Premetto che sono un Ultras. Da qualche anno faccio parte attiva di un gruppo, riunioni, trasferte, feste, e via dicendo. Sono esattamente quello che molti di voi ( io stesso ) definiscono come “Nuova Generazione”. E voglio proprio parlare di questo. Noi nuove generazioni siamo cresciuti con il mito degli anni ottanta e novanta. Sentiamo gli anziani del gruppo raccontare di oceaniche trasferte e infiniti tafferugli, di città invase e coreografie libere e non autorizzate. Quando sentiamo questi racconti il nostro cuore comincia a battere più rapidamente, gli occhi ci si sgranano sentendo l’adrenalina scorrere nelle vene e ci immaginiamo li, in mezzo a migliaia di persone, in mezzo a uno di quei leggendari scontri di cui abbiamo sentito parlare. Poi il racconto finisce e tutto torna alla normalità. Nome, cognome, documento, tornello, perquisizione. Uno dietro l’altro in fila come al supermercato. Tutti un po’ affascinati dallo stile inglese, tutti un po’ fotocopia: scarpa bianca, polo Fred Perry, giubbino Stone Island e cappellino Burberry. Un po’ Ultras ed un po’ Casuals. Dentro di noi arde un però un fuoco ed una rabbia che ben pochi immaginano. Giovani ed incazzati. Veniamo dalle più disparate classi sociali, c’è il figlio di due cassintegrati che lavora per portarsi a casa il pane e c’è il figlio di due dirigenti di banca studente di medicina e chirurgia. Eppure quando siamo li non vi è alcuna differenza, siamo amici, compagni, fratelli e non importa nient’altro. La voglia di spaccare il mondo, di far vedere che nonostante tutte le contraddizioni noi non ci siamo omologati e lottiamo nel nome di vecchi e ormai persi valori, c’è tutta. Il problema è che non ne abbiamo la possibilità. Ormai entriamo dentro stadi tristi e vuoti, nelle partite più calde fanno fatica ad esserci ospiti, e così attendiamo ore ed ore nel bar di fianco al casello autostradale l’arrivo di ultras che mai arriveranno. Perché si sono sciolti, perché li hanno fermati e rispediti a casa, perché sono stati intercettati e sono super scortati. E allora entriamo dentro allo stadio, grigio e cupo, sperando che da un momento all’altro esploda quel casino anni novanta di cui tanto sentiamo parlare e che tanto avremmo voluto vivere. Invece niente, la partita scivola via piatta, e ce ne usciamo tristi e delusi sperando in un improbabile post-partita infuocato. E allora ci mettiamo a parlare con i nostri compagni di quel tafferuglio di quaranta secondi avvenuto in autogrill quella volta che andavamo in trasferta l’anno precedente, sapendo che non ci sarebbe mai bastato e che ne vorremmo sempre più. Come nei racconti degli anni novanta. Finiamo la birra e ne riprendiamo un’altra, sperando in qualcosa che prima o poi capiterà. Sperando in altri quaranta secondi perché ormai gli anni d’oro sono finiti e si è sulla via del tramonto. Poi torniamo a casa, avvolti nei nostri pensieri, nostalgici di un passato non vissuto e sognatori di un roseo futuro che probabilmente mai verrà. Eppure siamo li, a difesa di vecchi valori, giovani guerrieri che affiancano i veterani di mille battaglie contro tutto e tutti. E se il mondo non ci capisce non importa. Siamo ultras, il resto è noia.

Tommy

[Fonte: Dalla parte del torto]