Fa sempre un certo effetto entrare nel campo da gioco di una squadra di calcio. In qualche modo si sta violando la sacralità di un luogo che per altri è davvero importante, mentre noi, quasi turisti, scattiamo foto e facciamo domande. Mentre scendo i gradini della tribuna del Bilino Polje di Zenica ho proprio la sensazione di trovarmi in un posto che per la città in cui mi trovo è davvero fondamentale. A portare un po’ di meritata ironia in questo contesto ci pensa Štefan, che insieme a Zlatan, mi accompagna in questo giro fra l’anima calcistica di Zenica. “Qui ha giocato due volte anche Ronaldo. Si è lamentato, definendolo il peggior terreno su cui avesse mai messo piede”.
Battute a parte, il Bilino Polje, stadio del Čelik, è l’impianto dove più spesso gioca la nazionale bosniaca, ma è soprattutto la casa della squadra che con la città e i suoi tifosi forma una triade inscindibile e quasi sacra. Basta passeggiare per le strade del centro e si rimane a bocca aperta per la qualità dei murales, tutti collegati insieme dal colore rossonero e dai simboli della squadra.
La nascita del Čelik Zenica
Il Nogometni Klub Čelik Zenica nasce nel 1945, dopo la liberazione della città dalle forze nazi-fasciste, avvenuta il 12 aprile. Il suo nome, Čelik, significa “acciaio” ed è un richiamo indissolubile all’anima e alla vocazione della città jugoslava (oggi bosniaca), operaia e fiera delle proprie origini.
Zenica non è una città da cartolina. Non lo è mai stata. È una delle città in Europa che ha avuto nel corso del Novecento il più forte incremento abitativo, passando da circa duemila persone alla fine dell’Ottocento, a 96mila all’indomani dello scoppio dell’ultima guerra (1991). In tutti questi anni però ha sviluppato una forte identità che l’ha legata alle sue attività produttive (come la metallurgia e le miniere): la squadra di calcio e di conseguenza i suoi tifosi fanno parte a pieno titolo di questa identità.
I primi anni di storia non sono particolarmente ricchi di successi, la squadra galleggia nelle serie minori, cambia più volte nome ed è solo nei Sessanta che raggiunge la seconda divisione jugoslava. Sono anni di ascesa, in cui il club le prova tutte per arrivare nella Prva Liga. Nel 1967, finalmente ci riesce e la trasferta di Borovo (oggi in Croazia, città famosa per la produzione di scarpe) segna un prima e un dopo nell’immaginario dei tifosi rossoneri. Da Zenica partono in cinquemila, un numero ragguardevole per il tempo e la categoria del Čelik.
La prima età dell’oro e la conquista delle Mitropa Cup
Gli anni Settanta sono gli anni d’oro del club, che riesce anche ad affermarsi in Europa, nella Mitropa Cup. Il primo titolo arriva nel 1971, il secondo nel 1972 ai danni della Fiorentina, in una finale di ritorno epica, disputata nello stadio di casa. Mentre quella del 1971 si era giocata in gara secca a Gorizia, quella del 1972 prevede il doppio scontro: l’andata a Firenze, che finisce 0-0 nonostante un buon predominio viola, e il ritorno in Jugoslavia. Il match si gioca sotto un autentico nubifragio, ma lo stadio, il nuovo Bilino Polje, inaugurato per l’occasione, è pieno di tifosi che sospingono la squadra. A due minuti dalla fine su un calcio d’angolo di Peleš, il Čelik passa in vantaggio grazie alla deviazione del mediano Mirsad Galijašević e mette le mani per il secondo anno consecutivo sulla coppa internazionale.
Lo splendido decennio viene completato dalla vittoria della Coppa Intertoto (1975) e dallo storico sesto posto del 1974, ad oggi il miglior risultato di tutti i tempi della squadra nell’era jugoslava. Gli anni Ottanta, invece, sono anni di sofferenza, con la squadra che tenta – talvolta inutilmente – di non retrocedere. Nella stagione 1987/88 succede qualcosa che determinerà il futuro della squadra. A raccontarmelo è Zlatan, tifoso, ultras, persona veramente legata al Čelik: “In quella stagione, il club riuscì a salvarsi all’ultimo turno, giocando una partita leggendaria contro il Pristina. Il Pristina era in vantaggio fino all’88esimo minuto, ma noi riuscimmo a segnare tre gol negli ultimi due minuti di gioco e a garantirci la salvezza. All’88esimo minuto, il telecronista aveva letto i risultati delle altre partite di quel turno. I giocatori del Pristina si erano resi conto che non potevano più salvarsi, neanche con una vittoria, quindi rimasero lì fermi e lasciarono che Čelik segnasse tre gol negli ultimi due minuti. Questa partita suscitò molte polemiche e noi fummo penalizzati per la stagione successiva di sei punti per combine, sebbene non avessimo colpa. I giocatori del Pristina avevano smesso di giocare di propria iniziativa”. L’anno successivo è l’inizio della fine, la squadra retrocede in seconda divisione e poi in terza.
Gli anni Ottanta e la nascita ufficiale dei Robijaši
Tuttavia gli anni Ottanta, oltre che per i mesti risultati, sono un decennio fondamentale per la scena ultras del Čelik. Chiaramente la storia del tifo organizzato in città non inizia in quegli anni, ma arriva da lontano, fin dalla sua nascita. I tifosi del club vengono menzionati per la prima volta in vecchi articoli di giornale negli anni Cinquanta e Sessanta. La leggendaria vittoria a Borovo, di cui abbiamo già parlato, fu accompagnata da grandi festeggiamenti, che sconfinarono in intemperanze concluse solo dopo l’intervento della polizia e dei pompieri con gli idranti. Nei due decenni successivi, i tifosi del Čelik si sono distinti sia in trasferta che in casa. Nel vecchio stadio di Blatuša e successivamente al Bilino Polje si registrava la più alta affluenza dell’ex Jugoslavia in rapporto alla capienza degli impianti. Contro la Fiorentina c’erano 33 mila persone, anche se ufficialmente lo stadio ne poteva contenere solo 25 mila. Vinkovci e Solin, nei primi Ottanta, sono due luoghi che evocano pensieri stupendi nella mente dei tifosi del Čelik. Si parla di oltre seimila persone a seguito della squadra. All’epoca ad ogni modo non esisteva un gruppo di tifosi organizzati.
Negli anni successivi, apparvero a Bilino Polje i primi gruppi: Likče (che gioca sull’inversione delle sillabe di Čelik), Steelers, Chelsea, Smogovci (Ragazzi rane), HZČ e altri… Ognuno di questi aveva una propria autonomia e spesso non erano in buoni rapporti tra di loro. Capitava anche che scoppiassero scontri tra gli stessi gruppi. Il 1988 è un anno fondamentale: in un incontro tra i leader dei gruppi, si decise di spostarsi tutti nella tribuna est per organizzare meglio il tifo. Nessuno si tirò indietro. Il 19 novembre 1989, i leader di tutti i gruppi si incontrarono nell’iconica taverna “Šadrvan” (che oggi non esiste più) e concordarono che da quel momento in poi si sarebbero uniti sotto un’unica bandiera: quella dei Robijaši (i carcerati, nome che deriva dalla più grande prigione della ex-Jugoslavia, il KP Dom, molto presente nella cultura popolare e tema della canzone “Zenica Blues” del gruppo rock Zabranjeno Pušenje).
Una grande bandiera con il nome del gruppo debuttò in una trasferta a Prijedor. In perfetto stile balcanico e, considerando che il Čelik militava in seconda divisione, anche i club di basket e pallamano (ma non solo) che portavano il nome Čelik vennero supportati. Proprio a seguito di una memorabile trasferta della squadra di pallacanestro a Sarajevo, si verificarono alcuni degli scontri più importanti nella costruzione dell’epica dei Robijaši. Mi racconta ancora Zlatan: “Dopo essere stati buttati fuori dal palazzetto, i tifosi distrussero il treno e tornarono a casa a piedi. Durante quella passeggiata, causarono incidenti in diverse città minori, irruppero in un matrimonio, rapirono la sposa e chiesero un riscatto in alcolici… Quella trasferta è ancora oggi ricordata”. Alla mia domanda se tutto questo fosse vero, il nostro uomo mi promette di farmi vedere i giornali che ne parlano. La retrocessione in terza divisione non segnò una contrazione dell’impegno dei Robijaši che seguirono la loro squadra in ogni trasferta. Zavidovići e Travnik furono particolarmente degne di nota, con oltre mille membri presenti.
Il periodo bosniaco e la salvezza del club
Nel 1992 iniziò l’aggressione contro la Bosnia-Erzegovina e un gran numero di membri del gruppo si impegnò attivamente nella difesa del paese. Molti tifosi persero la vita, motivo per cui molti anni dopo fu eretta una targa commemorativa in loro ricordo allo stadio.
Dopo l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, il Čelik entrò in una nuova era. Il club divenne una delle squadre più forti del neonato campionato nazionale che iniziò nel 1994. Vinse tre titoli consecutivi e la Coppa di Bosnia per due volte. Questi anni sono spesso considerati l’epoca d’oro del club nel calcio bosniaco moderno. Purtroppo, a causa della situazione politica, i club bosniaci non disputarono le coppe europee in quelle stagioni.
Con la nascita del campionato bosniaco continuò l’attività dei Robijaši, che si ricorda per alcuni momenti importanti, come la partita nella capitale, contro l’FK Sarajevo, quando un tifoso rossonero scomparve, senza essere più trovato. Nel 1998, in seguito alla chiusura della tribuna Est, i tifosi organizzati si spostarono nella Sud, che diventerà la loro casa fino ad oggi. L’anno successivo i Robijaši registrarono la loro associazione, che dette ancora più forza all’azione del gruppo, nonostante i risultati non proprio esaltanti della squadra. “Possiamo dire che nel periodo dal 2000 al 2010 i Robijaši furono, se non il migliore, almeno uno dei migliori gruppi di tifosi della Bosnia-Erzegovina”. Nel 2010 avvenne una spaccatura in seno alla curva, con un gruppo di giovani che tornarono in tribuna Est, insoddisfatti di come il resto della scena stava gestendo il tutto.
Dal 2012 al 2017, in due diverse occasioni, i tifosi portarono avanti un boicottaggio, mirato a contestare i risultati e l’impegno della dirigenza. L’ultimo fondamentale passaggio avvenne nel 2020, quando proprio i Robijasi trasferirono la loro lotta dagli spalti alla sede del club. Dopo la fuga degli investitori, i tifosi del Čelik capirono che dovevano intervenire e presero il controllo del club, facendolo diventare di proprietà dei tifosi. I soci del club auspicarono per una ripartenza dalla quarta divisione del Cantone Zenica-Doboj, in modo che negli anni a venire la dirigenza potesse concentrarsi sul rimborso dei debiti e sulla stabilizzazione del club. Oggi, il Čelik Football Club è una società sana, completamente organizzata secondo un modello di proprietà dei suoi soci. Attualmente, il club milita nella seconda divisione del campionato nazionale. Debiti per oltre 6 milioni di euro sono stati quasi completamente rimborsati.
Gianni Galleri
































