Ci metto un bel po’ di impegno per ricordare l’ultima volta in cui sono stato a San Siro: quattro anni fa abbondanti, e pensare che per anni era quasi una seconda casa, in un tempo lontano in cui  se cantavi “Senti che puzza, scappano anche i cani, ecc. ecc…” ti davano del becero ultras e non del razzista.  Scusate, ma non è la stessa cosa, sotto ogni punto di vista.

Oggi come allora, però, mi accorgo che il viaggio comincia e prosegue con l’apprensione di sempre: controllare per bene di avere tutto prima di partire, timore di trovare ingorghi e di arrivare troppo lungo, e poi oggi c’è l’incognita dei parcheggi, visto che molto è cambiato anche intorno all’impianto.

Piazzale Lotto però non tradisce: c’è ancora la possibilità di parcheggiare senza versare l’obolo a pettorine fosforescenti più o meno autorizzate.

Lascio perdere i primi bus che già fanno la spola verso piazzale dello Sport e mi avvio su via Caprilli: il muro che costeggia l’ippodromo è stato ripulito dalle scritte di calcistica memoria ed ora offre una lunga sequenza di graffiti a tema ippico, poi il vialone curva leggermente a sinistra ed offre i primi scorci dello Stadio. Le rampe del Meazza sono già illuminate ed il fascino è quello di sempre. In una parola: emozioni.

Attraverso circospetto e curioso le zone un tempo regno di bagarini vocianti: non è più una casbah, sono pochi e parlano a bassa voce. Forse è tutto sottotono perché Inter-Verona non è una partita di cartello, ma spero fortemente che questa razza di parassiti profittatori sia stata estirpata una volta per tutte.

Avanzo, tutto è tranquillo, i baracchini cominciano a sfamare i primi avventori e le bancarelle con maglie e sciarpe sono sempre inguardabili.

Sotto la nord il baretto è un’enclave che resiste tra le nuove, imponenti recinzioni che delimitano l’antistadio: per le scorribande di un tempo sembra quasi non esserci nemmeno lo spazio materiale, oltre che la voglia e/o l’occasione più o meno cercata. I Veronesi, in ogni caso, entreranno da tutt’altra parte e non transiteranno a queste latitudini, visto che la trasferta è stata organizzata con i pullman.

Mi porto sotto la Sud per ritrovare vecchie amicizie e ricordare i tempi che furono: le foto, i rullini, gli scambi via lettera. Mi dicono delle follie di oggi, di sciarpe ultras vendute e comprate a centinaia di euro via internet… le logiche di Lorsignori hanno infettato anche il nostro piccolo mondo antico, purtroppo. Strette di mano, pacche sulle spalle, arrivederci non si sa quando.

Sono quasi le 20 quando cerco il posto in tribuna stampa, è la mia prima volta a Milano ma tutto fila liscio. Ho l’occasione di poter vedere il parcheggio e replico così il rito dell’attesa degli ospiti, con la macchina fotografica al collo e sempre con la speranza di qualche “fuori programma”. Stasera basta attendere una ventina di minuti, l’elicottero che rumoreggia nel buio annuncia l’imminente arrivo dei torpedoni scaligeri: l’entrata nel parcheggio è rallentata dal traffico e ad un certo punto gli ospiti scendono ed abbozzano un corteo all’interno del grande piazzale, ma tutto si ferma davanti alla fila di steward e blu.

Tutto calmo, posso andare a sedermi, non prima di avere riposto la macchina fotografica che potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Il posto è fantastico, nella parte bassa dell’anello e proprio a metà campo. Fino a 25 anni fa si entrava due o tre ore prima per riuscire a guadagnarsi una visuale del genere, poi arrivarono i seggiolini, i posti numerati ed infine vennero traslocati qui i giornalisti, non senza malumori.

È il giorno successivo all’assemblea degli azionisti con la quale Massimo Moratti ha confermato l’addio: apparentemente lo stadio è del tutto disinteressato, solo un piccolo striscione al primo anello saluta e ringrazia il Presidente.

I cori sono tutti di parte Hellas, il repertorio è dei più classici, l’unica innovazione mi pare il “simmie d** boia” che ha un po’ preso posto, almeno per come è scandito, di quel “Morte-morte” fatto con pollice riverso.

La Nord resta spoglia ed in silenzio, e solo dopo il calcio d’inizio comincia a srotolare, lentamente, il primo di una serie di striscioni: “IL PROGETTO E’ CHIARO: CI VOLETE COME NON SAREMO MAI… SEDUTI ED IN SILENZIO”.  Nessun colpo di scena sul fronte ospite: no ad applausi di circostanza per l’iniziativa interista ma un bel “Voi siete tutti seduti…” a farsene beffe.

Sul campo si prolunga la fase di studio, Palacio cerca di trovare varchi in una difesa molto attenta ma al minuto 8 il risultato si sblocca: Nagatomo in serpentina dentro l’area guadagna un corner e sugli sviluppi Jonathan, lasciato colpevolmente solo, colpisce all’altezza degli 11 metri.

La controffensiva scaligera dura il tempo di un calcio di punizione dalla trequarti che meritava miglior sorte: sul ribaltamento di fronte, nuovo corner, altra disattenzione in area e Palacio raddoppia.

A questo punto ti aspetti un calo verticale dei butei, ma invece si alza l’ennesimo “VE-RO-NA” che scuote ancora lo stadio.

Secondo striscione interista “ORA PERO’ VI FACCIAMO VEDERE QUANTO SIETE RIDICOLI CON QUESTA FARSA DELLA DISCRIMINAZIONE TERRITORIALE…”  e via con la dimostrazione: la Curva Nord lascia un varco aperto al centro, la parte di sinistra si cimenta in cori che si possono fare e quella di destra in cori vietati, poi le parti si invertono. L’ardua sentenza sta scritta nel terzo striscione della serata “E ADESSO QUALE PARTE DI CURVA PENSATE DI CHIUDERE?!”

La restante parte del pubblico, benché la partita sia già ammazzata, osserva la Nord senza troppa partecipazione ed alla fine il coro “Veronese sei figlio di *****” raggiunge un buon volume solo perché, come da consolidato copione, si aggiungono anche le ugole gialloblu.

L’Inter, tranquilla e tranquillizzata dal doppio vantaggio, amministra ma non rinuncia ad avanzare, l’Hellas invece fino alla mezzora non riesce a portarsi dalle parti di Carrizo.

La Nord attacca con un “siete ridicoli” che pare rivolto più ai Padroni del Calcio che ai dirimpettai, al quale fa seguito anche il colore di striscioni, bandiere e stendardi che sin qui erano rimasti nei borsoni.

Appena dopo un goal annullato ai padroni di casa, Marthino sfrutta la ripartenza ed accorcia lo svantaggio: la rete gasa di brutto i butei, comunque mai domi e dà anche più senso all’incitamento cominciato in Curva Nord.

Il Verona pare crederci ed insiste, mentre da lassù  il “Non vi lasceremo mai soli” si ripete per vari minuti, solo interrotto da un “Sentite gli interisti? No-no…”.

Le speranze però durano poco, perché al 38° Cambiasso allunga di nuovo le distanze, mentre la Nord srotola l’ennesimo striscione a tutta curva.

Adesso tocca ai nerazzurri cimentarsi con “In ogni posto che andiamo”, mentre gli ospiti gorgheggiano “quando i blu andranno in ciel”, coro poi ripreso anche dai padroni di casa alternando battimani ed ondeggiamenti.

Il tempo si chiude con l’Hellas che tenta nuovamente di preoccupare l’estremo avversario e fa ben sperare per un secondo tempo d’assalto.

Si ricomincia quindi con un ottimistico “Vinci per noi Hellas Verona”, mentre la Nord stenta a carburare e come primo coro inneggia a Mandorlini, indimenticato neroazzurro degli anni Ottanta, uno degli eroi della “Banda Trapattoni”.

Bella ma poco fotogenica la manata Hellas, mentre la difesa scaligera si scopre nuovamente impreparata sui calci da fermo: ennesimo corner, pasticci e rimpalli nell’area piccola e Rolando cala il poker.

“Divertiamoci comunque” sembrano pensarla al terzo blu mentre intonano la bella fogarina, ma a divertirsi sono soprattutto i padroni di casa, che ormai giocano come al gatto col topo.

Si alza il volume della Nord, insieme a bandiere e mani; Cambiasso esce tra gli applausi del Meazza e cede la fascia di capitano a Ranocchia; a breve distanza anche Palacio viene richiamato da Mazzarri.

I butei non mollano ma ora il contraltare avversario annulla la loro supremazia vocale, per lunghi tratti indiscussa ed indiscutibile.

L’ultima mezzora pare aprire una fase di pura accademia neroazzurra, mentre gli ospiti non trovano varchi e lasciano inoccupato Carrizo. La Nord si lascia andare ad osanna e gli Irriducibili, complice la temperatura mite, si denudano fino alla cintura e creano una macchia rosa ben visibile.

Al 70° arriva, del tutto inatteso, il goal di Romulo, a rigenerare una truppa gialloblu che sembrava un po’ rassegnata: Mandorlini tenta il tutto per tutto buttando nella mischia il bomber Cacia.

Si alza potente l’incitamento degli ospiti sulle note del “We’ll be coming” della Tartan Army, il Verona spinge e Toni riesce anche a segnare ma l’arbitro annulla per una spinta ai danni del diretto avversario.

A questo punto quella che pareva essere una semplice fiammata d’orgoglio sembrerebbe prendere i contorni di un vago assedio, se non fosse per la doppia distanza da recuperare e per i primi segnali di stanchezza che tolgono lucidità agli ospiti.

Juanito entra nell’ultimo scampolo di partita proprio per non lasciare nulla di intentato, Mazzarri è più inquieto e preoccupato della curva, che già pensa alla vicina trasferta con l’Atalanta pizzicando i rivali orobici.

Si chiude senza altre marcature, con gli ospiti che salutano la squadra con una sciarpata e gli avversari con cori di rito.

Lele Viganò.