Lettera che abbiamo ricevuto firmata ma che lasciamo in forma anonima per ovvie ragioni di riservatezza della fonte. Ve la offriamo in versione integrale, senza tagli o censure. Offre uno spaccato reale di quei momenti, visti da un occhio interno e privilegiato.

Cara redazione Sportpeople,
rimanendo nell’assoluto anonimato vorrei raccontarvi cosa è successo veramente all’Olimpico. Ero lì, in curva nord, sotto, in mezzo agli ultras, come sempre da 21 anni a questa parte.

Stavamo tutti aspettando la finale e scherzavamo. Arrivano i primi messaggi da casa “Stai bene?”, “Hanno sparato ad un ragazzo!”, etc. Chiunque capisca un po’ di stadio sa che si stavano creando i presupposti per un macello infinito, e chiunque abbia un cervello in testa sa che dovrebbe ringraziare l’oramai notissimo G. a C. o chi per lui per aver saputo gestire egregiamente la situazione.

Non è vero che gli ultras volevano invadere il campo! Gli ultras volevano sapere come stava il ragazzo e nel caso andarsene, punto! Ma a loro l’ipotesi che 7/800 persone insieme lasciassero il settore e girassero per Roma non andava bene, non fa niente se si sarebbe paventato una sorta di sequestro di persona, il sacrosanto diritto di andarsene a casa non era esercitabile.

I petardi con cui è stato ferito un vigile del fuoco non erano assolutamente indirizzati a FdO e/o servizio d’ordine, erano all’indirizzo dei merdosissimi fotografi che volevano lucrare sulla vita di un ragazzo, e prima che partissero i suddetti erano stati invitati almeno 5 volte ad andarsene. Mi chiedo anche come sia possibile che non siano stati quelli del servizio d’ordine stesso a dire loro di stare lontani: l’ordine pubblico in quel caso non andava tutelato?

Altra bufala allucinante sono i fischi all’inno. In curva nessun ultras ha fischiato, hanno fischiato tutti gli altri, noi eravamo gli unici in silenzio per rispetto a Ciro, non certamente a questo Stato costruito col sangue dei nostri avi, ma Tosel, come chiunque abbia potere in questi giorni, ha rivoltato la realtà con la sua sentenza.

Gli ultras oltretutto sono gli unici che per rispetto non hanno assistito alla premiazione, ai fuochi e a quella festa di paese che è stato il dopo partita; sono, siamo, usciti tutti silenziosamente e ce ne siamo andati a casa. Mentre lasciavo l’Olimpico mi sono chiesto: “parlano tanto di bambini allo stadio e di esempi quando si tratta degli ultras, ma oggi genitori festanti e Stato che organizza la festa e fa giocare la partita che messaggio stanno dando? Che la partita e la vittoria vengono prima della vita?”

Dopo sabato e come sono stati raccontati i fatti, dello sparo, di chi ha sparato, della dinamica dei fatti, la prima volta in vita mia non eserciterò il mio diritto di voto, e, per ora, sono seriamente intenzionato a non recarmi mai più ad una manifestazione sportiva di stampo nazionale. Il mio amore per la maglia resta invariato, le mie oltre cento trasferte rimangono tra i miei ricordi più belli, e non rinnegherò mai un secondo dei miei 21 anni in curva, ma continuare a sovvenzionare questo baraccone di infamia che è il calcio italiano, dal mio punto di vista, significa calpestare il mio orgoglio personale. Un plauso a chi ancora ha voglia di lottare, io non ne posso più: dopo Avellino, dopo la bufala del treno per Roma con tanto di inchiesta archiviata, questa è la goccia che fa traboccare il vaso!

Vergogna per tutti, per lo Stato, per il ministero degli interni, per il Prefetto ed il questore di Roma e per Aurelio De Laurentis che nemmeno questa volta ha speso una parola in nostra difesa! A.C.A.B.