Una settimana dopo. Una settimana dopo i fatti della partita contro Eurobasket. Una settimana dopo le cariche gratuite, gli spintoni, gli arresti e le prime diffide. Come cambiano le cose. E spesso cambiano così velocemente da non stargli dietro e da non comprenderle affondo. Se c’è un ambiente, un microcosmo, dove fondamentalmente ha sempre regnato un silente equilibrio e una rosea tranquillità a Roma, quello è proprio il palazzetto. Triste sapere che i soliti noti siano andati ad “operare” con le maniere forti anche là, minando letalmente equilibri che permettono da anni di assistere alla pallacanestro con quel pathos e quella partecipazione che lentamente stanno scomparendo, sotto il colpi della “nouvelle vague” che vuol sempre più il calcio sport per palati fini ed educande.

Le Brigate decidono di farsi sentire. Di non rimanere impassibili a quanto successo. Non solo con il comunicato uscito in settimana, poche righe chiare e deciso sui fatti. Una voce importante da mettere a verbale per non far passare sempre e solo un’unica verità, soprattutto dopo che i solidi giornaletti a senso unico avevano detto la loro, anche attraverso “emissari” non presenti agli avvenimenti (ma a questo ci siamo abituati, del resto se la categoria dei giornalisti ormai viene disprezzata a prescindere un fondo di verità dovrà pur esserci). Gli attuali ragazzi della Ancilotto si sono ritrovati ad affrontare – probabilmente – il periodo più duro di repressione, ingabbiato in una malcelata nube di ingiustizia che ha prodotto il silenzioso risultato delle “mutilazioni dei propri diritti” nascoste dietro l’ormai ineffabile scusa dell’ordine pubblico.

Sono entrati al secondo quarto. Hanno ricevuto gli applausi dell’intero PalaTiziano. Si badi bene: non è una cosa così normale e scontata. Il pubblico del basket è scevro da determinate dinamica cui – ad esempio – i tifosi di calcio eranp/sono più avvezzi. Il pubblico della palla a spicchi, almeno a Roma, ha spesso insultato la curva per le proprie scelte e in molti hanno sempre voluto mantenere una certa distanza dai “satanisti” della curva. Oggi non è stato così. Dietro ci sono tante motivazioni. Innanzitutto in questi anni di divieti, restrizioni e moralismo spinto in maniera vergognosa, in tanti hanno voluto fare un passo indietro sulle proprie posizioni nei confronti di chi compone il tifo organizzato. In tanti si sono resi conto che le cose non possono sempre esser viste e giudicate da un estremo all’altro. Esistono le sfumature. E queste sfumature raccontano spesso di abusi ed esagerazioni.

Se ne sono resi conto in tanti dalle tribuna. Hanno prima espresso la propria solidarietà, personalmente o attraverso i social, e poi lo hanno fatto pubblicamente con quell’applauso. Come a dire: “Siamo con voi”. Ripeto: tutto per nulla scontato.

Hanno capito anche – evidentemente – che oggi non ci potevano essere cori e supporto per la squadra. Seppure mentalmente quelli restano incondizionati. Seppure quasi tutti i ragazzi con la casacca virtussina  – e non solo –  si sono preoccupati di cosa fosse successo e di quanto fossero coinvolti i ragazzi. Perché qua, nella pallacanestro, spesso si è tutti una famiglia. E in una famiglia se qualcuno viene meno o manifesta problemi solitamente trova anche uno parente alla lontana, un cugino di secondo grado, a chiedere lumi sulla propria salute.

Le Brigate sono uscite. All’inizio del terzo quarto. Hanno ripiegato il loro striscione esposto al contrario. Oggi così doveva essere. E non è un elitario discorso da “mentalità ultras”, ma un qualcosa di più grande: un pegno da pagare verso la propria dignità. Una dignità che qualcuno ha provato a umiliare. Tentando, con fare spropositato, di rovinare vite e futuri. Non ci riuscirà, perché quei ragazzi (lavoratori, studenti e innanzitutto figli d Roma) sanno di avere l’appoggio incondizionato di tanta gente.

Gli agenti in servizio vedono il gruppo uscire e sorridono. “Meglio così!”, esclama uno di loro.

Simone Meloni