Cos’è tutto questo riscoperto senso di giustizia? La gente lo avverte solo quando Strasburgo emette sentenze? Non è che sulla Diaz, o in generale sull’abuso di potere (politico o poliziesco), ci fosse mai stata fino ad oggi una qualsivoglia levata di scudi. Mediatica, popolare o istituzionale che fosse. Anzi, se prima che Strasburgo si pronunciasse qualcuno osava muovere critiche sulla questione, immediatamente veniva tacciato di essere un comunista oppure, peggio, un fiancheggiatore dei terroristi. O dei “Black Block”, altra parola che risveglia i fantasmi dell’immaginario collettivo al pari degli “anarco-insurrezionalisti”. Solite banalizzazioni di un’analisi senza dubbio troppo ampia da fare, specie per le menti abituate ad indignarsi a comando o a tema.
Al di là di questo, e premesso il più totale disaccordo con le stesse, non riesco però a capire il sensazionalismo sulle dichiarazioni di Tortosa, uno dei poliziotti che fece irruzione alla Diaz e che via facebook ha dichiarato che rifarebbe altre mille volte quel che ha fatto. Cosa si aspettavano, amici e nemici, che rinnegasse solo perché lo ha deciso una sentenza della Corte Europea? Io lo trovo moralmente meno abietto di Alfano o del capo della polizia Pansa, o sicuramente più onesto e coerente con le parole rispetto a quella che è poi la pratica dei fatti.
Immolato il capro espiatorio, i mandanti politici di quella mattanza si sono adesso lavati le mani. Il nostro codice continua a non prevedere il reato di tortura e le nostre (?) Forze dell’ordine a non avere numeri identificativi sulle divise. Che se pure ci fossero non è che cambierebbero la sostanza della realtà e del mondo: chi detiene il potere è una cerchia ristretta, chi lo subisce è il resto della popolazione. Cambieranno le forme, diventeranno più sottili e striscianti gli abusi verso i dissenzienti, ma il re resta re e i sudditi restano sudditi.
Alla fine della fiera, l’unica cosa che mi mette i brividi del caso Tortosa è la sdoganazione ulteriore del reato di opinione. Un’opinione bassa, vigliacca o meschina se vogliamo, ma nulla più che un’opinione. Un’opinione meno pericolosa di chi dall’alto le crea per proselitismo, fortificandole nelle caserme e nei luoghi del consenso ideologico più intimo e corporativista, fingendo poi di dissociarsi nei salotti borghesi del politicamente corretto (a chiacchiere).
Da oggi toccherà stare attenti anche a ciò che si dice, anche sui social network chiaramente, ma tranquilli che quando capiterà a piramide gerarchica invertita (tipo Tavecchio/Opti Pobà) se la caveranno dicendo di essere stati fraintesi o che era una bonaria gaffe. Come sosteneva Benedetto Croce, chi pensa che il potere riformi sé stesso è uno stupido ingenuo. Nel frattempo, mentre noi applaudiamo ad una scelta che per una volta ci sembra giusta, il reato d’opinione che sembrava un retaggio da regime, è ritornato di agghiacciante attualità. E domani ce ne ritroveremo a pagar dazio anche allo stadio, beffa delle beffe grazie ai nostri stessi applausi post sospensione del poliziotto (ricordare che una sospensione non è un licenziamento mi sembra indelicato verso chi ancora crede alle favole…). Giusto in tempo per punire con pene esemplari quegli striscioni, quei cori che fino a ieri si limitava a censurare con la ipocrita (mi si passi l’eccesso colposo del termine) gogna mediatica. Come in casi recentissimi, dove pari opinioni, parimenti discutibili, parimenti fuori luogo o superficiali, sono diventate più gravi della gente uccisa a colpi di pistola o di manganelli o di quel che volete. Un conto è pisciare fuori dal vaso, un altro sparare (o permettere che si spari) in faccia alla gente.
Matteo Falcone.