Tutti abbiamo una minima idea su Città del Messico. Sappiamo che è una delle più grandi metropoli del mondo. Alcuni ne possono nominare qualcosa, che sia lo Zocalo, la piazza principale, le piramidi Azteche, o la famosa coppia di artisti Frida Khalo e Diego Riviera, ma quanti tra di noi possono nominare i diversi club di calcio della capitale messicana? Penso che sia molto più duro rispetto ad altre metropoli dell’America Latina. Io per primo, da appassionato di calcio, avevo le mie conoscenze su quello messicano limitate alla nazionale e al Mondiale 1986, con alcune partite giocate nel mitico stadio Azteca ed entrate nella storia.
Arrivato da poche ore a Città del Messico, la prima cosa che faccio uscendo di casa è comprarmi un giornale. È il 3 gennaio, c’è un bel sole con quasi 20° a mezzogiorno, e bisogna precisare che siamo comunque a 2.240 metri s.l.m. Per mia fortuna il campionato, che si gioca ogni sei mesi, sta per iniziare. Di fatto, dall’inverno del 1996, il campionato è semestrale, dunque ci sono due titoli ogni anno, un po’ come in Argentina. Ma non è cosi semplice, qua siamo in Messico, e, alla fine del campionato, le otto migliori squadre sono qualificate per la Liguilla, un mini torneo ad eliminazione diretta che vede il vincitore della finale essere incoronato “campeone”. Certe volte pensiamo che abbiamo campionati strani in Europa, ma questo credo sia il più pazzesco che abbia mai sentito. L’aspetto peggiore è che si possono comprare i titoli sportivi, e così, nel maggio 2007, l’Atlante di Città del Messico fu comprato da una nuova società e la sede fu trasferita a… Cancun, a più di 2000 kilometri ad est. Il sistema è molto simile a quello della NBA, dove si compra la “franchigia”.
Adesso ci sono ancora tre squadre storiche a Città del Messico: una di queste è il Cruz Azul, dal nome di una società del cemento che ha fondato la squadra nel 1927 nello stato di Hidalgo e dopo si è trasferita a Città del Messico, ma la società è ancora lo sponsor e la proprietaria dello stadio Azul. La seconda squadra è il Club Universidad Nacional, noto come Unal o Pumas, fondato ufficialmente nel 1954, anche se c’era già in precedenza una squadra che rappresentava l’università negli anni trenta. Il Club è una squadra della prestigiosa Universidad Nacional Autonoma de Mexico, nella quale si possono vedere vicini sia gli edifici di questo centro intellettuale che lo stadio Olimpico universitario. Infine c’è il Club de Futbol America, noto come Club America. Quest’ultimo è nato nel 1916 dalla fusione di due squadre liceali del quartiere di Condesa, una con un pallone e dei giocatori, l’altra con la stoffa per fare le prime maglie, ma senza abbastanza giocatori. Così decisero di fondersi in data 12 ottobre, ma c’era bisogno di un nome. Le proposte erano tante, ma un ragazzo propose America, perché quello era proprio il giorno dell’anniversario della cosiddetta scoperta del continente da parte di Cristoforo Colombo (appunto 12 ottobre 1492). Da lì il nome di una squadra che diventerà una delle più popolari del Paese.
È la prima giornata del campionato semestrale di “Clausura 2014” e alle ore 17.00 ci sarà la partita del Club America contro i Tigres. Per me è perfetto, volevo vedere lo stadio Azteca. Mancano cinque ore alla partita e devo avere un po’ di informazioni, perché è la prima volta che mi trovo nella metropoli messicana e dobbiamo anche fare un po’ di sano turismo. La città è molto tranquilla, me la aspettavo super caotica ed invece ha spazi verdi ed una metro che funziona bene. Mi dirigo verso Coyoacan, un tempo paese alla periferia della città, ma adesso inglobato dalla metropoli e facente parte dei tranquilli (ed anche borghesi) quartieri sud. Per mia fortuna, le nostre visite sono finite per le ore 16.00. Ho lasciato tutti per andarmene da solo verso lo stadio che dovrebbe trovarsi a qualche kilometro. Non ho una guida, ma una mappa della metropolitana. L’unico problema è arrivare in tempo e sperare che un Messicano mi dia le indicazioni buone: loro sono bravissimi, ma quando non sanno la direzione, indicano la prima che gli viene in testa per rendersi utili. Per fortuna, dopo tre tentativi, trovo un pullmino che mi porta in mezzora di fronte allo stadio.
Mancano cinque minuti prima del fischio d’inizio, lo stadio è impressionante con tante bancarelle e il negozio ufficiale della squadra. Devo ancora fare il biglietto. Ne trovo uno per la curva a 140 pesos (un po’ meno di 8 €) e vado ai controlli, ma la sicurezza mi impedisce di entrare con le borse e le cinghie. Per meno di un euro, una bancarella vi dà un numero e vi tiene il tutto durante la partita. Entro in regola dopo una perquisizione e, facendo il giro dello stadio, mi trovo di fronte al mio settore. C’è un sottopassaggio e, finalmente, entro proprio un minuto prima del fischio d’inizio. Sfortuna mia sono nella curva opposta a quella delle Barras, ma ne approfitto per fare le prime foto. Lo stadio è un gigante, di fatto è il più grande di tutta l’America Latina con 105.000 posti a sedere, e non dimostra i suoi quasi cinquant’anni. La costruzione è stata decisa nel 1962, proprio sotto la “regia” del proprietario del Club America.
“Los Cremas” (uno dei soprannomi della squadra che deriva da “Azul cremas”, cioè blu crema), sono una fra le più popolari società di calcio del paese. Il Club America ha nella bacheca ben 34 titoli, dei quali ben undici campionati locali. Fondata nel 1916, non vinse niente prima della stagione 1953-1954. Il suo destino cambiò nel 1959, quando Emilio Azcarraga Milmo, un milionario messicano fondatore del gruppo mediatico Telesistema Mexicano (che adesso è la più grande compagnia di media in lingua spagnola nel mondo, meglio conosciuta sotto il nome di Televisa) comprò la società, che diventò la più ricca del Paese. Di fatto negli anni sessanta, con la crescita della popolarità del Club America, Emilio Azcarraga Milmo volle costruire un nuovo stadio per la sua squadra. Ciò coincise con l’organizzazione da parte del Messico di due eventi capitali dello sport mondiale, le Olimpiadi del 1968 e la Coppa del Mondo del 1970. Sotto la guida dell’architetto Pedro Ramirez Vazquez, il nuovo impianto venne edificato.
Il 29 Maggio 1966 fu un giorno di festa, perché il Club America, fresco vincitore dello scudetto, esordì nel suo nuovo stadio contro il glorioso Torino Calcio. Ci furono 107.494 spettatori per quest’amichevole di lusso finita 2-2. Da lì in poi lo stadio diventerà la sede delle partite del Club America, ma diversi eventi internazionali entreranno nella memoria storica di tutti gli appassionati di calcio. Infatti, nel 1970, lo stadio ospitò alcune partite della Coppa del Mondo, le due più importanti furono la semi-finale tra la Germania e l’Italia, il 17 giugno, che è considerata una delle più belle partite di sempre, con un finale incredibile che vide l’Italia imporsi sulla Germania per 4-3; i cinque minuti che decisero l’incontro sono rimasti nella mente di tanti italiani. Il 21 giugno, invece, l’Azteca ospitò la finale tra il Brasile e l’Italia e vide la prima vincere con un secco 4-1 e ricevere il trofeo per la terza volta, quella Coppa Rimet che oggi è ancora in Brasile.
Sedici anni dopo, la competizione maggiore del calcio mondiale tornò in Messico, poiché per ragioni economiche la Colombia rinunciò, ed il Messico, anche se duramente colpito da un terremoto nel 1985, accolse con successo la competizione appena sedici anni dopo. In quell’occasione lo stadio Azteca vide svolgersi partite mitiche, come il quarto di finale tra l’Inghilterra e l’Argentina, con Maradona protagonista assoluto, ed infine la finale tra Argentina e Germania. L’Azteca, finora, è l’unico stadio ad aver accolto due finali dei Mondiali. Ma l’evento sportivo che ha accolto il maggior numero di spettatori è… un combattimento di boxe: Julio Cesar Chavez affrontò Greg Haugen il 20 febbraio 1993 di fronte a più di 135.000 spettatori, con una rete di filo spinato attorno al ring.
Torniamo al calcio, e alla partita di oggi. Questo stadio rimane sempre affascinante, ma anche qui sembra che questo bellissimo sport sia sempre meno popolare: ci sono un po’ più di 20.000 spettatori e solo il primo anello accoglie più gente. Il secondo anello è quasi vuoto, tranne il settore ospiti che riceve circa 400 “hinchadas” del Tigres. Gli ospiti vengono da Monterrey, 900 km a Nord di Città del Messico, non male. Il nome completo della squadra è “Tigres de la Universidad Autonoma de Nuevo Leon”, la provincia di Monterrey. Il Tigres è una squadra universitaria fondata nel 1960, e per questo motivo i suoi tifosi sventolano per tutta la partita una ventina di bandiere gialloblu con la lettera “U” che sta per “Universidad”, appunto. Durante la partita non li sento mai, ma loro sono troppo in alto e da qui si sente più la Barra locale.
Nel mio settore mi trovo in mezzo ai “consumatori”, tutti seduti, anche se in curva, in attesa dei venditori di bibite, di pizze industriali e di merchandising, un orrore: solo la Corona (sponsor della squadra) costa quasi 4 €, ma almeno per questo prezzo ricevono 0,66 cl. Non male. Provo a cambiare settore e va un po’ meglio. Gli steward sono tranquilli e mi lasciano passare, la “qualità” di essere “extranjero” (per non dire un gringo) mi aiuta per forza. La polizia è presente solo sul campo ed in maniera impressionante nel settore della Barra. Nei distinti c’è un club un po’ attivo con due tamburi che prova a far cantare la gente, ma niente di che.
Lo schermo gigante riprende i diversi settori dello stadio e fa degli zoom sulla gente che è contentissima. Che brutto, Andy Warhol parlava dei quindici minuti di gloria che avremmo avuto nel futuro, ma appena quindici secondi bastano a tanti spettatori di questo stadio. Ad un certo punto la telecamera sta cercando gli spettatori più “estranei alla massa” e fa uno zoom su una coppia di Argentini con tanto di maglia della loro nazionale; si vedono sullo schermo e abbracciano lo scudo dell’Argentina. Poi lo schermo trova una coppia di Asiatici, è tutto davvero patetico, calcio moderno a più non posso! Si vede che siamo in un settore “per bene”, con tante famiglie, tanti Messicani con soldi, per la maggiore parte chiari di pelle.
Mi metto finalmente accanto alla Barra e studio con un po’ di distanza il loro settore: è ad un unico pieno e sono tutti in piedi a tifare con calore, ma l’intensità vocale non è al massimo. Tutto il primo anello è separato dal campo per mezzo di una fossa, ma nel settore occupato dai Barras ci sono pure due recinzioni, una “no man’s land” e una linea di uomini della celere messicana, i “granaderos”. Per una decina di minuti mi limito ad osservarli, il mio spagnolo non è al massimo e non siamo in una serie B belga (con tutto il rispetto per i tifosi belgi). Dopo un po’ vado a parlare con lo steward, che a sua volta parla con un poliziotto e vengo fatto entrare nella “bolgia”. Ci sono tante famiglie ed anche un bambino di un anno accompagnato dal giovane babbo, felicissimo di essere nella curva con la moglie e il suo ragazzino sulle spalle. Vado vicino al centro, il cuore del tifo del Club America, dove ci sono 4/5 lanciacori che si alternano, con l’ausilio di una dozzina di tamburi. Non hanno megafono e lanciano i canti con la voce. Ci sono un centinaio di bandiere gialloblu sventolate e non noto alcuno striscione. Il modo di tifare è molto sudamericano, i cori non sono potenti e vengono cantati da un nucleo fedele di almeno tre-quattrocento tifosi, e, a seconda degli eventi del campo, c’è quasi tutto il settore che riprende i canti. Qua la maggiore parte della gente, come nel resto dallo stadio, ha la maglia della squadra ma zero sciarpe (sembra che siano… proibite, la repressione anche qua è pazzesca).
Alla pausa decido di girare a piedi la curva e incontro per caso due ragazzi della Barra, uno dei due è uno skinhead. Mi spiegano l’organizzazione della loro curva che è divisa, proprio al centro, tra le due barras: quella sulla sinistra, guardando al campo, si chiama la “Disturbio”, non c’è bisogno di una traduzione; l’altra, sul lato destra è la “Monumentale”. Ma mi fanno vedere che sopra di loro c’è pure una terza barra, ma in conflitto. Si chiama la “Ritual del Kaos”, ma non mi hanno voluto spiegare il motivo del litigio. È strano perché, quando sono entrato nello stadio, loro non c’erano, e mi sembra che siano arrivati durante il primo tempo e non sono gli unici, dato che una parte del pubblico è arrivata alla spicciolata durante la prima frazione.
Gli striscioni sono proibiti dentro lo stadio secondo le regole della Federazione (ed in certi stadi persino le scritte sulle bandiere). Si definiscono barras e conoscono il modello ultras, ma per loro è troppo rigido. Sono comunque interessati a quello che avviene nella vecchia Europa. Di fatto uno dei due mi chiede se conosco la Stone Island e si vede che ha uno stile che si potrebbe definire “casual”. La città è grande e loro si vedono una volta a settimana, ma normalmente c’è una specie di assemblea prima di ogni partita in casa, una riunione all’esterno della curva per organizzarsi. Sono apolitici, il loro scopo è difendere il Club America e basta. È importante precisare questo, perché in Messico la politica è proprio molto particolare e si infiltra ovunque. Infine ci sono parecchi skinhead nelle Barras dei tre club della capitale messicana.
Il secondo tempo sta per ricominciare e il tifo riprende, il volume non è alto, anche se si canta senza sosta. Al terzo goal del Club America i tamburi salgono in cattedra, con l’esultanza di tutta la curva. Le bandiere saranno sventolate per tutta la partita, e l’atmosfera è particolare. Devo prepararmi a lasciare lo stadio in anticipo, perché i ragazzi mi hanno spiegato che la polizia li trattiene per mezzora alla fine della partita. Mi dispiace andarmene “come un ladro”, ma devo essere presto in centro, distante almeno una decina di chilometri. A cinque minuti della fine saluto i ragazzi che ho conosciuto, li ringrazio e provo ad uscire; per fortuna, il mio buon viso di “gringo” mi aiuta, e raggiungo altri ragazzi in gradinata, da dove lascio lo stadio. In molti hanno la stessa idea, e quando arrivo al treno è pieno di tifosi del Club America. Guardo un ultima volta lo stadio e spero di tornare presto in questo luogo sacro del calcio mondiale. Il tifo non sarà quello dell’Argentina, ma un’esperienza così la consiglio a tutti gli amanti di questi gradoni di cemento, che alla fine hanno sempre i loro “ribelli”. Questa esperienza è stata un misto di merchandising all’americana – un orrore – e qualcosa di più latino, di più “ selvaggio”, cioè, un cocktail tipico del Messico, un paese che unisce le due parti di questo continente.
Sébastien Louis.
- Club America-Tigres 3-0, Liga MX Messicana 2013/14
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