Le vele dei ritorni non sono sempre nere, come dice una canzone di Vecchioni. C’è ritorno e ritorno. Manco alla Valascia da quasi un anno e posso dire che la mia esperienza è stata forse più bella della prima volta. Probabilmente, la cosa che è sempre mancata all’ambiente biancoblu, negli ultimi anni, è l’aria di alta quota. E non mi riferisco alla Pista, che si trova a 1000 metri sopra il livello del mare e davanti all’imponenza del San Gottardo, ma alla classifica che, finalmente, sembra offrire i giusti stimoli ad un ambiente deluso ma fedele, come quello della tifoseria leventinese.

L’Ambrì, se non fosse realtà, sembrerebbe il classico stereotipo da fiabetta sulla Svizzera: le montagne, i pascoli d’alta quota, i boschi, persino le mucche a pochi passi dalla Valascia, ci manca solo che siano viola e tutto sarebbe completo. D’altro canto, già nel primo articolo che scrissi sull’Ambrì più di un anno fa, contro Langnau, avevo parlato approfonditamente di tutto ciò che rende l’HCAP (Hockey Club Ambrì Piotta) qualcosa di unico al mondo. Tanto che il club, in Svizzera, non è amato solo dai Ticinesi, ma anche da gente di Cantoni di altre lingue. Una specie di Juventus, ma tutt’altro che vincente. Anzi. Credo che, al di là delle chiacchiere, quello che bisognerebbe fare, e che consiglio a tutti, è un’esperienza alla Valascia a vedere l’Ambrì. Non è così impossibile come sembra: se si acquista un biglietto in prevendita, anche a Chiasso volendo, quest’anno per gli spalti (ovvero la curva Sud più un pezzo di tribuna in piedi) il prezzo è di CHF 28 (sui 22€) e, col biglietto della partita in tasca, si ha diritto a viaggiare gratis sulla rete ferroviaria ticinese dal posto di partenza ad Ambrì e viceversa (tranne che in occasione dei derby col Lugano). Il luogo comune che la Svizzera è cara, di fronte alle nostre disgrazie quotidiane, sta lentamente scemando e, persino fare la spesa, su molti prodotti, sta diventando clamorosamente più conveniente oltre confine. Ma questa è un’altra storia.

Le premesse per un bel viaggio ci sono tutte. Intanto la bella giornata, dopo settimane di nuvole e pioggia; un paesaggio ticinese in spolvero, coi suoi laghi e le sue montagne limpidi senza un briciolo di foschia; la neve già caduta sui versanti, che contrasta coi boschi ancora verdi che attendono un autunno che, stranamente, stenta ad arrivare. Persino i frustranti cantieri autostradali, costantemente aperti, della Regione passano via facilmente. Poi le uscite di sempre: dopo Bellinzona Biasca, poi Faido e infine Quinto, dove, sul cartello blu, la frazione Ambrì – Piotta è indicata benissimo. I soliti passaggi, le solite strade, la solita pista di volo che fa da parcheggio e le solite mucche. La Valascia è là, a pochi metri, con ogni probabilità coi giorni contati. Il progetto della Nuova Valascia è stato già approvato e, quando sarà, il passaggio dalla nuova alla vecchia Pista sarà traumatico e non indolore. Se tutto andrà come previsto, l’inaugurazione avverrà nel 2017 e i posti saranno 6.000 (pochi, ma la società punta ad avere il tutto esaurito in abbonamenti).

Però, stavolta, c’è un’altra storia da raccontare, molto meno bella: quella dell’HC Losanna e dei suoi ultras. La tifoseria vodese, assente dal 2005 nel massimo campionato, è conosciuta per il suo apporto e il suo calore. L’hockey su ghiaccio, nella città di lingua francese, è decisamente più popolare del calcio. Grazie alla vittoria nello spareggio contro Langnau, nelle serie della scorsa stagione fra la perdente dei playout di National League A e la vincente dei playoff di National League B, i biancorossi, trascinati dal loro pubblico, hanno potuto brindare ad una storica promozione, resa ancora più particolare dal fatto che da diversi anni nessuna squadra di seconda serie era più riuscita a salire nei campi elisi dell’hockey svizzero.

Festeggiamenti, gioia, ottimismo verso il futuro. Poi uno schiaffo dritto in faccia. Prima la decisione di assegnare la storica Curva Ovest, cuore della tifoseria vodese, agli ospiti, e poi le proteste, sfociate in disordini, nella prima gara casalinga contro Kloten, che hanno portato a nove divieti di accesso per tre anni, al sequestro dell’apparecchiatura sonora della tifoseria organizzata e alla chiusura del punto vendita adiacente al palazzetto, nonché il solito naturale, banale, linciaggio mediatico. Il danno era fatto, ma i gruppi sono riusciti a trovare un confronto, duro, con la dirigenza. Ne è nata una decisione di compromesso: ai Losannesi è stata riassegnata la curva di casa, ma il settore ospiti è stato posizionato di fianco a loro, con l’instaurazione di una zona-cuscinetto per dividere le fazioni. In pratica una frittata mal riuscita. Perché, di conseguenza, i posti per gli ospiti sono pochi, circa 150. Il pericolo di contatto è aumentato, ed è nato quello del lancio di oggetti. Per ovviare al pasticciaccio brutto, la società del Losanna ha dato direttiva che i biglietti per il settore ospiti li avrebbe dovuti vendere la società in trasferta, meccanismo che in Svizzera non esiste. E, spesso, le stesse società avversarie hanno avuto la notizia di questo loro “compito” senza nessun preavviso. Per una tifoseria ospite a Losanna quindi, è diventato quasi impossibile acquistare un biglietto in prevendita (poi alcune tifoserie, come i Luganesi, si sono presentate ugualmente e hanno avuto in loco i preziosi tagliandi), e altre società che devono ospitare il Losanna attuano, di conseguenza, la stessa politica, contingentando il numero dei biglietti per il settore ospiti e, magari, affidarne la gestione all’HC Losanna. Un autentico zibaldone che pone il serio interrogativo se il club francofono sia o meno maturo per affrontare la massima serie, che richiede un’adeguata organizzazione, non solo per il roster da schierare sulla pista.

Tutto ciò spiega perché, al mio arrivo, a parte un discreto contingente di polizia, non trovo nessun ultras del Losanna al varco del settore ospiti. Ritiro quindi il mio accredito e vado un po’ a scaldarmi nella sala stampa, come al solito accogliente e allegra. Fa veramente freddo, la neve è a pochi metri più su della Valascia, e la Pista è nota a tutti perché è tutt’altro che riscaldata. Manca un’ora all’inizio della partita e tante persone già affollano la Curva Sud. Già, perché, in questo sport, la partita si vive come minimo dal riscaldamento delle squadre, che inizia 45 minuti prima del match, fino a ben dopo la fine, anche se ciò varia a seconda del risultato della gara. C’è anche babbo natale a ricordarmi quanto sia bello venire a queste latitudini. Una ventina di minuti prima dell’incontro mi dirigo a bordo pista dove, da una pedana rialzata vicina alla Curva Sud, posso osservare bene quanto avviene sia in campo che sui gradoni. La curva biancoblu e già piena, mentre dall’altra parte, nel settore ospiti alla mia sinistra, solo qualche tifoso, forse ci saranno una trentina di persone sparpagliate qua e là senza una logica. Nessuna bandiera, nessuno striscione. Eppure, ogni tanto, mi sembra di sentire dei cori da fuori. Suggestione? Tant’è che, almeno, mi illudo un po’, e mi aspetto l’ingresso della Curva Ovest da un momento all’altro. Ma intanto ciò non avviene, e dopo il solito, stupendo, rito delle macchine che rinnovano il ghiaccio, la partita sta per avere il via.

Cantando e sbandierando con potenza, la Sud accoglie la propria squadra che, come di consueto, si abbraccia sotto il settore caldo della propria tifoseria; stessa cosa fanno i Vodesi nella porta vicino agli ospiti che, de facto, non ci sono. Sono curioso di vedere questo Ambrì terzo in classifica che, in una partita anonima come questa richiama 5.500 spettatori. Il miglioramento in questo campionato lo si può già vedere dal fatto che, in queste prime 10 giornate, l’HCAP è la squadra che ha subito meno penalità, mentre, durante la scorsa stagione, è risultata una delle più fallose. E chi mastica hockey sa cosa vuol dire giocare spesso in inferiorità numerica, che, talvolta, può anche essere doppia. L’avvio dei Ticinesi, però, non è dei più convincenti. La Sud canta senza sosta, ma Noreau e i suoi sembrano subire la pressione del Losanna che, pur da neopromossa, sta dimostrando di poter centrare subito il prestigioso traguardo dei playoff. Il tamburo ritma perfettamente i cori dei tifosi, tra le bandiere spicca anche quella antirazzista, che denota la colorazione politica della curva che, per fortuna, nei propri cori non ne fa alcun riferimento. Si tifa solo per l’HCAP e basta. Non c’è mai un minuto di silenzio, mentre la partita procede con velocità e botte tipiche dell’hockey. Dopo neanche 5 minuti Neuenschwander, un nome quasi impronunciabile per noi, porta il Losanna in vantaggio, premiando l’ottima partenza dei suoi. L’Ambrì continua a soffrire tremendamente gli schemi degli ospiti, ma, pian piano, prende coraggio e cominciano ad aumentare le occasioni sotto la porta degli avversari. Assolutamente non scontato il pareggio che arriva al minuto 12 con Reichert, la cui battuta a rete fa esplodere letteralmente la Valascia, che ha continuato a sostenere i propri beniamini senza scoraggiarsi. Ciò nonostante, il volume aumenta eccome, perché, che piaccia o meno, la gente viene solo per sostenere la propria squadra, e dall’andamento del match dipendono le coronarie e le corde vocali di qualunque spettatore, da 0 a 99 anni. Finisce il primo dei tre tempi, e ne approfitto per rifugiarmi nuovamente in sala stampa e far tornare le mie mani a temperature decisamente più miti.

Secondo tempo. La partita cambia faccia. L’Ambrì ora fa perdere l’orientamento agli avversari che, rispetto alla frazione precedente, appaiono sulle gambe. I biancoblu moltiplicano le loro azioni di attacco, la Sud capisce che è il momento di dare il massimo, coinvolgendo spesso l’intera curva. A colpirmi è un coro sulle note dell’incipit di “Generale” di Francesco De Gregori che forse si adatta poco alla situazione d’attacco, ma colpisce notevolmente sotto il profilo dell’impatto acustico. Un coro che surriscalda un’aria fredda e pungente. Ogni tanto butto l’occhio al settore ospiti e mi intristisco veramente. Fortuna che, dall’altra parte, c’è chi canta per due. Il giusto premio per un’atmosfera da brividi è il vantaggio dei padroni di casa, che arriva quasi allo scadere del secondo tempo con Park, uno dei giocatori più navigati della squadra. Tutto il palazzetto esplode e canta per l’Ambrì, l’effetto è assordante e ricorda, come ce ne fosse bisogno, il legame tra questa squadra e la sua gente, che va ben oltre le solite dinamiche che descriviamo sempre sulla nostra rivista. Mi viene da pensare alla frase “il calcio è solo un pretesto”, così come ad un’alternativa “l’hockey è solo un pretesto”. Una grandissima bugia. Perché solo quando c’è la propria squadra al centro delle attenzioni del tifoso, che sia di curva, di tribuna o di parterre, l’ambiente diventa “magico”. Ed è per questo che mi piace venire a vedere partite come queste, così come quelle dei rivali bianconeri del Lugano.

Dopo questa digressione, si passa subito al terzo tempo, quello dove, nell’hockey, tutti i nodi vengono al pettine. Il tempo dove, se la partita è ancora aperta, il sostegno del pubblico diventa fondamentale, persino decisivo. In realtà la partita rimane molto divertente, scorrevole, veloce e poco fallosa, con le squadre che si sfidano a viso aperto. Ma, tranne qualche raro brivido, tutte le migliori occasioni sono per l’Ambrì, che però non riesce a capitalizzare, e rimane in bilico fino all’ultimo. Ma alla fine può festeggiare, così come può festeggiare una Valascia che, anche per il terzo tempo, si è dimostrata, sotto il profilo vocale, pura dinamite, inscenando, tra l’altro, un “Dale Boca” fra i migliori di quelli visti da me personalmente negli ultimi tempi. Forse il migliore, dato il coinvolgimento della quasi totalità della vasta Curva Sud. Alla sirena il rito della Montanara, la cui strofa ultimamente, mi sembra, viene cantata tre e non due volte, come a voler sottolineare l’incredibile momento della squadra leventinese. La sciarpata è fitta, colorata, diciamolo pure, da pelle d’oca, anche se la si vede per l’ennesima volta; uno dei tanti elementi che rendono unica una partita dell’Ambrì Piotta in mezzo a queste alte montagne, nel suo vetusto ma romantico palazzo del ghiaccio. È il momento della festa, della squadra sotto la curva. Vedendo che, dalla Sud, c’è qualcuno che si fa aprire il cancello dallo steward per passare dal mio lato e uscire prima, decido di fare il percorso inverso: non andare via subito ma entrare in curva; quasi nessuno ha lasciato gli spalti nonostante anche l’ultimo dei giocatori se ne sia andato negli spogliatoi, si continua a cantare e a bere. La situazione ideale per vedere ciò su cui scrivo da un altro punto di vista. Alla fine anche io comincio ad avviarmi verso ai cancelli, ma in tanti continuano a cantare.

Però, prima di lanciarmi nei miei cantieri autostradali svizzeri e nelle code tipiche di quando finisce una partita dell’Ambrì Piotta, un mio ultimo pensiero è per i ragazzi della Curva Ovest di Losanna. Una loro rappresentanza, composta da una ventina di ragazzi,  è riuscita ad arrivare fuori dalla Valascia, ma non a fare il suo ingresso nell’impianto. Forse i cori che sentivo all’inizio, allora, non erano suggestione. Loro non hanno assistito ma, ne sono sicuro, il loro sostegno alla squadra è arrivato eccome.

Stefano Severi.