Lo stato dell’arte del rapporto tra media e curve italiane vede evidentemente un prevalere di narrazioni piuttosto discutibili. I maggiori TG nazionali hanno dedicato ampi servizi ed approfondimenti al gesto isolato di due o tre individui che hanno insultato Maignan a Udine, dai quali la Curva Nord ha inteso subito prendere le distanze, specificando come non si trattasse assolutamente di cori o di qualcosa ascrivibile al tifo organizzato.
In questo clima non momentaneo ma radicato e spesso soffocante di ricerca del colpevole, un tifoso del Modena ha passato due notti in carcere con l’accusa di aver lanciato un rubinetto su dei supporter palermitani, mentre è poi risultato che si trattava di un contenitore di Caffè Borghetti.
Entrambi gli episodi in stadi fatti di telecamere e in un mondo in cui fare troppe indagini sugli ultras pare inutile, in quanto questori e compagnia bella hanno pienamente in mano strumenti legislativi fin troppo “pervasivi” al punto da evocare e rendere attuale il concetto di pre-crimine che fu di K. Dick o da sostituire il fine rieducativo della pena con un suo uso spietatamente contundente. Basti pensare alle numerosissime trasferte vietate senza rischio alcuno, persino fra tifoserie gemellate, ai daspo collettivi con buona pace della responsabilità individuale e la riesumazione di concetti arcaici per i quali far parte di un determinato gruppo sociale sia una colpa a priori.
Si nota invece una totale assenza di sdegno e una subitanea ricerca di distinguo davanti ai fischi nel minuto di silenzio per Gigi Riva nella finale di Supercoppa. La situazione è qui chiaramente più ampia: chi fischia è chi si è “comprato” la possibilità di giocare in casa sua la finale di un trofeo storico. E nelle loro mani sono state messe sciarpe e bandierine di squadre dalla centenaria storia del calcio dello Stivale. Quindi simboli: vendere un simbolo è quasi impossibile ma pare che ci siano riusciti.
E questo è quanto si vede: quanto si sente è forse peggio: fischi e ululati. Ma una cosa mi è rimasta impressa delle partite dagli Europei 2020 in poi negli stadi a capienza limitata e spesso senza ultras del periodo post Covid, ovvero quella tendenza all’insulto isterico, becero e disumano che si consumava palesemente senza tifo organizzato, senza alcuna regia oscura come piace credere a qualcuno, come d’altronde avveniva prima dell’avvento degli ultras quando la violenza si consumava alla stessa maniera e gli scudetti si decidevano a pistolettate. Si potrebbe fare lo stesso identico discorso sulle infiltrazioni mafiose che preoccupano i nostri prodi osservatori che però fanno spallucce mentre appalti, divertimentifici vari, edilizia, persino i chioschetti dei fiori davanti al cimitero sono nelle mani untuose della criminalità. Alla fine la cosa che più fa paura degli ultras è che rappresentano lo specchio in cui la società non vuole guardarsi riflessa.