“Mi sono accorto che sto bene solo quando sto con te” cantava Daniele Silvestri in “Sempre di domenica”, frase perfetta per descrivere il mio stato d’animo quando mi trovo davanti a due tifoserie che si fronteggiano in uno stadio. È giovedì e devo scegliere la partita settimanale da seguire. Dopo aver assistito con piacere la settimana precedente a Samb-Sora, mi cade l’occhio su Tivoli-Samb: motivato dalla bella tifoseria della squadra di casa che volevo vedere da tempo, e dai tifosi marchigiani tra i migliori della categoria, non ci penso due volte e chiedo l’accredito. Qualche ora dopo arriva la pronta risposta della Tivoli Calcio che mi accetta come fotografo. In quel momento non potevo immaginare cosa mi sarebbe successo una volta arrivato.
Mi presento allo stadio Olindo Galli con mezz’ora di anticipo rispetto all’inizio del match, vado a ritirare l’accredito al botteghino e mi comunicano che per i fotografi in campo l’ingresso è un altro. Mi dirigo nel posto indicatomi ma mi accorgo che c’è qualcosa che non va: una signora (che poi si è identificata come presidentessa della Tivoli Calcio) sta discutendo con diversi fotografi, qualcuno giunto da San Benedetto del Tronto (che dista quasi 200 km dallo stadio in questione) per fare il loro lavoro, che notoriamente si svolge a ridosso del terreno di gioco, anche solo per una mera questione di inquadratura dei calciatori o delle tifoserie. Mi avvicino per capire il motivo della discussione e faccio presente che sarei dovuto entrare anche io in campo per scattare, mi viene risposto che la Tivoli Calcio per motivi di ordine pubblico non può far entrare più di un fotografo per società (alias il fotografo ufficiale) e che tutti gli altri si sarebbero dovuti accomodare in tribuna, da dove – secondo la massima dirigente – generalmente si scatta senza problemi. Provo a ribattere che il mio lavoro lo posso svolgere bene solamente dall’interno e che in tribuna non è la stessa cosa ma non c’è verso, la presidentessa insiste che a casa sua comanda lei e nonostante le si faccia presente che da regolamento nazionale i fotografi (fino ad un numero di 15) devono poter entrare in campo, lei non cambia la sua posizione.
Mi viene spontanea una domanda: in termini di immagine e professionalità cosa ci guadagna la Tivoli nel comportarsi in questa maniera? Ho provato per giorni a trovare una risposta ma non se ne esce. Una società dovrebbe essere contenta quando sale alla ribalta di un campionato nazionale come la Serie D e diventa oggetto di attenzioni da parte di giornalisti e fotografi, perché gli stessi contribuiscono a fare pubblicità e diffondere il nome della stessa, cosa che non succederà con chi si è trovato davanti ai fatti sopra citati. Del resto parliamo di un campionato dalle regole uniformi, che non possono certo cambiare in base all’avversario o all’umore dei dirigenti. La scorsa settimana, di fronte ai 6.000 spettatori del Riviera delle Palme, non abbiamo avuto problema alcuno nell’accedere al campo e fare il nostro lavoro. Perché lo stesso non è accaduto al Galli?
A questo punto, stizzito e anche abbastanza arrabbiato davanti ad una situazione del genere mi trovo in grande difficoltà, come posso fotografare entrambe le tifoserie dalla tribuna? Mi gioco l’ultima carta recandomi dai tifosi della Tivoli e, dopo avergli spiegato la situazione, chiedo se posso mettermi nel loro settore per fotografarli e per fotografare i dirimpettai tifosi della Samb. Loro molto gentilmente acconsentono e mi permettono di svolgere il lavoro per cui sono venuto. A questo punto, sebbene in modo travagliato e tutt’altro che agevole, può iniziare anche la mia partita.
Gli ultras della Tivoli già prima del calcio d’inizio si fanno sentire per caricare la loro squadra e dall’altra parte i tifosi ospiti non sono da meno, stimolati dall’obiettivo promozione che li accompagna sin dalla prima giornata. L’avvio di match è scoppiettante con i marchigiani che dapprima trovano il vantaggio ma poi restano in dieci per un fallo di reazione, trovandosi dopo pochi minuti sotto per 2-1. Il settore amarantoblu è una bolgia: cori di vario genere, diversi stendardi (ho trovato davvero molto bello quello con il simbolo della città, meticolosamente realizzato a mano) e bandiere accompagnano i tiburtini per tutta la partita.
Quando all’inizio citavo Daniele Silvestri dicendo che “sto bene solo quando sto con te”, mi riferivo proprio a questo genere di situazioni: appostato a pochi metri dalla balaustra dove megafono e tamburo danno ritmo e spinta ai cori, avverto tutta quella sensazione di benessere che la propositività e la grinta degli ultras sanno comunicarmi. Qui non siamo né all’Olimpico, né a San Siro. Non ci sono televisioni e grandi camere a riprendere, quindi tutto suona più vero e genuino. E si tasta con mano quanto gli ultras tiburtini abbiano cucito sulla propria pelle l’anima e il senso di appartenenza dei propri colori. Inoltre tifano davvero in modo impeccabile, paradossalmente con molta più intensità e continuità di un settore ospiti importante quest’oggi. “Pochi ma buoni” sarà pure una frase fatta, ma veramente in questa domenica il dato numerico è relativo e la sostanza premia alla grande i ragazzi di casa. I quali rappresentano ormai da anni una costante in crescita del panorama ultras regionale, approdati meritatamente in D dopo anni bui nei bassifondi del calcio laziale. Fa sorridere constatare come il loro frastuono e la loro voglia di essere il dodicesimo a tutti gli effetti, “convinca” i raccattapalle a posizionarsi più lontano possibile dal terreno di gioco e ridare la palla lentamente, per perdere qualche secondo di gioco.
Nel settore ospiti, dove i marchigiani sono 450, la situazione è diversa: nel primo tempo i rossoblù iniziano bene, ma si spengono leggermente dopo l’espulsione e il ribaltamento di risultato. Nella ripresa, anche per una buona prova della loro squadra che in inferiorità numerica suda e lotta su ogni pallone, migliorano col passare dei minuti fino all’esplosione nel finale con il gol del 2-2 che chiuderà la partita. Magari non la miglior prova per i sambenedettesi, ma pur sempre una conferma dell’enorme valore di una tifoseria che a distanza di anni, fallimenti e delusioni continua a girare con numeri importanti, prescindendo dall’andamento sportivo e volendo a tutti i costi far primeggiare nome, colore e simbolo di San Benedetto del Tronto. Da segnalare, tra loro, la presenza dei gemellati romanisti, evidenziata da una bandierina giallorossa e una pezza con la Lupa Capitolina.
Considerazione finale: per l’ennesima volta i tifosi dimostrano di essere l’unica parte sana del pallone. Un ringraziamento speciale va dunque agli ultras della Tivoli, che quest’oggi non solo ci hanno permesso di realizzare il servizio e saggiare l’ambiente di una gara importante e sentita, ma hanno onorato il nome della loro millenaria città – un posto stupendo, che non merita il biglietto da visita di cui sopra – e della loro ultra centenaria società, la cui dignità e il cui onore è fortunatamente solido perché legato ai colori e alle tradizioni locali, non a dirigenti o presidenze. Un club, del resto, è patrimonio della città e dei tifosi e non può certo esser trattato come una cosa propria con cui fare e disporre. Soprattutto nell’ambito di un torneo che dalla Valle d’Aosta alla Sicilia osserva un identico modus operandi per gli operatori dell’informazione. Quindi sì, quella Tibur Superbum citata da Virgilio, resta tale anche quest’oggi grazie a quei ragazzi che dietro a bandiere e striscioni ne hanno preservato l’anima e l’onore.
Marco Meloni