Certo che il calcio di oggi è una vera e propria cloaca. Passino i fallimenti e le retrocessioni pilotate, le partite vendute ed i giocatori dopati. Passi anche il fatto che ormai ti squalificano la curva se fai un coro politicamente non corretto contro l’avversario. Ma da appassionato di questo sport, prima ancora che tifoso ed amante delle curve stesse, la cosa che davvero mi fa più male e mi dà più dispiacere è assistere alla continua scomparsa di compagini storiche in luogo di ibride accozzaglie di nomi, paesi, città e sponsor che giocano spesso addirittura a decine di chilometri dal luogo di provenienza solamente per interessi economici di pochi, e che spesso hanno vita breve, due o tre anni, per poi scomparire nuovamente lasciando numerose città senza calcio e senza la propria squadra.

Il caso più eclatante al momento, almeno nella mia regione, ha un nome ed un cognome: Lupa Roma. C’era una volta la Lupa Frascati, antico e storico sodalizio calcistico legato al celebre paesino dei Castelli Romani che, sul finire degli anni ’70 partecipò anche al campionato di Serie C2. Una società blasonata per il calcio laziale che disputava le proprie gare interne presso lo stadio “Lucio Mamilio”, poi ribattezzato “Amedeo Amadei” in onore del celebre “Fornaretto” nativo di Frascati e centravanti della prima Roma scudettata nel 1941-1942. Da quest’anno si è deciso che tutto ciò doveva miseramente finire per dar vita ad un qualcosa di asettico e totalmente inutile: la Lupa Roma. Questa nuova società dapprima sposta la sede delle proprie gare da Frascati a Fiumicino, pur registrando la propria sede sociale nel quartiere Axa, pochi chilometri da Ostia e poi opta per una maglia “ecumenica”: colori giallorossibiancazzurri e stemma riportante sia il Lupo romanista che l’Aquila laziale. Nel frattempo a Frascati approda un’altra società, la Lupa Castelli Romani, appena nata dalle ceneri di un altro obbrobrio del calcio laziale, il Real Torbellamonaca Zagarolo che, neanche a dirlo, era sorto dalla fusione tra la società del quartiere di Roma Sud e quella del paese casilino. Risultato: Frascati e Zagarolo non hanno più la loro squadre e Fiumicino, da sempre sede dell’AS Fiumicino 1926, è costretta ad ospitare questo scempio pallonaro. Il preambolo è dunque d’obbligo per spiegare dove ho deciso di andare. Oltretutto la scelta è maturata giusto un giorno prima, e quindi chiamo, preventivamente, la società per accertarmi che l’accredito oltre ad essere arrivato sia stato anche accettato. Mi rispondono che è tutto ok e potrò entrare in campo.

Il Sora non ha entusiasmato nelle prime giornate di campionato, raccogliendo solamente quattro punti. Tuttavia una rappresentanza bianconera sarà certamente presente in riva al Tirreno. La ridente cittadina marina dista poco più di 20 chilometri da casa, posso quindi prendermela comoda. Dato che anni fa le istituzioni capitoline e Trenitalia hanno avuto la lungimirante idea di chiudere la stazione di Fiumicino Città, sostituendo il treno con i pullman, sono costretto a prendere Linea A, Linea B, scendere alla stazione Magliana e salire sul torpedone della Cotral. È sabato pomeriggio ed in giro ci sono davvero poche persone, così arterie generalmente trafficate come Via Ostiense e Via Portuense scorrono abbastanza agevolmente, ed in meno di mezz’ora sono a destinazione. Appena sceso un forte odore di frittura di paranza avvolge le mie narici, inutile dire che non mi lascia indifferente. Fiumicino si sta preparando alla Notte Bianca che si terrà la sera stessa, e così per le strade sembra esserci molta vita. Penso fra me e me che non metto piede da queste parti da ormai più di 15 anni, vale a dire quando mio padre ci lavorava e d’estate mi portava con lui. Ad onor del vero non al mare, perché a codeste latitudini è meglio lasciar perdere idee di bagni e tintarelle, se non altro perché ho ancora ben impresso l’unica volta che con mia madre ci provammo, scappando dopo un paio d’ore a causa dell’acqua intrisa di catrame e sporcizia.

Percorro tutto il marciapiede che costeggia il canale ed in poco più di dieci minuti sono allo stadio. Manca circa mezz’ora all’inizio, mi avvicino agli ingressi per verificare che il mio accredito ci sia. Una ragazza controlla le liste e mi dice che a lei non risulta, ma che comunque posso tranquillamente entrare, mentre la ringrazio arriva il presidente della Lupa Roma che con fare arrogante e a dir poco maleducato comincia a sbraitare contro la ragazza esortandola a non farmi entrare se non con il biglietto. Faccio presente che il giorno prima ho chiamato in sede e mi è stato detto che era tutto ok. Non vuole sentir ragione e mi risponde testualmente che “non gliene frega niente”. Vista la mia intolleranza epidermica a questa farsa calcistica comincio ad irritarmi, ma nello stesso momento arriva una signora che riguarda la lista e mi dice: “Ma sei Simone Meloni? Eccoti, il tuo nominativo è solo scritto a penna per questo non lo vedevamo”. Dopo esser entrato mi dirigo verso gli spogliatoi, dove di norma dovrei entrare per prendere la pettorina e lasciare il documento. Come in tutti i campi normali. Ma ancora il presidente mi sbatte la porta in faccia dicendomi che devo aspettare ed invitandomi a fargli vedere la mia tessera da giornalista. Gli spiego che in queste categorie (bisognava aggiungere che nonostante si fosse inventato quella porcheria di maglia “romanistolaziale” eravamo sempre in Serie D) non occorre nessun tesserino. Prende e se ne va. Fortunatamente arrivano altri fotografi che conosco ed un ragazzo ci fa finalmente entrare consegnandoci le pettorine. Questo quadretto però, direi che spiega sinteticamente e con efficacia di cosa stiamo parlando.

Quando il match sta per iniziare, nel settore ospiti ancora non ci sono gli ultras, che arriveranno dopo una decina di minuti. Li vedo entrare dalla porticina con striscioni, bandierone ed un tamburo che cominciano a suonare sin dall’esterno. Il contingente ultras è composto da una ventina di ragazzi, i quali, dopo aver posizionato gli striscioni, cominciano subito a tifare. Bei battimani e cori tenuti a lungo, ben ritmati da chi suona il tamburo. In questi casi, si dice che la qualità è più importante della quantità. E per me che qualche giorno prima avevo di fronte agli occhi la marea umana e canterina di quelli del Legia Varsavia è un pensiero senz’altro più che corretto. C’è chi ama solo una delle due realtà, io le amo entrambe. Perché sono diverse ma uguali tra loro. Il filo conduttore è sempre lo stesso: la passione ed il tifo. A discapito di molti che pensano il contrario, quando si è in venti si può fare eccome il tifo e spesso riesce anche meglio di quando si è in cinquemila.

In campo i bianconeri subiscono gli avversari e poco prima dell’intervallo vanno in svantaggio. Lo speaker dello stadio, dopo averci deliziato con l’osceno inno della Lupa Roma, nel prepartita si cura anche di mandare musichette in stile sport americani al gol dei padroni di casa. Un qualcosa che per me è definibile con un solo aggettivo della lingua italiana: disgustoso. Tuttavia lo spettacolo deve andare avanti. Ricomincia il secondo tempo e la musica sul campo non cambia con i romani-fiumicinesi-frascatani che pervengono presto al raddoppio, mettendo una seria ipoteca sui tre punti. I Sorani tuttavia ci sono e non mollano. Mi piace molto l’approccio che hanno alla partita, il tifo prima di tutto. Così c’è tempo anche per una “magliata”, tutti a petto nudo a sventolare le maglie ed un paio di cori eseguiti tutti abbracciati saltellando. Dal punto di vista canoro non li si può imputare nulla. Al triplice fischio, come ampiamente prevedibile, partono però i cori di contestazione con la squadra bianconera che si avvia mestamente sotto il settore ospiti. Effettuo gli ultimi scatti, peraltro gli unici ravvicinati a causa della scomodità del campo, privo di qualsiasi spazio esterno al terreno di gioco, e mi avvio verso l’uscita. Nell’andarmene sento i Sorani scandire cori contro Ostia, i fatti dello scorso anno evidentemente sono tutto fuorché dimenticati. Il ritorno verso casa è alquanto tranquillo. Preferisco pensare a ciò che di buono ho visto durante questa piccola “scampagnata” rispetto al marcio che il calcio italiano offre quotidianamente.

Simone Meloni.