Uno 0-0, salvo rare eccezioni, è sinonimo di partita scialba in cui c’è ben poco da raccontare. Uno 0-0 risulta più facile da raccontare per chi scrive. Uno 0-0, spesso e volentieri, è un bicchiere mezzo vuoto per giocatori e tifosi, che lecitamente volevano, e pretendevano, di più. Uno 0-0, se si tratta di un derby, è quanto meno di stimolante e fantasioso ci si possa aspettare. E un derby con poco più di 600 spettatori sugli spalti, gli ultras di casa zitti, e quelli ospiti appena una dozzina, non può che essere un giusto corredo ad uno squallido 0-0.

Che poi, questo 0-0, non è che sia stato veramente squallido. O, almeno, non può essere elevato ad emblema dello squallore più assoluto. Entrambe le squadre ci hanno provato, ma quando la porta non la vedi è inutile ingarbugliarsi in qualsiasi discorso tecnico o teorico. E il pubblico, chiaramente, non può che essere deluso. Prima della partita il Chiasso era ultimo ad un punto dopo sei giornate, il Locarno terzultimo a sei punti, dopo essere retrocesso malamente lo scorso anno, salvo poi essere ripescato per le disgrazie altrui (leggasi Bellinzona). Il pareggio a reti bianche ha evidenziato i limiti di due squadre che rispecchiano, in tutto e per tutto, il momento nero del Ticino calcistico: il Bellinzona, retrocesso in 1.Lega Promotion, è pressoché spacciato e chissà da dove, e quando, ripartirà. Chiasso, Locarno e, ora, persino Lugano, galleggiano in bassa classifica, allontanando sempre più il pubblico dai rispettivi campi di gioco. Dei campionati minori, dalla 1.Liga Classic in giù, meglio non parlarne. Alla fine, ci si dà, quasi per disperazione, tutti all’hockey.

Eppure, quando arrivo al Comunale di Chiasso alle 17 (partita alle 17.45), quasi mi prende un colpo: macchine parcheggiate già da ben prima dello stadio e, penso tra me e me, magari è la volta buona che vedo un pubblico delle grandi occasioni in una delle mie tante sortite in Challenge League. D’altronde la giornata, col suo buon caldo e col sole rassicurante, incita abbastanza bene ad andare allo stadio. Ma la mia illusione svanisce presto, quando mi accorgo che le macchine sono state parcheggiate ben lontano perché tutta la zona davanti allo stadio è occupata da tendoni, caravan e gabbie di un circo che si sta fermando in città. Amen.

Ritiro regolarmente il mio accredito (stavolta nessun problema), ed entro dentro con le griglie, per i tipici barbecue organizzati dalla società, già belle fumanti e che arrostiscono a più non posso, coi vicini gazebo già pronti ad elargire birra fresca alla spina. Ma del pubblico, almeno per adesso, neanche l’ombra. Vado quindi in campo, nell’attesa di vedere un po’ di movimento. In fondo è sempre un derby, anche se questo collega le due realtà del Ticino, a livello di cadetteria, più distanti tra di loro, circa 70 km.

I minuti passano, man mano si capisce che ci sarà più pubblico delle altre gare da me viste a Chiasso, ma di ultras neanche l’ombra. Per me che scatto foto agli spalti è normale cominciare ad avere un qualche moto di nervosismo, con la perenne voglia di far voto e di evitare la Challenge League fino a tempi migliori. Ad intrattenermi ed a farmi fare qualche risata è il numero 50 del Chiasso, Moreno, che non è un giocatore ma un uomo con la sindrome di down, eletto da tutti a portafortuna, che oltre a far relazioni sociali a bordo campo, incita e catechizza la squadra. Moreno mi parla del nuovo allenatore del Chiasso, che stavolta è quello buono, di non so quali festeggiamenti se la squadra dovesse vincere e poi se ne va in giro a caricare i giocatori. Un grande veramente.

Grazie a Moreno i minuti sono passati in fretta, e finalmente vedo i ragazzi di casa entrare e posizionare uno striscione di carta molto categorico: “Gioca per lo stemma che hai davanti e ci ricorderemo del nome che hai dietro”, firmato GACS. Un chiaro invito per la squadra ad impegnarsi di più e a metterci il cuore. Devo attendere il fischio iniziale dell’arbitro per vedere entrare i ragazzi della Cirrosi Epathica Locarno, gruppo datato 2004, che al momento è il più anziano in attività di tutto il Ticino calcistico. Sono circa una dozzina e, a corredo del loro striscione, portano un bandierone, una bandiera, uno stendardo con Homer Simpson ed uno striscione di carta molto eloquente: “Non ci avrete mai come volete voi”. Che non è uno striscione messo là tanto per, ma dovuto alla guerra ormai pluriennale tra gli ultras della città del Pardo e la proprietà dell’FC Locarno, rappresentata dai Gilardi padre e figlio; mentre da una parte la proprietà ha sempre cercato di scomunicare i ragazzi della Cirrosi, condannandoli e marchiandoli ad ogni minimo segnale di inquietudine, dall’altra la stessa, ormai da anni, fa vivere il Locarno in una situazione ambigua fatta di molte salvezze miracolose all’ultima giornata e di campionati al limite dell’indecenza, sempre suggellati, miracolosamente, da un successivo ripescaggio. Ciò che più appare chiaro è come la proprietà non voglia interloquire con i propri tifosi, chiudendosi a guscio e minacciando denunce a destra e a manca in caso di dissenso. E, ultimamente, pare che le scaramucce tra tifo organizzato e dirigenza abbiano ripreso un certo vigore.

Assieme al loro materiale, i ragazzi della Cirrosi portano parecchia allegria e goliardia, tanto che, quando li vidi la prima volta a Lugano, ormai due stagioni fa, mi strapparono non poche risate. Nonostante stia sotto la tribuna coperta, dalla parte opposta delle tifoserie, alcuni dei loro rutti arrivano chiari e limpidi a destinazione, così come è impossibile non notare che, almeno in un coro o due, ci sia l’elemento goliardico a far da padrone, talvolta anche in maniera piuttosto originale. I tratti somatici del tifo della Cirrosi vengono enfatizzati anche dal pesante silenzio dei GACS Chiasso, che hanno deciso, a quanto pare, di esprimere il loro dissenso non sostenendo la squadra in nessuna maniera. Peccato, perché, ad un primo sguardo, una ventina di elementi pronti a tifare non avrebbero assolutamente sfigurato. Ma, d’altro canto, può anche essere condivisibile la posizione di chi contesta.
Come detto, lo spettacolo in campo non è dei migliori. Il Chiasso è senz’altro più offensivo rispetto alle sortite precedenti, col Locarno che, per larga parte, resta ad aspettare. A volte, di fronte ad errori banali e talvolta clamorosi, è lo stesso pubblico del Comunale ad innervosirsi, mormorare e qualche volta persino a fischiare. Segno, questo, di come l’ambiente sia deluso. Forse, almeno quest’oggi, gli spettatori sono circa 600, anche se lo speaker ne dichiara “almeno 1.100”. Grasse risate di scherno dei Locarnesi che intonano, con allegria, “Come il Locarno, voi siete come il Locarno”. Non per niente, numeri alla mano, i due club sono quelli che, finora, hanno registrato la minor affluenza media di pubblico a partita. Ma, al di là questo, e un po’ a mia sorpresa, noto che fra le due tifoserie non pare esserci nessuna rivalità, cosa piuttosto insolita in Ticino. Goliardia a parte, l’unico neo che si può riscontare ai ragazzi biancoblu, è quello della mancanza di continuità nell’incitamento, viste le numerose pause tra un coro e l’altro.

Ad inizio ripresa gli ospiti espongono, di seguito l’uno con l’altro, due striscioni che sottolineano il rapporto teso con la proprietà. Il primo recita “Tra denunce e minacce fate solo figuracce…”, e il secondo “Gilardi Me#*e”, condito da un “padre e figlio vaffanculo”.  A tal proposito va detto che, quasi al termine di ogni coro, a qualcuno scappa di urlare una qualche offesa contro i Gilardi, che, nel silenzio del Comunale, ha ampio rimbombo e sicuramente arriva a destinazione dalla parte opposta (come i famosi rutti).

La partita sembra essere migliorata, se non altro dal punto di vista della velocità e delle conseguenti occasioni. In avvio è il Locarno che si rende estremamente pericoloso (con un gol sbagliato praticamente a porta vuota), mentre, successivamente, comincia un assolo incontrastato del Chiasso, che mostra tutti i propri limiti offensivi allo spazientito pubblico di casa. Pur sempre troppo carico di pause, diventa più fitto anche l’incitamento della Cirrosi, condito spesso da battimani che tutti gli effettivi eseguono all’unisono. Dall’altra parte continua il silenzio, e solo nei minuti finali vengono fatti alcuni cori per ricordare Daniel (che i ragazzi del GACS onorano portando sempre uno stendardo con il suo nome), tifoso del Chiasso prematuramente scomparso pochi anni fa.

Al fischio finale nessuna delle due squadre sorride, anche se, in fondo, al Locarno è andata decisamente meglio. Tanto che la squadra va tutta a salutare i propri tifosi sotto la curva battendo il cinque. Anche qua voglio evidenziare la differenza col nostro paese, non tanto per i giocatori che a volte neanche ti degnano di uno sguardo a fine partita, ma per il fatto che i giocatori biancoblu vadano a ricevere il saluto della propria tifoseria nonostante le pesanti divergenze tra la stessa e la proprietà. Da noi, e in qualsiasi categoria, quando c’è il diktat della proprietà, l’intera squadra ti ignora per ordini superiori. Dalla parte del Chiasso, stavolta, nessun giocatore si sente di andare sotto al settore dei propri sostenitori. Cocente, sicuramente, la delusione per non aver potuto fare di più.

Uscendo dallo stadio e incamminandomi verso la macchina, passo sotto al settore del Locarno, dove qualche tifoso del Chiasso si è intrattenuto a fare quattro chiacchiere con gli ospiti. Lampante è il commento di uno dei ragazzi biancoblu: “facciamo cagare tutti e due, giusto che finisse così”. Già, zero a zero.

Stefano Severi.