Quando decido di partire per Udine manca relativamente poco alla partita, ed essendo una delle mete meno agevoli geograficamente debbo inventarmi vari stratagemmi per non spendere una fortuna e impiegare meno tempo possibile. Di questi tempi – lo ammetto – provo spesso un moto di pigrizia nel dover viaggiare cosciente di trovare pioggia e freddo. E spesso tifoserie tutt’altro che fomentate e in piena forma.

La Serie A non è più da tanti anni un banco di prova esaltante; il suo pubblico ha perso tanta della genuinità del passato e gli ingranaggi mossi da televisioni, apparati repressivi e becera comunicazione di massa hanno reso questo campionato un contenitore di plastica. Apparentemente bello se visto da fuori, tremendamente marcio, sanguinolento e fetido al suo interno.

Ma andiamo con ordine.

È la mia terza volta allo stadio Friuli, la seconda nell’impianto quasi completamente rinnovato. Come mi trovai a scrivere un paio di stagioni fa, credo  sia uno dei pochi casi in cui il restyling ha veramente portato giovamento a tutti. Ultras compresi. Tolta la pista d’atletica e compattata la curva – davvero immensa, fredda e dispersiva nella versione precedente – l’ambiente ne ha sicuramente guadagnato in termini di calore.

Restano invece ancora scarne le balaustre, dove evidentemente gli striscioni non vengono appesi per non sottostare allo squallido giochino delle autorizzazioni. Ma qua lo stadio nuovo c’entra ben poco (anche perché fino a qualche tempo fa gli stendardi dei gruppi erano ben visibili), bisognerebbe piuttosto parlare dell’ormai anacronistica battaglia perorata da molte questure italiane nei confronti delle tifoserie organizzate. Con rappresaglie spesse volte ai limiti del ridicolo. Del genere: “Se ti comporti male ti tolgo il giochino”, dove “il giochino” può essere la bandiera, il tamburo o il megafono. Ragionamenti da uomini piccoli. Forse annoiati dalla monotonia della provincia e speranzosi di potersi mettere sullo scranno dei “giusti” per fare carriera. Forti coi deboli, deboli coi forti. Quante volte lo abbiamo detto in questi anni? Così tante da sembrare ormai una frase come un’altra.

Udine è una città carina, ospitale e piacevole da girare. Da buon centro friulano offre la possibilità di bere spritz e calici di vino a buon prezzo e sin dalle prime ore del mattino. Meglio approfittarne per ingannare il tempo, mentre fuori diluvia letteralmente regalandomi la più classica delle mattinate autunnali. Quando Giove Pluvio si decide di chiudere i rubinetti posso finalmente uscire, concedermi un giro ai musei civici per poi raggiungere lo stadio assieme alla masnada di studenti che si comprimono nell’autobus numero 9 di ritorno a casa.

Manca un’ora al fischio d’inizio e attorno al perimetro del Friuli c’è un massiccio andirivieni di tifosi che lascia presagire una buona cornice di pubblico. Tanti sono quelli con la sciarpa giallorossa al collo. Del resto i buoni rapporti tra le tifoserie e le rinvigorite legioni romaniste del Nord favoriscono la buona affluenza di supporter giallorossi. Il settore ospiti è andato sold out ben prima dell’ultimo giorno di vendita e in tanti hanno dovuto acquistare i posti adiacenti.

Come previsto il colpo d’occhio è di quelli importanti. L’impianto udinese registra circa 22.000 spettatori e nel pre partita sono subito i romanisti a farsi sentire, incitando i propri beniamini impegnati nella fase di riscaldamento.

Per i bianconeri è una gara importante, la prima del neo tecnico Nicola. La squadra ha iniziato nel peggiore dei modi il campionato e attualmente è seriamente invischiata nella bagarre per non retrocedere. Per la Roma invece è stata sinora una stagione alquanto anonima in campionato, con l’unico sussulto proveniente dalla vittoria nel derby. Ma complessivamente gli uomini di Di Francesco non hanno esaltato e veleggiano infatti ben sotto la zona europea.

L’arbitro dà il via alle ostilità e sugli spalti si apre anche il confronto canoro. Tralasciando il classico commento su battimani, cori a rispondere e sbandierate – di cui faccio volentieri a meno non me ne vogliate -, preferisco dividere l’analisi in due parti, sintetizzandolo così: primo tempo bene i giallorossi, secondo tempo bene gli udinesi. Ma per fattori differenti e ben riscontrabili nell’osservazione dei settori.

Se la presenza capitolina è ottima e invidiabile di questi tempi, purtroppo così non si può dire per la qualità espressa lungo tutto il match. Sia chiaro: non è stata una performance negativa. Nei primi 45′, come detto, il settore ospiti ha messo in evidenza un buon tifo, calando però nel secondo. Di pari passo con l’andamento della partita, che contemporaneamente ha visto l’Udinese vincere per 1-0. Questo perché – mi spiace ripetermi – fondamentalmente manca la cattiveria e manca quel senso di “unicità” che per tanti decenni ha contraddistinto i romanisti. Ma non solo gli ultras. Anzi. Manca il tifoso normale che sa di dover cantare a prescindere e inveire contro tutto e tutti pur far prevalere la propria voce.

Manca questa “tigna” per tanti motivi. Ma manca anche e soprattutto perché “l’ambiente Roma” negli ultimi anni è stato oggetto di un notevole distaccamento con tanti punti fermi del passato. E non mi riferiscono solo ad aspetti materiali – come può essere lo stemma storico, dato in pasto a un logo tristemente anonimo per un presunto incremento del marchandising – bensì proprio all’anima del tifoso. Troppi si sono abituati alla mediocrità travestita da successo. Nel calcio, come in ogni sport, gli stimoli te li danno i traguardi. Lottare per raggiungerli, essere parte di una volata finale, avere la consapevolezza di dover sopravvivere (nel caso di chi deve salvarsi) o di poter competere per le prime posizioni. Senza necessariamente vincere, ma quanto meno essendo in gioco fino all’ultimo istante di ogni competizione.

E invece troppe volte i romanisti si sono trovati di fronte a campionato già finiti in dicembre o a vivere come traguardo massimo un terzo posto. Qui lo dico e qui lo nego: un terzo posto è un gran traguardo per una società, che può godere degli introiti della Champions League. Ma non può essere appagante per chi regolarmente viene buttato fuori dalla Coppa Italia, negli ultimi otto anni non ha mai davvero lottato per lo scudetto e in Europa (salvo la passata stagione) fatica ad andare oltre i quarti di Champions o in passato ha affrontato l’Europa League come un torneino estivo sulla sabbia di Ostia.

Allora sì, il tifoso romanista è cambiato. E aggiungo però che questo non è neanche giustificabile soltanto dal trend sportivo. Almeno non lo è più. Manca la cattiveria e dunque si naviga a vista. E tante volte sembra di vedere – al di sopra delle prime 10 file occupate dai gruppi – le curve di quelle grandi squadre che a forza di incamerare successi e tifosi provenienti da ogni dove hanno perso la propria anima. Peccato che nel caso della Roma non si possano contemplare dei successi per giustificare la pancia piena. E se c’è qualcuno che pensa sia sufficiente mettere i piedi su un seggiolino perché tanto “la fama lo precede” si sbaglia di grosso. La storia è scritta per essere insegnata e tramandata, ma un futuro privo di idee, continuità e rabbia non sarà in grado di scrivere nessuna pagina memorabile. E allora chi potrà raccontare ai propri figli della Curva Sud, del suo tifo e delle sue imprese?

Nessuno.

E gli udinesi? Beh è sempre difficile stilare un giudizio senza tener conto di una squadra che pure nel loro caso li ha ormai abituati da tanti anni alla mediocrità. Paradossalmente penso che una vera e propria lotta per non retrocedere, con esito in bilico fino all’ultima giornata, riaccenderebbe appieno l’animo degli sportivi friulani. Sempre nell’ottica di avere un traguardo.

Non è un caso, infatti, che il secondo tempo della Curva Nord quest’oggi sia stato davvero di ottimo livello. Non è un caso nemmeno che l’aumento dei decibel sia avvenuto con l’ingresso del tamburo, assente nel primo tempo. Il suo suono è stato in grado di trascinare buona parte del settore, aiutando enormemente i lanciacori. Quello che riconosco alla tifoseria bianconera è comunque una grande umiltà: negli anni non ho mai letto un loro comunicato sopra le righe, quasi mai mi sembra di aver riscontrato atteggiamenti “mitomani” e difficilmente li ho visti piangere sulle problematiche che affliggono tutte le curve italiane e che in città come la loro finiscono spesso per dare schiaffoni sonori al tifo organizzato.

Anzi, mi sembra che si sia lavorato per amalgamare tutte le componenti e ridare vigore al movimento ultras cittadino.

Non saranno tanti e non saranno tra le curve più “cliccate”, eppure complessivamente gli ultras dell’Udinese mandano avanti la baracca da sempre e con tanta dignità. Facendo spesso e volentieri questioni di principio e tenendo il punto senza clamorosi scivoloni. Mi viene in mente, ad esempio, la forte contestazione per il cambio nome dello stadio. Le tante battaglie fatte (e vinte) per imporre il nome “Friuli”, in rispetto della loro terra e delle vittime del sisma del 1976.

Al triplice fischio il pubblico di casa esplode, incamerando una vera e propria boccata d’ossigeno con questi tre punti fondamentali. Dal settore ospiti piove qualche timido fischio. Mentre lentamente l’umidità sta prendendo possesso della zona, lascia passare sin dentro le ossa un fastidioso freddo che puzza tremendamente di influenza. Meglio coprirsi e uscire, riconquistando la strada del ritorno.

Ricomincia a piovere virando verso sud. E lo farà per parecchi chilometri. Con l’Italia che lentamente mi passa sotto i piedi e l’ennesimo viaggio che volge al termine.

Simone Meloni