Spalato d’estate è una città da evitare per le orde di turisti che invadono il Palazzo di Diocleziano, i gruppi di giovani stranieri che credono di essere ad Ibiza, e tutto il marcio che porta con sé il turismo di massa. Il mio consiglio sarebbe di non andare da luglio ad agosto, perché da anni la Croazia è diventa la meta preferita dei turisti internazionali.  Ma per gli appassionati del mondo ultras, vale la pena rischiarsi in queste zone durante l’estate, per vedere i turni preliminari delle coppe europee, che sia la Coppa dei Campioni o la cara Coppa UEFA.

Il livello del calcio delle squadre dell’ex Yugoslavia si è drasticamente ridotto, e vede i migliori giocatori venduti alla più giovane età. Le leggi del mercato del calcio mondiale, l’antitesi a quella della Jugoslavia socialista, che obbligava i giocatori a stare nel loro paese fino ai 28 anni compiuti. Rigida come regola, ma il livello tecnico era ben altro, e si vedevano le diverse società calcistiche sfidare i grandi club europei, con successi notevoli.

A quei tempi erano quattro i club della repubblica Socialista Federale di Jugoslavia a dominare la scena calcistica nazionale: accanto alla due grande società di Belgrado ed alla Dinamo Zagabria, c’era l’Hadjuk Spalato.

A differenza delle altre tre grandi, che sono state fondate nell’ultimo anno della seconda guerra mondiale (la Stella Rossa il 4 marzo, il 9 giugno emerge la Dinamo Zagabria, ed infine il Partizan il 4 ottobre 1945), l’Hadjuk ha una storia ultra-centenaria, che si intreccia con la storia dei Balcani. Il nome “Hajduk” è un riferimento ai briganti impegnati nella resistenza contro i turchi, durante l’occupazione della penisola Balcanica da parte dell’impero Ottomano. Fin dall’inizio, la società sportiva divenne un simbolo del nazionalismo croato, la sua denominazione completa è H.N.K. Hadjuk Split, dove l’acronimo sta per “hrvatski nogometni klub” (in italiano: Società Calcistica Croata). Nel 1911 Spalato era parte dell’impero austro-ungarico, ma non era unificata al resto della Croazia. Infine, sul suo primo stemma, comparivano il rosso e il bianco a scacchi, emblemi del re Tomislav e del regno di Croazia. A quei tempi Vienna impediva l’unificazione delle diverse regione croate in una nazione.

La fine del primo conflitto mondiale sancì la fine dell’impero autro-ungarico e vide accedere alla sovranità il regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che diventerà il Regno di Jugoslavia nel 1929, e questo fino al 1945. Il primo campionato di calcio inizia nel 1923, con la “Prva Liga” e nel 1927 l’Hadjuk vince il suo primo scudetto.

Con la seconda guerra mondiale e l’invasione della Jugoslavia da parte dall’Asse, gran parte della Dalmazia è annessa all’Italia, inclusa la città di Spalato. L’Hajduk che doveva integrare il campionato italiano (sotto la denominazione A.C. Spalato) rifiuta. Tito sapendo di questo gesto, inviterà perfino l’Hadjuk a disputare un incontro contro una formazione di partigiani. Da qui cambia lo stemma dell’Hadjuk, che diventerà una stella rossa.

Finita la guerra, la monarchia venne abolita e nacque la seconda Jugoslavia sotto la direzione di Tito. A quel tempo, tutte le associazione sportive, che hanno collaborato con i fascisti o con riferimenti chiaramente nazionalisti, croati, serbi o sloveni, sono abolite. Tante società sportive sono sciolte e vengono costituite nuove formazione in tutto il paese. L’Hadjuk, con la sua storia di resistenza durante il secondo conflitto mondiale diviene invece una sorta di simbolo (perfino il generale De Gaulle riconosce il suo ruolo).

Il calcio riprende i suoi diritti già nel 1945 e nell’anno 1950 l’Hadjuk vince il suo terzo scudetto, senza perdere una sola partita. Il 1950 è dunque una data importante per la storia sportiva dell’Hadjuk, ma anche per gli appassionati di tifo. È durante questo incredibile campionato che si costituisce uno dei più vecchi club di tifosi ancora in azione, il 28 ottobre, alla vigilia di una partita importantissima contro la Stella Rossa di Belgrado. La Torcida è costituita da studenti dell’università di Zagabria ed ha saputo diventare legatissima alle vicende dell’Hadjuk.

Negli anni settanta, l’Hadjuk diventa una vera leggenda, vincendo quattro scudetti e cinque coppe, arrivando persino in semifinale della Coppa delle Coppe nel 1973.

Nel 1991 l’ultimo trofeo Jugoslavo nella bacheca del club di Spalato. Il paese è sull’orlo della guerra e allo stadio Marakana, in un’atmosfera elettrica, con una rete di Alen Boksic (l’ex giocatore della Lazio e della Juventus), l’Hadjuk vince la coppa di Jugoslavia contro la Stella Rossa (fresca vincitore della Coppa dei Campioni).

Il 25 giugno la Croazia proclama la sua indipendenza e la guerra si diffonde durante l’estate. L’Hajduk ritrova il suo antico blasone a scacchi e alcune centinaia di tifosi della Torcida prendono le armi (come del resto si vede negli altri stadi del paese, da Sarajevo a Belgrado, passando per Zagabria, diversi saranno i tifosi radicali a “difendere” le loro patrie). Di fatto, nella curva della Torcida c’è una lapide con incisi 27 nomi di membri del gruppo morti durante il conflitto.

Dal 1992, l’Hajduk disputa il campionato croato che Zagabria domina, con 15 titoli nazionali per la Dinamo, 6 scudetti per l’Hadjuk e uno solo per l’NK Zagabria. Va da sé che il campionato croato è di poco interesse (con casi di corruzione nella federazione) ad eccezione della partitissima tra Dinamo e Hajduk. L’anno scorso il campionato locale ha registrato una media spettatori sotto i 2000, ma l’Hadjuk ne aveva ben 9000 di media, con picchi di 33.000 per il “derby eterno” con la Dinamo e 35.000 per la partita con l’Inter.

L’amore per la maglia bianca e i colori rossoblu si notano già prima di Spalato, l’Hadjuk non rappresenta solo una città, ma proprio una regione, la Dalmazia. Cosa mi permette di affermarlo? Sia le numerose sezioni della Torcida in Dalmazia che i stupendi murales che ci sono sulla strada da Dubrovnik a Spalato. Ogni paese lungo i 200 chilometri di questa strada vede minimo un muro dipinto con i colori dell’Hajduk e della Torcida, che sia sul ciglio della strada, alle fermate dei pullman, sui campi di calcetto o anche sui moli dei diversi paesi. L’Hadjuk e la Torcida sono legate indissolubilmente e per chi non l’ha mai vista, rende bene l’idea la festa per il centenario della gloriosa società, il 13 febbraio 2011, che ha illuminato tutto il lungomare della Dalmazia con alcune migliaia di torce e fuochi d’artificio, sia a Spalato che nelle altre città della costa, come Dubrovnik.

 

Arrivo a Spalato il giorno della partita, ed anche se parliamo solo del secondo turno di qualificazione per la Coppa UEFA, contro il Dila Gori (squadra sconosciuta della Georgia), i colori rossoblu si notano un po’ ovunque. A due ore dalla partita, attorno allo stadio c’è già un atmosfera particolare. Compro regolarmente il mio biglietto al botteghino per i distinti al prezzo di 11 euro, e con il tagliando in tasca torno verso il centro storico, distante una decina di minuti a piedi.

Un fiume di tifosi scorre intorno alla sede della Torcida. Approfitto del tempo a disposizione per andare al porto e bere una “Hajducko”, la birra legata alla società (per ogni litro consumato, 15 centesimi di euro vanno all’Hajduk), poi via verso lo stadio.

C’è una marea di gente agli accessi, ma dopo neanche dieci minuti di coda sono nei distinti.

Lo stadio Poljud (dal nome del quartiere) è abbastanza interessante, molto diverso dagli stadi moderni che sono quasi tutti simili. È stato costruito nel 1979 come sede dei giochi del Mediterraneo ed aveva una capienza iniziale di 55.000 spettatori, aumentata fino a 62.000 posti. Con le nuove norme che impongono i seggiolini, la sua capacità è stata ridotta a 35.000 spettatori. Peccato per la pista atletica e per la seconda curva, che in pratica non esiste (poco più che una terrazza che serve da settore per i disabili), sennò sarebbe uno stadio bellissimo. Per l’aneddotica, ci sono due belle cose in questa “non-curva”: due murales con tutti i titoli vinti dalla squadra locale, ossia ben 17 scudetti e 15 coppe in tre campionati diversi, tra Regno di Jugoslavia, Repubblica Socialista e Repubblica di Croazia; l’altra curiosità che va menzionata, è la bandiera della “sezione disabili” della Torcida!

Stasera ci sono 25.000 spettatori e la gente dei distinti mi sembra più gente di curva, con alcune facce nelle prime file non proprio raccomandabili. L’atmosfera è già calda e sulla mia sinistra ho la curva Nord (Tribina Sjever), sede della Torcida. Di fronte alla curva noto uno striscione di carta che ricopre gli striscioni tradizionali, segno di una coreografia imminente. Preparo la mia macchina fotografica e quando le squadre entrano in campo, non c’è niente tranne la solita atmosfera super calda. Due minuti dopo il calcio d’inizio, la curva si ricopre con cartoncini grigi, bianchi, rossi, blu e neri, appare il logo storico della Torcida, una bandiera bianca che sventola al vento con la lettera H (per Hajduk) e sullo striscione la scritta: “Perché sei il nostro più grande amore”.

I canti della curva sono potenti ed accompagnano la scenografia. La tribuna non guarda più il campo e si gira costantemente verso la curva; è un torrente di applausi e di scatti con i cellulari. L’applauso è scrosciante e più forte di quello tributato alle due squadre tre minuti prima. Dopo due minuti, scompare il disegno e una decina di bandieroni della Torcida verranno sventolati fino alla fine della partita.

Noto subito che il mito della Torcida è molto radicato, vedendo attorno a me un sacco di gente con polo, magliette o capellini con il logo del gruppo. Dopo alcuni minuti, la tribuna che era in piedi si siede, ma non disdegna spronare i “bianchi” seguendo ogni tanto i canti della curva, specie nelle fasi più importanti del gioco.

La curva non è come la immaginavo, ci sono un sacco di spettatori e la parte più attiva, cioè il cuore della Torcida, che canta e sostiene in maniera tipicamente ultras, si concentra su un terzo del settore, la parte più vicina ai distinti. E qua che ci sono i bandieroni e anche alcune bandiere, come due giallo-bianche del Vaticano, per sottolineare il legame tra l’identità croata e il cattolicesimo.

La partita è davvero patetica, il Dila Gori utilizza tutte le tattiche per rallentare il gioco e non subire il ritmo imposto dei croati. Il tifo ne risente e i canti perdono tono. Ma al 24’ un giocatore georgiano segna, in una delle prime occasioni. La Curva capisce che la propria squadra ha bisogno del suo sostegno e sono di nuovo canti a raffica, fino alla fine del primo tempo.

Ne approfitto per andare a prendere una birra: 2 euro per un mezzo litro di birra, non sono niente male. Il pubblico è prevalentemente maschile e ci sono un sacco di bambini, portati dai padri per trasmettere loro la fede nella casacca bianca.

Prima della ripresa ne approfitto per studiare i diversi striscioni sulla ringhiera della curva Nord, vedo così uno stendardo con metà del logo della Torcida e metà del logo dei No Name Boys, uno dei gruppi di tifosi del Benfica. Un gemellaggio che unisce questi due gruppi da quasi vent’anni. Al tempo della guerra i portoghesi avevano tirato fuori uno striscione “Libertà per la Croazia” e nel 1994/1995, il pullman dei “No Name Boys” che andava a Spalato per sostenere il Benfica impegnato contro l’Hadjuk, è stato vittima di un incidente stradale che ha visto tre ragazzi dei N.N. morire. A questi fatti risale il gemellaggio tra i due gruppi.

La partita è noiosa e il Dila Gori sa difendere il suo risultato, pure se l’Hajduk ha il dominio. Al 65’ un giocatore dell’Hajduk viene espulso per aver ricevuto il secondo giallo. Il pubblico dispera, ma non gli ultras, che non mollano e tirano fuori una cinquantina di bandiere bianche, rosse e blu per spronare i dieci uomini sul campo. Finalmente anche un giocatore del Dila Gori viene espulso, ma la squadra Dalmata non ce la farà ad agganciare il pareggio.

Prima della fine della partita c’è un ultimo striscione di carta in omaggio ad un ragazzo partito troppo presto per l’ultima trasferta celeste.

L’arbitro fischia la fine. Fra una settimana ci sarà la partita di ritorno a Tbilisi per provare a passare il turno, ma si intuisce che il pubblico è rimasto deluso di questa pessima prestazione della squadra. Prima di partire scatto alcune foto dei botteghini, tutti pitturati con i colori dell’Hajduk e della Torcida. Nella notte calda di Spalato, lo stadio brilla ed esalta tutta la sua maestà.

Sebastien Louis.