Quando, dopo tanti rifiuti e senza aspettarmelo minimamente, l’Olimpia Milano mi ha accettato l’accredito, ammetto di aver avuto buone intenzioni: “non essere troppo polemico”, “non partire prevenuto”, “pensa prima di scrivere e se riesci prova a essere, se non conciliante, almeno neutro”.

Scusatemi, ma dopo una serata passata al Forum di Assago, non riesco.

Non me ne voglia nessuno, ma parlare delle mie sensazioni, dei miei pensieri e dei miei dubbi è per me una questione di onestà intellettuale.

Pazienza se l’Olimpia mi rifiuterà gli accrediti di qui per gli anni a venire.

La questione “Ultras Milano vs società Olimpia”, o meglio, “Ultras Milano vs Proli & Portaluppi” è conosciuta dai più. Inutile ribatterla in questo contesto. Il problema è altro.

Da amante dello sport sano e popolare alla vecchia maniera, mi sono sentito a disagio.

Non mi piace l’americanizzazione totale del basket, e quanto intessuto dall’Olimpia va proprio in questa direzione: entrata scenica dei giocatori a luci spente con tanto di fiammate benauguranti, musica e speaker a palla in ogni possibile occasione, lettura delle formazioni in stile Serie A calcistica, inquadrature continue al pubblico che si rivede e saluta sul maxischermo, effetti audio stile “monetina di Super Mario Bros” ad ogni tiro libero segnato da Milano. E non solo.

Gli ultras non vengono mai inquadrati dai cameraman delle scarpette rosse. Da una parte la sensazione è che vadano evitati, dall’altra che neanche loro si vogliono prestare a questo spettacolo.

Già, gli Ultras Milano. Ho una strana sensazione a vederli. Di tristezza, inutile negarlo. In appena 30 unità circa in mezzo a migliaia di spettatori, mi danno l’idea degli indiani nella riserva. Praticamente mai il pubblico li segue, mentre il loro bandierone, poche volte, sventola in cima al settore. Lo striscione iniziale che fa da “reminder” alla questione Proli & Portaluppi e quello per l’anniversario dell’omicidio di Gabriele Sandri vengono innalzati nell’indifferenza generale.

Mi chiedo, in queste circostanze, dove sia la Milano ultras, quella legata al calcio. Perché, si sa, di ultras legati esclusivamente al basket ve ne sono veramente pochi, molti dei quali diffidati. È bello riempire il settore ai playoff e fare un tifo indiavolato, ma nelle circostanze “normali” (eh sì che Sassari dovrebbe già essere un match di richiamo) sono in pochi e sempre i soliti a fare del loro meglio.

In tutto ciò un’altra cosa mi lascia ancora più incerto: lo spettacolo offerto dalla curva opposta a quella degli ultras. Là trovano posto svariate decine di bambini delle scuole basket. Armati di bandierine e di altri arnesi, fanno il loro tifo e i loro cori. Tutto bene, quindi? Non so dire, specie se vedo che ad animare il tutto, in basso e spalle al campo, vi sono quattro persone con la maglietta “Staff”. Magari sbaglio ma, così, su due piedi, l’ho interpretato come “i buoni sono da questa parte”, ovviamente guidati da personale scelto (sia mai che poi finisca come nella curva della Juventus!).

A completare il quadro della mia serata, le suggestioni che mi lascia il pubblico di Milano: numeroso, per carità (non credo in Serie A1 ci siano attualmente eguali), ma freddo e distaccato. Poco coinvolgimento, impossibile fargli intonare un coro, quasi nessuna vera esplosione di gioia per dei tiri da tre o per dei sorpassi nel punteggio (in realtà solo nei primi due quarti, dato che poi Milano ha preso il largo).

Indentiamoci. L’Olimpia Milano fa il suo: ha una mission, intende mantenerla e la sta realizzando. Il Club è un vero brand di Armani e al pubblico, in generale, la cosa non dispiace. La presenza dello sponsor è molto forte e riflette l’identificazione tra patron e squadra. Del resto, il noto stilista ha evitato di fare ciò che ha fatto Brugnaro a Venezia, arrivando a mettere il suo naming aziendale nella dicitura ufficiale della società.

La dirigenza meneghina punta molto a somigliare ai club NBA ed è inutile dirlo, ci sta riuscendo. Se poi non piace a me, agli ultras o a pochi altri non è un suo problema. Specie se chi dissente è in netta minoranza.

Al pubblico normale, del resto, come e perché fargli cambiare idea? L’Olimpia è un club vincente ed è l’unica realtà italiana a tenere botta a livello internazionale, mentre dietro c’è il vuoto.

Il popolo sta dalla parte di chi vince, è un dato di fatto.

Dimenticavo, i Sassaresi. Non era scontatissima la presenza del Commando, invece eccoli là questi indomiti ragazzi partiti dalla Sardegna. Saranno 7-8, e il resto sono trapiantati nel continente. Il loro merito? Riuscire sempre a trovare la formula di compattare il settore e fare un tifo più che discreto.

Anche gli Ultras dell’Olimpia fanno il loro dovere per tutta la partita. È una consolazione, se può bastare.

Stefano Severi