Un derby è sempre un derby, anche se le due città fanno parte di due “Lander” diversi. La Germania, da un punto di vista amministrativo e politico, è uno Stato decentralizato. Ogni Lander (più o meno il corrispondente delle Regioni in Italia) ha il suo parlamento e le sue prerogative. Uno dei più famosi e dei più ricchi è la Baviera mentre, tra tutti questi, uno è quasi sconosciuto ai più, ossia quello del Saarland. Il suo nome deriva dall’omonimo fiume e la capitale regionale, Saarbrucken, prende appunto il suo nome dal ponte sopra questo fiume.

La storia di questo piccolo Lander è molto particolare e si intreccia con la rivalità storica tra Francia e Germania nel 19° e 20° secolo. Francia e Germania si sono affrontate a tre riprese, tra la prima guerra franco-tedesca del 1870-1871 fino alla seconda guerra mondiale. Di fatto, la sconfitta francese, portò alla creazione dell’impero tedesco nel 1871, sotto la regia Prussiana, e soprattutto preannuncia le due catastrofi del XX secolo. La prima fu il primo conflitto mondiale, allorquando l’impero tedesco fu sconfitto nel 1918.

La creazione del bacino del Saar fu il risultato della politica internazionale dopo il trattato di Versailles nel 1919. Questa zona industriale molto importante, che prima apparteneva alla Baviera ed alla Prussia, fu gestita dalla Società delle Nazioni (l’antenata dell’ONU) come uno stato proprio. Nei fatti, le truppe e l’economia francese dominavano la città.

Il governo del Saarland, promosso dunque dai francesi, non fu mai popolare, la popolazione locale voleva tornare sotto la giurisdizione dell’impero Tedesco, cosa che poi accadde dietro la spinta di un referendum solo nel 1935. Con l’arrivo di Hitler al potere nel 1933, la pressione per tornare nel girone nella madrepatria si fece sempre più forte, giorno dopo giorno. Per proteggere la popolazione dalla tensione, furono inviati gli antenati dei “caschi blu” odierni, tra i quali c’erano anche soldati italiani.

Finalmente, il 13 gennaio 1935, un plebiscito con oltre il 90% dei voti, segnò il ritorno verso il terzo Reich. Il seguito della storia lo sappiamo tutti e con la sconfitta della seconda guerra mondiale lo scenario si ripeté, immutato: nel luglio 1945, la Francia occupa di nuovo la zona, strategica con le sue industrie, due mesi dopo che i soldati americani l’avevano conquistata. Di nuovo una specie di Stato fu creato, ma questa volta almeno con un governo eletto, seppur in un’entità legata alla Francia da un punto di visto economico (con il Franco Francese come moneta corrente) e con una sovranità limitata in cui veniva repressa ogni tipo di opposizione che spingeva per un ritorno alla Germania.

Durante quel periodo la Saar era indipendente ed ebbe la sua delegazione alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952. Nel 1953 fu costruito lo stadio attuale del F.C. Saarbrucken, il “Ludwigsparkstadion”, con una capienza che ai tempi arrivava fino a 53.000 spettatori (oggi, dopo il rinnovamento del 2000, dispone di 35.303 posti, dei quali 8.303 seduti) perché la Saar aveva anche la sua Nazionale calcistica (riconosciuta dalla FIFA dal 1950 al 1956) che disputò le qualificazioni per la Coppa del Mondo del 1954 (con due partite epiche proprio contro la Germania; quella interna portò 53.000 tifosi sugli spalti ed una sconfitta per 3-1 alla Saar).

Il F.C. Saarbrucken, fondato nel 1903, non è mai stato nelle sfere del calcio che conta in Germania prima del 1935, da lì si sono susseguiti discreti risultati che lo portarono pure a disputare la finale del campionato tedesco nel 1943, contro il Dresdner S.C. che poi vinse il titolo.

Negli anni del dopo guerra, il 1. F.C. Saarbrucken, non giocò più nel campionato tedesco. Nella stagione 1948-49 disputò una serie di partite con tutte le squadre di serie B francese, finendo al primo posto in questa sorta di torneo. La stagione successiva decise persino di chiedere l’ammissione al campionato francese. Questa richiesta, sostenuta dal governo francese che pensava già all’annessione del territorio, venne però negata dalle stesse società calcistiche francesi.

Dopo tale rifiuto, per due anni, fu organizzata una specie di coppa internazionale in cui squadre di tutto il mondo si sfidavano con il Saarbrücken. Nel novembre del 1955, la squadra disputò addirittura la neonata Coppa d’Europa (cioè la Coppa dei Campioni) contro l’A.C. Milan, permettendosi il lusso di vincere a San Siro 4-3 nella prima partita europea della storia del Milan, ma i rossoneri riusciranno comunque a qualificarsi al ritorno.

La grande storia fece parlare di nuovo di questa terra nel 1954, con un accordo tra i governi francese e tedesco per “europeizzare” il territorio della Saar. Nell’ottobre del 1955 ci fu un referendum consultivo per capire l’opinione della popolazione in merito, così questa proposta finì per essere rifiuta dagli elettori. Dopo questo forte segnale (più dei 2/3 dei partecipanti non voleva diventare un neutro territorio europeo, ma tornare alla madrepatria) la Francia e la Germania firmarono un accordo per il ritorno del territorio nella Repubblica Federale di Germania. E così, il 1 gennaio 1957, fu creata la regione del Saarland, anche se bisognerà aspettare altri due anni per vedere aboliti i confini tra la Germania e il Saarland ed il Marco Tedesco tornare in sostituzione del Franco francese.

Di conseguenza, il 1. F.C. Saarbrucken tornò a giocare nel campionato tedesco e prese parte, nella stagione 1963/64, alla prima Bundesliga della storia, anche se la squadra nerazzurra finirà ultima e relegata in serie B. Tornerà poi a disputare per altre quattro stagioni il massimo campionato tedesco, dal 1976 al 1978, nel 1985/86 ed infine per l’ultima volta nel 1992/93. Nel 1995 la squadra fallisce e riparte dalla terza serie. Da qua farà l’ascensore tra il secondo ed il quinto livello del calcio tedesco. Oggi, il Saarbrücken vegeta in quarta serie, un campionato che gli sta stretto, soprattutto se guardiamo il suo stadio, emblematico di quanto la categoria sia poco consona al suo potenziale.

Alla partita ci arrivo un’ora e mezzo prima, per ritirare il mio accredito e poter ammirare lo stadio. Da fuori non sembra tanto imponente, perché è parzialmente immerso in una collina. Avendo ancora tempo davanti a me, decido di andare alla stazione centrale, che si trova ad un quarto d’ora a piedi dallo stadio.

Appena arrivo posso sentire il boato di una bomba carta nella stazione, segno che il corteo dei tifosi ospiti è appena sbarcato. Un treno li ha portati a 90 km al sud. La polizia è imponente nel suo dispiegamento, come al solito in Germania, anche in quarta serie. Il corteo è composto da 300 o 400 ragazzi al massimo. Fa piacere potere scattare queste cose, anche se c’è sempre il “duro & puro” di turno che ti invita minacciosamente a “non scattare”. Forse pensa che sia anche io un poliziotto? Il bello è che sono tutti filmati da vicino dagli agenti, dal loro arrivo in stazione fino allo stadio, con un’attrezzatura ed una tecnologia sproporzionata rispetto alla mia, eppure puntano me…

Il tragitto è di un quarto d’ora, come detto, breve ma intenso perché passa di fronte ad un parco in cima al quale aspettano i ragazzi di Saarbrucken. La polizia evita ogni contatto con un’ottima divisione dei campi ed una specie di “No man’s land” tra i due gruppi. Non è nemmeno possibile tirarsi oggetti, visto che almeno centocinquanta metri li dividono. Comunque è il punto caldo del percorso e si vede che le forze dell’ordine locali lo sanno, visti i mezzi e gli uomini in quel posto.

Dopo due minuti di insulti il corteo riparte verso lo stadio, per arrivare proprio all’entrata del settore ospite, dove aspettano alcune decine di tifosi del Trier arrivati con mezzi propri. L’azione è finita qui e decido di avviarmi verso i distinti.

Con il mio accredito ho diritto ad un piccolo “coffe break”, un primo, panini e bevande varie (addirittura diversi tipi di birra tra cui scegliere). Un’accoglienza regale per una società di quarta serie! Non può che sovvenirmi una scena di Roma-Feyenoord, quando la società capitolina lasciò una ventina di panini per i cinquanta giornalisti presenti. Seguirono scene di isteria da alcuni colleghi da fare paura…

Dopo questa considerazione gastronomiche, decido di entrare in campo. Manca ancora parecchio tempo e mi avvio verso la curva di casa. Gli ultras stanno per appendere le ultime pezze e posso notare varie pezze del Nancy ed una rossonera del Nizza. I “curvaioli” locali sono gemellati da una quindicina d’anni con gli ultras del Nancy, che sono amici con quelli del Nizza, dunque la legge del beduino vige anche qui. Dall’altro lato, quelli di Trier sono gemellati con i ragazzi del Metz, acerrimi nemici di quelli di Nancy. Ovviamente, nel settore ospite spunta lo striscione del “Gruppa” del Metz. C’è pure una pezza di Lione, amici del Metz: dunque oggi, la Francia ultras è ben rappresentata con ben 4 città diverse sulle due sponde. Non male per la quarta serie. A Saarbrucken poi, una città che ha vissuto sulla propria pelle le due guerre mondiali e le sue conseguenze, con la Francia in netto contrasto, fa effetto pensare a questo: ironicamente la famosa amicizia franco-tedesca, promossa negli anni ‘60 dal generale De Gaulle e dal Cancelliere Adenauer, è viva e si esprime anche sugli spalti degli stadi.

La giornata è bella, ci saranno 4.803 spettatori sugli spalti, ma sembra che lo stadio sia vuoto vista l’enorme capienza, ma è comunque un dato importante per la categoria, che dimostra ancora una volta la passione per il calcio in Germania.

Infine, da segnalare il tavolo del merchandising, molto amatoriale, ma allo steso tempo c’è tutto per il tifoso, senza bisogno di avere quei negozi che vendono le cose più inutili del mondo.

Quando le squadre entrano in campo, c’è una piccola coreografia nei distinti per festeggiare i 112 anni della società locale. Un gruppetto di dissidenti, una ventina circa, prende difatti posto nella gradinata. Si ritrovano dietro l’insegna “D-Block” (cioè Settore D), sventolano bandiere nero-azzure-gialle mentre un bandierone ricopre le teste dei presenti.

Anche il settore ospite presenta una coreografia con il blocco centrale, cioè quello degli ultras, con pettorine blu, bianche e nere. Sono compatti e carichi, mentre a debita distanza ci sono i tifosi meno attivi del Trier. Alcune torce accese danno un tocco di colore in più.

Il settore di casa, cioè la curva est, non propone niente, anzi si astiene dal tifare per i primi venti minuti: un modo di contestare il loro presidente. Vado allora sotto il settore ospite, per vedere i ragazzi di Treviri in azione. Si chiamano “Insane ultras” e festeggiano nel 2015 i 5 anni di attività, come testimonia una pezza sul loro striscione. Sono l’unico gruppo ultras della città natale di Karl Marx e hanno anche un gruppo di hooligans, come di consueto in Germania, dove il tifo caldo si divide tra hooligans, i più vecchi ed ultras per i più giovani. Lo stricione degli “Young rebels” è molto tedesco nello stile e sembra rispettare appieno la tendenza “storica” del tifo teutonico, cioè quella degli hooligans. C’è pure una pezza più attuale (o casual), con lo stemma della famosa rosa dei venti legata ad una nota marca di abbigliamento. Infine, si possono notare due stendardi del Friburgo sopra lo striscione degli “Insane ultras”: appartengono agli ultras dell’hockey su giaccio della città svizzera, gemellati con quelli del Treviri (ed anche con quelli di Metz).

Il tifo parte subito su buoni livelli e ci sono subito striscioni contro i locali. Dopo un paio di minuti, appare il primo striscione granata-bianco-blu (granata e bianco per i colori sociali del Metz e bianco blu per i colori del Eintracht Trier) molto curato, per celebrare l’amicizia tra ultras del Metz e di Treviri, con tanto di stemmi comunali.

Il tifo è compatto e tra battimani, bandieroni sventolati. Il goal dell’Eintracht Trier su rigore, dopo neanche un quarto d’ora di gioco, può solo dare più stimoli ai ragazzi Mosellani, che esplodono di gioia e ne approfittano per accendere alcuni fumogeni e festeggiare così la segnatura.

I canti di gloria dei nerazzurribianchi rimbombano ed anche quelli più defilati partecipano. Poi decido di cambiare postazione, perché noto alcuni movimenti nel settore di casa, fino ad adesso muto e passivo, mi avvio quindi verso il “Virage est”, come si può leggere sullo striscione pincipale, cioè “curva est” in francese. Non è l’unico vessillo che prende spunto dal paese vicino, visto che un gruppo ha proprio un nome ed un simbolo francese “Clique Canaille” (che sta per “banda di canaglie”) con persino due tricolori francesi sventolati dai ragazzi tedeschi.

Il gruppo principale della curva è al centro, come di consueto, corrisponde al nome “Boys”, alla sua sinistra invece, troviamo il “Leone Pazzo”. Infine, ci sono anche due altre entità nella curva locale, il “Supporter Club 95” ed i “Nordsaarjugend” (Giovani del Nord Saar). Posso stimare il numero di attivi nella curva a duecento persone, visto che la parte alta partecipa poche volte e sta più a guardare la partita.

Al ventesimo viene esposto uno striscione con la data di nascita del F.C. Saarbrücken, cioè il 18 aprile 1903, e viene tirata fuori una coreografia semplice ma bella, con il logo attuale della società e bandiere nere, azzurre e gialle. È questo il segnale di inizio delle ostilità fra i due opponenti ed il tifo sale di giri.

Il primo tempo finisce con il risultato di 0-1 per gli ospiti e devo dire che non mi sono minimamente accorto del passare del tempo tra canti, striscioni contro e torce. Peccato che sia solo la parte bassa del Virage Est ad essere attiva, perché lo stadio potrebbe essere un vero catino.

Accanto alla curva principale c’è un settore pieno di tifosi locali con tanto di striscioni, ma si limitano a guardare la partita in piedi. Ho già notato varie volte in Germania, questa distinzione evidente tra ultras e tifosi attivi col resto del pubblico: uno può apparire con tutto il kit del “perfetto tifoso” (maglia, sciarpa, cappellino, ecc.) ed essere stra-concentrato sulla partita, senza cantare un attimo. Spesso manca la contaminazione/partecipazione del resto della curva.

Il secondo tempo riprende con una mezza coreografia nel settore ospite: una cinquantina di cartoncini blu alzati al cielo, un po’ scarso il risultato, dopo il quale il tifo riparte comunque alla grande anche con l’esposizione di un altro striscione contro.

Verso l’ora di gioco, i ragazzi di Treviri utilizzano un bandierone per coprirsi e accendere una decina di torce e fumogeni blu, davvero bello. Un minuto dopo, vengono ringraziati dalla loro squadra che segna il 2-0. Nei minuti seguenti ne approfittano per bruciare una sciarpa del gruppo rivale, folklore tradizionale di quest’incontri.

Sul campo sarà dura per i locali, ma la fazione più oltranzista, cioè gli ultras del Virage Est, ci credono e cantano fino alla fine con cuore ed orgoglio, tra battimani e stendardi. Da notare alcuni cori in onore dell’amicizia con i ragazzi del Nancy: dal 1998 sono legati ai vari gruppi della città ducale e oggi spunta lo striscione dei “Saturday FC”, il gruppo trainante della tifoseria biancorossa.

I bandieroni sono sventolati con costanza e salta all’occhio un famoso slogan rigorosamente in italiano, “Lunga vita agli ultras”, al di sotto del quale c’è la pezza “Diffidati Boys”: dalla Tunisia alla Germania, passando per il Belgio e la Svezia, ancora una volta l’Italia resta fermamente il punto cardinale del tifo ultras.

Particolare anche la presa di posizione della curva locale, con uno stendardo contro il razzismo: una costante in Germania, dove la nuova generazione del tifo radicale, cioè gli ultras, è molto sensibile a questa tematica rispetto agli anziani “hools” che, anzi, erano su posizioni diametralmente opposte, cioè all’estrema destra. Avrò conferma da una vecchia scritta sotto i distinti degli “Hools Saarbrücken”, accompagnata da una croce celtica.

La partita sta per finire e gli “Insane ultras” tirano fuori un bello striscione con su scritto: “I vincitori del derby”, con lo stemma dell’Eintracht Trier in mezzo. Bell’idea e prova dell’assoluta mancanza di scaramanzia nordica. Un minuto dopo, il Saarbrücken segna e porta il risultato sul 1-2, ma non basterà ed i vincitori resteranno, almeno sul campo, i ragazzi di Treviri. Sugli spalti invece, bisogna dare atto a tutte le due sponde, che hanno messo il cuore e l’anima.

Sébastien Louis.