Non sono certo uno che si entusiasma facilmente, né tantomeno mi ritengo avvezzo a lodare tifoserie che in genere non appartengono al movimento ultras che ha fatto la storia ed insegnato a tutto il vecchio continente come si campa negli stadi, vale a dire il nostro. Tuttavia sono convinto che bisogna essere sinceri con sé stessi (proprio così si è grandi) ed ammettere che attualmente, almeno a livello di numeri, continuità nel tifo e rabbia sociale che spesso si tramuta in violenza curvaiola, abbiamo da imparare quasi da tutte le tifoserie che sulla cartina geografica dell’Europa sono ubicate alla nostra destra. Tra queste penso che il top sia costituito da balcanici e polacchi.

Rimango sempre dell’idea che rispetto ai nostri ultras manchino, e forse mancheranno sempre, sotto il profilo dell’originalità, della passione e della fantasia (si guardi bene, la stragrande maggioranza di ciò che mettono in mostra oggi non è quasi mai un qualcosa di non transitato per le nostre curve), ed inoltre spesso e volentieri i loro gruppi sono vere e proprie organizzazioni paramilitari che hanno fatto e combattuto guerre civili e non solo. Aspetto non secondario per inquadrare il target di chi frequenta le curve dell’Est, molto più determinante rispetto al nostro connubio tifo-politica che indubbiamente spiccava soprattutto negli anni ’70, laddove comunque la maggioranza dei ragazzi che avevano accesso ai settori popolari lo faceva perché voleva sostenere in prima linea la propria squadra rappresentando la propria città.

Parliamo quindi, secondo il mio modesto punto di vista, di due realtà completamente speculari, ma sarebbe tuttavia ipocrita e falso non ammettere che, allo stato attuale delle cose, forse nessuna delle nostre tifoserie (neanche quelle più in forma) riuscirebbe a misurarsi con una curva polacca, serba o croata.

Ampliando ancor più il discorso, il primo paragone che mi è venuto in mente osservando quelli del Legia è stato con i vicini (e certo non amici) tedeschi. Ci si affanna a definire le curve teutoniche come le più organizzate, colorate, rumorose e chi più ne ha più ne metta. Quando in realtà in grande percentuale (e parlo con cognizione di causa, avendole viste ed avendo riscontri da amici tedeschi) lo zoccolo duro dei gruppi è formato da poche persone, che di frequente hanno difficoltà a trascinarsi dietro l’intero settore in fase di tifo. Ma ritengo che tutto ciò sia normale. Abbiamo due tipi di società completamente diverse. Da una parte la nostra e quella tedesca ormai assuefatte all’omologazione ed al benessere (nel nostro caso sarebbe più corretto parlare di finto benessere) con la gioventù che non ha più input per lottare o ribellarsi e preferisce chiudersi in casa a giocare con Playstation e X-Box, oppure passare un pomeriggio davanti ai social network piuttosto che uscire per strada e spaccare tutto ciò che gli capita a tiro, in un impeto di rabbia di fronte all’assenza di lavoro, cultura ed assistenza statale (questo vale per l’Italia, ovvio), mentre dall’altra c’è gente spesso sulla soglia della povertà, incazzata nera e riottosa. Riportando tutto questo all’aspetto che più ci interessa in questo resoconto poi, vale a dire il mondo del tifo, impossibile non confrontare, ma in ultima battuta e più avanti spiegherò anche il perché, la repressione esistente nei paesi dell’Est alla nostra caccia al tifoso quotidiana.

Dopo questa premessa che ritengo indispensabile, possiamo passare alla cronaca di una giornata che chi ama il mondo del tifo dimenticherà difficilmente. Già dalla sera prima del match si verificano i primi problemi con i tifosi polacchi beatamente in giro per la Capitale. Un gruppo di circa cento persone, infatti, hanno creato disordini sulla metropolitana che congiunge Roma ad Ostia, tirando in più di un’occasione il freno del treno e minacciando gli altri passeggeri. Altri disordini proprio nella zona del Lido con alcuni fans del Legia che si rifiutano di pagare delle corse in taxi. In ambo i casi interviene la polizia che identifica i tifosi, le veline della questura parlano di un possibile provvedimento Daspo nei loro confronti, in maniera da interdirgli l’accesso all’Olimpico la sera successiva, tuttavia ho come avuto l’idea si trattasse più di propaganda che di una vera intenzione di applicare quello scempio anticostituzionale chiamato Daspo, con il serio rischio di far sorgere frizioni internazionali con la Polonia (non puoi arrestare e daspare cento persone straniere, dopo voglio vedere come spieghi ai loro avvocati ed al Consolato tutta la faccenda senza fare una figura barbina). Nonostante l’allarmismo mediatico creato certamente ad hoc da chi di dovere, i supporters del Legia non sembrano affatto preoccupati. Il giorno successivo, infatti, tutta la città è invasa da loro. Il centro un vero e proprio quartier generale degli ultras rossoverdi che tentano in tutti i modi di creare il panico forzando gli accessi dei Fori, rubacchiando in qualche negozio e cercando persino di entrare nella zona dell’Altare della Patria dove ci sono i carabinieri che fanno da guardia al Milite Ignoto. Insomma, con questo antipasto non potevo che aspettarmi una cena più che ricca e gustosa.

Riesco ad arrivare in zona stadio solo una mezz’ora prima del fischio d’inizio. Dopo aver incontrato un amico curioso quanto me di vedere all’opera i Polacchi, superiamo i filtraggi ed entriamo. Lo stadio non presenta certo il pubblico delle grandi occasioni, ma nel settore ospiti davanti a noi notiamo subito assiepati poco meno di 2500 tifosi ospiti. Alla vigilia i giornali ne annunciavano circa 2000, solo a fine partita verrò a sapere che molti di loro hanno caricato senza timore, entrando gratuitamente e facendo passare i controlli a tamburi, torce, striscioni e petardi. E qua torniamo al discorso di prima: puoi avere tutta la repressione che vuoi, ma se a combatterla non sei spaccato in gruppetti, dei quali ognuno si guarda i propri interessi, il sistema magari ti vincerà lo stesso ma sicuramente dovrà faticare anche solo per toglierti l’asta di una bandiera. I tamburi all’Olimpico non entravano da anni, e non sto esagerando. L’unico modo per farli passare era sfondare le entrate. Loro lo hanno fatto e meritano solo applausi per questo. La nostra polizia, il nostro sistema, i nostri divieti e le nostre repressioni come sempre si mostrano per quello che sono: forti con i deboli e deboli con i forti.

La macchia bianca che occupa il Distinto Ovest dell’Olimpico fa subito presagire che ci sarà una coreografia, si intravedono infatti i cartoncini con i colori sociali del club. La Nord laziale questa sera ha un compito assai arduo ed i numeri certamente non aiutano, il feudo del tifo laziale infatti è pieno solo nella parte inferiore e quando la partita sta per iniziare cerca di compattarsi. Gli ultras del Legia appendono due striscioni in balaustra, uno riportante il nome della squadra sulla bandiera della Polonia (sempre presente al seguito della nazionale peraltro) ed un altro dei Warriors, un gruppo composto da un centinaio di ragazzi che sembrano essere l’ala dura della curva. Saranno gli unici a non tifare mai durante l’incontro.

Le squadre fanno il loro ingresso in campo e dal settore occupato dagli ospiti prima si levano al cielo tanti cartoncini che formano un tricolore rosso-bianco-verde e poi vengono simultaneamente accese almeno una ventina di torce. Roba che se lo facesse una nostra tifoseria, soprattutto qualcuno di Serie D (ricordo gli Anconetani lo scorso anno contro la Jesina) rischierebbe minimo la squalifica del campo. Eppure l’effetto è di rara bellezza, l’odore della polvere da sparo arriva fino alle nostre narici, con noi che come due coglioni che non hanno mai visto una curva siamo là a bocca aperta. È persino divertente ascoltare i commenti dei tifosi da Tribuna i quali prima si alzano applaudendo tale spettacolo e poi esclamano: “Mai visto nulla di simile!”. Gli italiani, si sa, hanno memoria corta. E la cosa che mi fa veramente sorridere è che con tutta probabilità, visto il grado di lobotomia al quale siamo giunti, se lo stesso evento si fosse verificato nella curva di casa, forse sarebbe partito qualche fischio accompagnato da commenti di disapprovazione. Un po’ come quando gli Ateniesi si scontrano con la polizia ricevendo il plauso della Massaia di Voghera, la stessa che una settimana dopo insulta ed inveisce contro quelli italiani che fanno altrettanto a Roma. Certo, non pretendo la coerenza dalle persone, ma almeno un po’ di sanità mentale sì. La curva laziale, nello stesso momento, offre una bella sbandierata, accendendo qualche fumogeno e qualche torcia.

La partita inizia e con essa lo spettacolo assoluto del tifo ospite, inizialmente oscurato dalla cappa di fumo creata dalle torce, che impiega almeno dieci minuti buoni per diradarsi, rendendo il mio compito di fotografo più che complicato. A scopo coreografico viene anche esposta una gigante maglia del Legia, dopodiché il tifo sale in cattedra. Battimani eseguiti da tutti all’unisono. Forti, potenti, coordinati. Cori cantati saltellando, tamburo battuto perfettamente, subito una sciarpata e poi tutti senza maglia a dare un effetto coreografico da urlo. Non è certamente la prima volta che entro in uno stadio, figuriamoci all’Olimpico. Nella mia vita ho avuto la fortuna di assistere al derby di Belgrado e a decine di partite veramente belle ed indimenticabili dal punto di vista del tifo. Eppure sono senza parole per la continuità, la compattezza e la sincronia che ho davanti agli occhi. Un qualcosa che a chiunque obiettivo amante delle curve farebbe uscire le pupille dalle orbite.

I Laziali ci provano, tifano e colorano la curva. Ma oggi il confronto sarebbe stato praticamente impossibile per qualsiasi tifoseria italiana. Almeno credo. Nelle fila laziali tuttavia da segnalare striscioni e cori contro la Roma, prossima avversaria nel primo derby stagionale, mentre non mancano un paio di insulti nei confronti dei dirimpettai e dei loro gemellati juventini presenti nel settore con striscioni e bandiere. In realtà va detto che i primi ad offendere sono proprio gli ospiti che, in un perfetto italiano, probabilmente sotto dettatura juventina, mandano gentilmente a quel paese i biancazzurri e scandiscono cori per la Juventus. Si va avanti con questo copione per tutto il primo tempo e se proprio devo trovare un difetto agli ultras polacchi, devo dire che peccano in originalità dei cori che, come quasi tutte le tifoserie dell’Est, alla fine della fiera sono sempre i soliti tre o quattro. Certo, va anche detto che vengono tenuti per lungo tempo, spesso anche oltre i dieci minuti.

Nella ripresa si riparte come si era concluso. Dopo i primi cinque minuti di riscaldamento, i tifosi del Legia ricominciano a macinare tifo dando spettacolo. In Curva Nord da segnalare l’esposizione di due striscioni contro la Uefa, il primo recita “Up the ultras, fuck Uefa” ed il secondo “Uefa=Mafia”. Due messaggi chiari e forti nei confronti della delinquenziale organizzazione che negli ultimi anni sta prendendo sempre più di mira chi non segue i propri diktat ipocritamente buonisti. Oltre ai Laziali, gli ultras del Legia ne sono il fulgido esempio, avendo da poco scontato un turno a porte chiuse a causa di intemperanze. La loro risposta alla prima occasione è stata tuttavia fenomenale: una maxi torciata con una coreografia fatta di cartoncini che scherniva Platini e compagni.

Il secondo tempo passa così tra foto e video da passare ai tanti maniaci del movimento ultras dell’Est (un riferimento casuale nei confronti di qualcuno, sic!) ed alla fine quasi dispiace che la partita volga al termine. In campo è la Lazio ad avere la meglio, grazie ad un gol di Hernanes. Un’esultanza festeggiata con l’accensione di un paio di torce che sicuramente non fanno mai male. Al triplice fischio del direttore di gara rimango ancora qualche minuto dentro per immortalare i giocatori del club di Varsavia che senza pensarci due volte si recano sotto il settore dei propri tifosi, intrattenendosi lungamente. Vengono lanciate le magliette e scambiati applausi e pacche sulle spalle. Qualcuno invade persino il campo per ringraziare la squadra della bella prestazione. Roba per la quale Romanisti e Laziali in passato hanno amaramente pagato le conseguenze. Penso tuttavia a come siamo ormai distanti anni luce anche in questo, da noi i giocatori, spesso sotto suggerimento delle società, difficilmente si avvicinano ai propri tifosi, e se proprio devono farlo si portano dietro un esercito di polizia, carabinieri e steward. Poi queste starlette pretendono l’umanità e la comprensione da chi a volte li contesta. Roba dell’altro mondo.

Non mi dilungo di più con il racconto, del resto credo che saranno le immagini a parlare più di ogni mio pensiero. Un’ultima stoccata va invece a chi il pallone l’ha rovinato anche a livello continentale, creando tale disparità tra Champions League ed Europa League, e di conseguenza tra club ricchi e club meno abbienti. Io rimpiango la Coppa delle Coppe, la Coppa UEFA e la Coppa dei Campioni. E non solo perché le squadre italiane vincevano a raffica, ma anche perché quello a mio avviso era calcio con la “C” maiuscola. Equilibrato, combattuto, vero e passionale. E non queste quattro ballerine dell’Opera che sanno di plastica riciclata. Aperta e chiusa parentesi.

Simone Meloni.