“Tifare è un dovere di tutti, riuscirci è un onore di pochi”. Questa è forse la frase che mi rimase più impressa da bambino, osservando le sciarpe sulle bancarelle di Ponte Duca D’Aosta, verso lo stadio Olimpico. Mi chiedevo, perché riuscirci fosse un onore di pochi? Perché fosse un dovere di tutti? Poi ho capito. Con il tempo ho compreso che se si entra in uno stadio o in un palazzetto sostenendo di essere innamorati di una squadra, parlando di fede e di amore, il tuo dovere è mettere in mostra questi sentimenti. Per il bene di ciò che dici di adorare. E allora diventa un dovere. Di tutti. Ma questi “tutti”, o una parte di essi, a volte riescono a essere contraddittori e voltagabbana, mollando laddove invece il sentimento si esercita realmente. Nel momento del bisogno. E allora anche questo risulta veritiero: riuscirci è un onore di pochi.

Ci ho pensato stasera. Con Recanati che lentamente si impossessava della partita. Lavorando ai fianchi la solita Virtus distratta e fragile a livello emotivo. Ci ho pensato sentendo le grida del PalaTiziano, i cori forti e compatti della Curva Ancilotto, forse la versione migliore della stagione. Era un’unità verace, sentita. Più si capiva che i leopardiani avrebbero espugnato il parquet capitolino, e più il tifo aumentava. Una reazione di paura, con le spalle al muro, a un passo dal baratro. A voler dire: “No, nessuno abbandoni la nave. Noi ci siamo e siamo le vostre scialuppe di salvataggio”. Contro tutto e tutti. Contro il fato e contro gli sciacalli, sbavanti alla porta in attesa che la carcassa si accasci al suolo e gli passi davanti già maleodorante e colma di batteri per essere mangiata senza pericolo di reazione.

Ci può stare. O meglio, non ci dovrebbe stare. Ma se si vive nella Savana, bisogna tenerne conto. E non c’è tempo di pensare alle serate magiche. Alle semifinali del Pianella o alle nottate di Eurolega. Quando la realtà è avvilente, triste e intricata da risolvere, bisogna scendere in campo senza puzza sotto al naso, senza recriminazioni e senza borbottii inutili, stantii e fini a loro stessi. Chi c’era in queste due gare di playout l’ha fatto, anche se si è trovato davanti una delusione nel secondo atto. Anche se il silenzio irreale, alla sirena che ha decretato il riequilibrio della serie, l’ha detta lunga sul sentimento che pervade i tifosi romani. Hanno fatto festa loro, quelli nel settore ospiti. I tifosi recanatesi, che anche in questa serata hanno onorato l’impegno, facendo la loro presenza e rumoreggiando saltuariamente.

La serie si protrarrà almeno fino a Gara 4. Una speranza per i marchigiani, un incubo per i romani, che vedono sempre più allungarsi l’espiazione di pene occulte, commesse evidentemente in un’altra vita. E nel basket che vede in A2 piazze come Siena, le due bolognesi e Treviso, bisognerebbe pur chiedersi se qualcosa è andato male nella gestione macro di questa disciplina. Prima che si imbocchino strade che come unica uscita hanno il declino lento e inesorabile di uno sport bellissimo, da sempre nel cuore di parecchi italiani.

Simone Meloni