È un domenica mattina di gennaio. Fredda. La colonnina di mercurio lambisce lo zero, come non faceva da tempo immemore. Un cielo terso domina il Centro Italia e questa mattina non ho in programma lunghe sgroppate per la Penisola o mete difficili da raggiungere e complicate da conoscere. La bussola si rivolge a ovest, rispetto a casa mia. Punta verso un altro quadrante della città, sempre all’interno del Grande Raccordo Anulare. La meta è il quartiere Torrino, dove si giocherà la sfida di Prima Categoria tra la compagine locale e la VJS Velletri.

Il Torrino (che prende il nome da una Torraccia, individuata già nello scorso secolo lungo il percorso della Via Ostiense) è uno dei tanti quartieri sorti negli anni sessanta, durante il boom edilizio che ha ha portato all’espansione dei confini capitolini (e anche alla nascita di veri e propri ghetti o ecomostri). Noto per essere un centro residenziale signorile, a pochi passi dal più rinomato quartiere E.U.R. Per far intendere quanto Roma sia grande (almeno per gli standard italiani) basti pensare che la distanza che coprirò totalmente in bicicletta dalla mia abitazione si aggira sui venti chilometri (solo andata). Ma la mattina è bella e il freddo si combatte a suon di pedalate!

Ciò che mi spinge verso il campo Maurizio Melli, a poca distanza da una delle numerose anse del fiume Tevere, è la curiosità di vedere all’opera i ragazzi di Velletri. Li avevo lasciati diversi anni fa nella grande quanto vuota cornice dello stadio di Cori, in occasione di un “derby” in cui – in realtà – furono gli unici presenti. Banda Volsca è un nome noto nel panorama ultras laziale ma le sfortunate sorti calcistiche della VJS (acronimo di Veliterna Juventus Sportiva) hanno fatto sì che le sue gesta, negli ultimi anni, rimanessero perlopiù seppellite nei campetti della periferia regionale, se non addirittura e solo di quella castellana/pontina.

Ma partiamo dal principio. Velletri è un paesone che conta oltre cinquantamila abitanti (settimo comune della provincia di Roma), posizionato nell’area meridionale dei Castelli Romani. Esattamente a metà tra Roma e Latina. Da sempre crocevia dei traffici verso Sud (prima della creazione della ferrovia direttissima vi transitava la strada ferrata che congiungeva la Capitale al mare e nel centro cittadino passa la Regina Viarium, quella Via Appia che è probabilmente la più conosciuta e importante tra le strade consolari). Peraltro, curiosità vuole che Velletri non rientri tra i quattordici comuni storici dei Castelli. Ciò che rende problematico includerla a pieno titolo, nonostante la sua collocazione geografica, è il fatto che dal Medioevo fino al sedicesimo secolo, la città mantenne sempre lo status di Libero comune, distinguendosi dunque dalla totalità della località della zona e non essendo mai infeudata a nessun signore, dunque non essendo mai un “castello”.

Benché la VJS sia un’istituzione cittadina dal 1955 (prima di essa la città era rappresentata dalla S.S. Veliterna) e possa vantare diverse stagioni di Serie D (negli anni ottanta sfiorò a più riprese la Serie C) ed Eccellenza, negli ultimi anni è stata protagonista di una delle tante storie marce del calcio italiano. Retrocessioni, insuccessi, fusioni obbrobriose (addirittura la società arrivò a chiamarsi ASD Lariano Velletri nel 2012) e diversi fallimenti. In particolar modo l’ultimo, datato 2017, ha rappresentato un vero e proprio giro di boa. Dal punto di vista calcistico ma soprattutto per quanto riguarda la sua tifoseria organizzata. Fu la Banda Volsca, infatti, a rifondare il sodalizio rossonero con il suo nome storico, iscrivendolo alla Terza Categoria, occupandosi di tutta la gestione (dagli allenamenti alle spese) e mandando in campo alcuni dei suoi componenti. Si giocava alla nove di mattina, “ovviamente” non a Velletri (il comune non concesse alcun terreno). Il campionato finì a ridosso della zona promozione.

Una di quelle storie rimaste troppo tempo sottaciute, che riverbera alla perfezione la tempra di questi ragazzi e dovrebbe lasciar pensare a quanto la squadra di calcio per gli ultras sia ben oltre che un semplice pallone che rotola la domenica. L’amore per un’identità e la voglia di non lasciarla morire. Anche mangiando la polvere dei campetti di Terza Categoria, anche vedendo – contestualmente – nascere un’altra sedicente società cittadina (l’ASD Velletri) nel 2020, che a parole si impegnava a riportare il grande calcio a Velletri fondendo altre quattro realtà esistenti, ma che, ai fatti, non collimava con quel progetto dal basso, quella voglia di sangue rossonero applicato ai gradoni e poi alla contesa calcistica. E non a caso gli ultras non ne hanno mai sposato la causa (malgrado si trovi in Promozione, una categoria più su), continuando a sostenere la loro “creatura”. Lontani da volti noti del calcio e della politica locale, guardinghi a non farsi sottrarre storia e blasone (suddetta società ha provato, in passato, a ricalcare lo stemma della VJS) e granitici nel sostenere una malcelata opposizione a qualsiasi richiesta di fusione – danari alla mano – da parte di lor signori. In una parola: ultras. E non solo sugli spalti. Del resto, se si vuol mantenere una certa dignità oggi ultras bisogna esserlo in tanti campi della vita, anche laddove un pallone non rotola.

La VJS attualmente non è più gestita dai suoi ultras, che saggiamente l’hanno passata nelle mani di una società e di un presidente in grado di lavorare in maniera pulita. Resta ovviamente il “controllo” dell’operato da parte del tifo, anche grazie ad alcuni rappresentanti che partecipano attivamente alla vita del club. Un club che ovviamente ha dovuto lottare con le unghie e con i denti anche per giocare stabilmente dentro i confini cittadini. E anche qua si dovrebbero aprire lunghe riflessioni su quanto spesso e volentieri le amministrazioni comunali finiscano per intralciare progetti sportivi validi, per giunta legati alla tradizione locale, solo perché non producono un ritorno elettorale o perché non inseriti in certe oleate dinamiche di potere.

Nel momento in cui scrivo la VJS Velletri può usufruire del campo B dello storico stadio Giovanni Scavo (situato a pochi metri) ma non può utilizzarlo per gli allenamenti e per le giovanili, ad esempio. E se questo è dovuto anche a scelte propriamente tecniche da parte del club, d’altro canto è anche causa del forte ascendente nella politica locale esercitata dall’ASD Velletri (malgrado la squadra non abbia seguito) spesso anteposto alla sigla che da sessant’otto anni porta in giro il vessillo veliterno sui campi di calcio.

Vero è che la piccola tribuna dell’attuale impianto ha contribuito a compattare il gruppo e far sì che il tifo ne risulti più unito. Perché, dopo aver scandagliato le questioni calcistiche, non dimentichiamoci che alla base di tutto questo discorso c’è la Banda Volsca e il suo percorso. Anche qui occorre partire dal principio e più precisamente dalla stagione 2003/2004, quando nasce la Nuova Guardia. Gruppo che aveva l’intento di riportare il tifo organizzato a Velletri dopo i vari tentativi fatti a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta (tra i nomi apparsi ricordiamo Ultras, Viking, Brigate). Un’esperienza che, anche grazie al buon momento calcistico della VJS (all’epoca in Eccellenza e impegnata sempre di sabato) ha contribuito a ricreare entusiasmo e voglia di costruire qualcosa di importante. Non a caso un anno e mezzo più tardi viene alla luce la Banda. Il nome non ha bisogno di grandi presentazioni, ma per i meno avvezzi con la storia va ricordato che Velletri fu uno centri più importanti per i volsci, popolo preromano stanziato in quest’area.

Le date fondamentali del gruppi sono certamente due: stagione 2009/2010, in seguito a un eccessivo utilizzo della pirotecnica nella partita contro il Latina, il direttivo subisce una pesante rappresaglia poliziesca a colpi di Daspo e denunce. Il bivio è palese: proseguire o mollare tutto, arrendendosi alla repressione. Si decide di andare avanti e mantenere sempre lo stesso nome. Un atto di coraggio che si ripete, come detto, nel 2017, quando dopo l’ennesimo fallimento gli ultras castellani non solo si rifiutano di ammainare le proprie bandiere, ma decidono che saranno loro a restituire il maltolto alla città. Questa scelta negli anni viene premiata da un importante ricambio generazionale, in grado di dare linfa vitale al gruppo e farlo crescere in maniera vistosa. E oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma andiamo con ordine e passiamo alla cronaca.

Vedo arrivare i veliterni quando mancano pochi minuti al fischio d’inizio. Trafelati. Bandiere, striscioni e tamburi in mano. Il biglietto da visita è già piacevole se si pensa che siamo in Prima Categoria, in un campetto sperduto della periferia romana e che sono le 11 di una domenica mattina qualunque. La tribunetta locale è di quelle che invogliano al tifo: piccola, coperta e compatta. In pochi istanti ecco farsi spazio sulla rete le varie pezze del tifo rossonero. Oltre a Banda Volsca, infatti, risaltano l’intrigante Bestemmiavano Dio e Lor Parenti (citazione del Canto III dell’inferno dantesco: si riferisce a un articolo uscito su un quotidiano locale che, per stigmatizzare alcune turbolenze avvenute a Cecchina – frazione di Albano Laziale – qualche anno fa tra i locali e i veliterni, parafrasò quasi interamente questo passaggio della Divina Commedia), Atteggiamento Zellino (“attaccare zella” in veliterno equivale ad essere rissosi) e Stretti in libera sorte, che cita la celebre “Sotto il segno dei Pesci” di Venditti, riferendosi al fatto che il gruppo è nato in febbraio, proprio quando l’ultimo dei segni zodiacali si manifesta.

Materiale che denota fantasia, voglia di distinguersi e voler portare avanti un proprio modo d’essere. Una mosca bianca per un movimento ultras italiano ormai troppe volte grezzo, sciatto e in grado solo di fare copia e incolla. E tutto ciò, mi permetto di dire, che è ancor più lodevole se si pensa a quanto sia vicina Roma e a quanto storicamente abbia sempre fagocitato pubblico e ragazzi in favore delle sue due squadre. Sicuramente gli ultimi anni sono stati forieri di una riscoperta sia del calcio “minore” che delle proprie radici e in tanti, ormai, fanno il processo inverso rispetto a qualche lustro fa: prima la squadra della propria città e poi, semmai, il grande club.

Mi posiziono davanti a loro, sfruttando la presenza di un palo della luce per appoggiarmi e realizzare al meglio foto e video. Ma anche per osservarli con attenzione. Ci sono tanti ragazzi e qualcuno anche più grande, segno che Banda Volsca dev’essere ormai una sigla di un certo peso tra le mura cittadine. Ma soprattutto c’è una palese voglia di fare tifo. E non a caso la riuscita è davvero di alto livello. Facile dedurre che dietro ci siano teste pensanti, ci sia un’idea e una linea in grado di mantenere viva l’aggregazione durante i sette giorni della settimana. Un legame con la città che viene ribadito anche nei cori, basti pensare al momento in cui “cavoletti e baccalà” (piatto tipico per eccellenza di Velletri) diventano il contenuto principale di un canto che dura svariati minuti!

Posso dire che vedere questi ragazzi all’opera, almeno per un paio d’ore, è stata una ventata d’aria fresca nonché uno schiaffo a tutta quella fucina di repressori, scrittori del nulla e straccioni dalla lingua lunga che vorrebbero distrutti subito tutti gli spazi aggregativi?

Le cose in campo non vanno per il meglio. La VJS, malgrado una partita arcigna, soccombe 3-1 finendo per perdere il primato proprio ad appannaggio degli avversari. Significativa la frase di un ragazzo, al terzo gol subito: “Non molliamo, l’abbiamo seguita pure un Terza Categoria”. E in effetti come dargli torto: quando il modus vivendi è questo, spesso il tifo non può che continuare a rimbombare forte e prepotente anche a sconfitta ormai acquisita.

Con le squadre ormai negli spogliatoi, la Banda Volsca continua a saltare, volendo mettere la parola fine a questa mattinata a suon di cori. Prima di risalire in sella alla mia mountain bike e percorrere a ritroso la strada già fatta, penso che viaggiare in lungo e largo sia bellissimo e personalmente mi dà ossigeno e gioia di vivere. Ma quando ogni tanto ci si ferma, quando si vuol guardare anche quello che ci circonda, si possono avere delle belle sorprese. E capire che c’è sempre qualcuno pronto a ridar vita a quel germoglio troppe volte calpestato.

L’aggregazione da stadio rimane uno dei pochi fenomeni giovanili ancora importanti e significativi in Italia. E pur con tutti i suoi difetti, sebbene qualche babbione voglia far per forza raffronti impossibili con i suoi tempi, questo è un patrimonio unico. Proprio come quei ragazzi che lasciano il settore sventolando i propri bandieroni, tenuti chiusi durante l’incontro a causa delle ridotte dimensioni del settore. Ne hanno ancora per cantare e per divertirsi. E per onorare un ideale che da anni guida ogni loro battaglia e ogni loro passo.

Simone Meloni