Quando la chiave gira il cilindro della serratura di quel portone granata, capisco che finalmente, dopo quasi 20 anni, il mio sogno si sta avverando, sto per “calpestare” la storia del calcio Italiano, sto per entrare nello stadio Filadelfia. L’impatto all’inizio mi lascia senza respiro, qui dove i fratelli Ballarin hanno scritto la storia del Grande Torino insieme a Rigamonti, Ossola, Mazzola (solo per citare alcuni dei caduti di Superga) è rimasto un cumolo di macerie pericolanti.

Facendomi strada tra l’erba alta riesco ad arrivare all’incirca a centro campo, chiudo gli occhi e comincio ad immaginare quel pallone di cuoio calciato dai campioni di quel calcio pulito e popolare dei tempi che furono, dove i giocatori si conoscevano solo per le gesta in campo e non per la loro vita privata al fianco di dive, presunte o tali, del palinsesto televisivo. All’epoca la parola ultras nemmeno si conosceva, se non sbaglio con le date i Fedelissimi sono nati nel 1951, in pieno dopoguerra con un Paese da ricostruire.

Ritornando al Fila, fra vari progetti e promesse mai mantenute, ora lo stesso si trova in uno stato di assoluto degrado. Fino a qualche anno fa alcuni ragazzi tagliavano regolarmente l’erba e organizzavano tornei, prima che qualcuno, una notte, rubò l’attrezzatura.

Da nord a sud, da est ad ovest dello Stivale ho visitato centinaia, forse migliaia fra stadi di serie A e campetti in terra battuta, ma visitare il Filadelfia, salire quelle scale che portano all’unica tribuna ancora in piedi, rischiando di farmi male seriamente vista l’instabilità della struttura, è stato un’emozione che forse non riuscirò mai a raccontare. Ringrazio due ragazzi del club che hanno reso possibile tutto ciò.

Francesco Fortunato.