Atene è un groviglio di cemento ed esseri umani.

E vederla dall’alto fa quasi male agli occhi.

Atene non è bella.

Ma staresti per ore a guardarla.

E per altre ore ci cammineresti, anche solo per parlarne male.

Per perderti tra le vie strette e soffocanti di Exarchia, chiedendoti come si faccia a vivere in mezzo a tutto quel rumore.

A tutto quel disordine.

A convivere con un eterno senso di provvisorietà.

Atene è uguale alle donne di cui spesso mi innamoro.

Ma spiegarlo agli amici mi riesce sempre difficile.

E spiegarlo a loro ancora di più.

Astronavi calate da chissà dove, che solo io noto, in mezzo al traffico ed alla confusione.

Anche il Palabigi, a modo suo, è un’astronave.

Una di quelle dei film di fantascienza anni ’50.

Aggrappata con le unghie al cuore più prezioso e nascosto della sua città.

Brutto, vecchio, soffocante.

E proprio per questo bellissimo.

Una casa diventata negli anni troppo stretta per la Reggiana ma da cui i biancorossi faticano a staccarsi.

Il palazzetto di via Guasco verrà ampliato entro il 2018, i lavori sono già in corso, passando dagli attuali 3.500 a 4.600 spettatori, ma non si muoverà da lì.

Gli Arsân, dal 2014 gruppo unico del tifo organizzato reggiano, si portano spesso dietro un pubblico che nei momenti chiave della gara dà l’impressione di potersi trasformare in una cosa sola.

E lo fanno anche nella gara contro Brindisi.

Fatico onestamente a pensare ad una Reggiana lontana da qui anche se capisco chi lo vorrebbe.

Ci sono luoghi però, proprio come l’Atene nella quale camminavo, proprio come il Palabigi, che possiedono qualcosa che va oltre la modernità, la comodità.

Che va oltre la bellezza.

Sono testimoni e custodi di storie vissute ed ancora da vivere.

Raccontate ed ancora da raccontare.

Il tramonto dal Licabetto è arancione acceso e illumina tutti i difetti fino al mare del Pireo.

Lascio scorrere il tempo e mi godo la città in tutta la sua imperfezione.

Penso.

Suona la sirena di una gara mai veramente in discussione.

Il Palabigi applaude.

Tra la gente che sfolla qualche bicicletta e qualche clacson.

Tante sciarpe biancorosse.

Non piove più.

Chissà quante altre volte è successo.

È bello pensare succederà ancora.

E ancora.

Gianluca Pirovano.