirsi. Capisco quanto sia importante questa gara per ogni singolo spettatore che fa capolino dai boccaporti. E immagino la tensione che debbano portarsi addosso.

Finalmente le lancette dell’orologio si approssimano alle 20,30. Il settore ospiti va riempiendosi ma si nota la mancanza della tifoseria organizzata, nonostante i presenti non restino certo in silenzio. Si vede che c’è entusiasmo e l’intera città ha risposto alla grande. Se la distanza non è abissale, i circa 3.000 biglietti venduti restano pur sempre un numero importante. Pur essendo cresciuti in maniera netta, negli ultimi anni, i parmigiani non sono mai stati una tifoseria di massa (ovviamente, aggiungo, Parma non è certo una metropoli) e a chi (come il sottoscritto) oggi pensava che la maggior parte dei presenti fosse venuta in qualità di semplice e silente spettatore verrà presto smentito dai fatti.

Ma intanto sono i reggiani a dare spettacolo. Al momento della discesa in campo delle squadre, infatti, due settori su tre del tifo granata si colorano con delle belle scenografie. In ambo i casi sono le bandierine a farla da padrone, con la Curva Sud che al centro ha piazzato uno stendardo con l’effige comunale e in alto lo striscione “A sostegno dei nostri colori, a difesa della nostra città”. Per quanto riguarda le pezze devo dire che è sempre una bella emozione rivedere lo striscione da casa delle Teste Quadre, oggi appeso sulla balaustra bassa, cosa che a memoria non ricordavo da diversi anni. Mentre tra le tifoserie gemellate ho potuto scorgere vicentini e cremonesi in curva e genoani in Distinto.

Peccato che i parmigiani entrino in ritardo, esponendo la coreografia a inizio secondo tempo. L’interezza dello spettacolo sarebbe stato un vero e proprio spot sia per la Lega Pro che per i sapientoni pronti a condannare sempre e comunque il tifo e il suo folklore. A proposito della coreografia ospite tolgo subito le castagne dal fuoco, dovendo sottolineare come prima di alzare cartoncini e bandierone raffigurante un soldato crociato, i Boys espongano uno striscione recitante “Volete vedere i veri colori da sostenere e la città da difendere?” facendo pensare a una precedente soffiata sulla coreografia dei rivali.

Le due squadre hanno dato il calcio d’inizio da circa cinque minuti quando anche gli ultras gialloblu riescono a fare il loro ingresso, preannunciati da un paio di bomboni lanciati nel piazzale antistante lo stadio. Inutile dire che i decibel delle offese aumentano palesemente mentre i Boys si sistemano facendo bella mostra di un tamburo proprio davanti allo striscione. Vederne uno all’interno degli stadi del 2016 dà sempre una certa emozione.

Assolvo immediatamente al compito del giudizio sul tifo. Era una partita troppo sentita per non essere condizionata dal risultato in campo. È chiaro che il micidiale uno-due siglato Giorgino-Baraye ha a dir poco galvanizzato i sostenitori parmigiani, lasciando l’amaro in bocca ai padroni di casa. Anche se il sostengo di ambo le curve e l’ambiente creato complessivamente meriterebbe davvero ben altri palcoscenici. Sarà pure un’espressione inflazionata ma davvero in questo caso calza a pennello. Dalle due maestose sciarpate dei parmigiani, alle manate dei reggiani, dai cori a rispondere dei gialloblu a quelli eseguiti dai granata.

Vedere un intero stadio che salta contro l’avversario è sempre bello, ma anche carpirne la profonda delusione. Perché il calcio è esattamente questo: emozioni a non finire. Di questa serata mi rimarranno impresse due immagini: la prima l’esultanza ai gol del Parma, con giocatori e tifosi ad abbracciarsi in uno stadio senza nessuna barriera e forse con più entusiasmo e gioia di quando i ducali vinsero la Coppa Uefa a Mosca. La seconda è la rabbia di quelli della Reggiana che, all’avvicinarsi dei giocatori a fine gara, hanno mostrato chiaramente tutto il proprio dissenso. Come a dire: “Vi abbiamo regalato uno stadio da Serie A e voi, in compenso, avete giocato come foste il Rubiera”.

Ed è proprio questa l’ultima immagine che mi lascio alle spalle prima di scendere le scalette che mi portano all’uscita. Fa ancora più freddo e la stanchezza si fa sentire in maniera forte e chiara. Ritrovo la strada per la stazione grazie a un minimo di lucidità mentale e senso dell’orientamento. Camminando tra una masnada di tifosi che fa ritorno a casa. Alla stazione è fermo il treno regionale, posticipato alle 23,40. Arrivano gli autobus con i tifosi del Parma. Cantano e festeggiano, li vedo partire proprio qualche minuto prima che anche il mio treno per Bologna arrivi sul binario.

Il Derby dell’Enza è un’esperienza che ogni appassionato di calcio, non forzatamente di curve, dovrebbe fare. Per respirare una boccata d’aria e vedere quelle facce tese, gioiose e incazzate. Facce che se ne fregano della categoria, delle vittorie e delle sconfitte. Sono facce che da vent’anni mandano giù anonimi campionati di Serie C e facce che hanno visto Hernan Crespo e Fabio Cannavaro ma che non hanno avuto la minima esitazione nel riempire massivamente i settori ospiti di paesini e frazioni in Serie D.

Simone Meloni.

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