Sono circa 200, la maggior parte molto giovani, e si dirigono verso il settore polacco per cercare lo scontro. C’è chi ha il passamontagna (anche a tinte improbabili, giusto per passare nell’anonimato), chi si mette spavaldamente in testa al gruppo per incitare alla carica. Io e Simone li vediamo davanti alla loro curva, la Muttenzerkurve, mentre già ci stavamo tranquillamente recando alla macchina per il ritorno. Dopo un doppio match di Preliminare di Champions, effettivamente, non ci aspettavamo questo numero. Ovviamente seguiamo incuriositi e cerchiamo una postazione “privilegiata”. Tuttavia, una manovra del genere non può passare inosservata. Appena girato l’angolo della curva, sul rettilineo che separa le due fazioni, il tentativo viene recepito in una frazione di secondo dagli attrezzati gendarmi Svizzeri: immediato cordone, qualche passo a scudi alzati verso gli ultras basilesi e quel gruppo, così compatto e così convinto prima, si disperde nel nulla. Per non riprovarci mai più.

I polacchi del Lech Poznan, probabilmente, non si sono neanche accorti di nulla. Loro le azioni le programmano ed è difficile che qualcosa venga lasciato al caso. Lo scontro, quando possibile, va lasciato fuori da posti infarciti di telecamere a circuito chiuso e poliziotti come se piovesse. Oppure si fa senza tane rincorse né complimenti. Loro hanno i loro “appuntamenti al buio”, le loro regole e, ultimamente, persino un campionato sul ring “semi-legalizzato” tra gruppi di Hooligans dell’Est Europeo. Lo striscione dei tifosi del Lech, “Veni, vidi, vici” (presente anche al St. Jakob Bark), con simbolo un lottatore provvisto di guantoni ben in evidenza, probabilmente simboleggia la loro vittoria in questo strano campionato.

In questa azione dei Basilesi, nata sicuramente sul momento, si riassume lo spaccato tra altri due mondi ultras contrapposti. Perché c’è quello italiano, riconosciuto da tutti come il caposcuola, di cui, nella sua versione più ortodossa e rigorosa, si sono ormai perse le tracce, salvo qualche rara e salutare reminiscenza che ogni tanto ci salva sull’orlo del precipizio. Poi abbiamo il modo tedesco di intendere l’ultras; la versione slava, sempre più estremizzata man mano che si procede a levante rispetto a noi; persino la versione austro-svizzera, che trae giovamento dalla commistione tra il nostro modo di essere e quello dei vicini teutonici; abbiamo la via del Be.Ne. (Benelux diventa già troppo), fino alla maniera di essere, con tante difficoltà, un supporter fuori dalle righe nelle nazioni d’oltremanica.

È proprio l’incontro/scontro tra due modelli a noi estranei a spingere me e Simone alla volta di Basilea. L’aspettativa in realtà non è altissima, almeno sotto il profilo dell’entusiasmo popolare: all’andata i renani hanno sbancato Poznan col punteggio di 3-1, rendendo quasi nulle le possibilità dei polacchi di passare il turno. Tuttavia il nostro ragionamento fila: dall’Est, se si devono muovere si muovono comunque. Sicuramente ciò penalizzerà l’affluenza basilese al St. Jakob, ma poco fa: abbiamo la quasi certezza della pienezza del settore ultras di casa.

Il nostro viaggio scorre in una splendida e assolata giornata estiva col suggestivo sfondo dei paesaggi svizzeri: la nostra autostrada taglia in due il Paese da Sud a Nord, passando dai monti del Ticino fino al paesaggio industriale di Basilea. Uniche note di rilievo del viaggio, tra una birra e una chiacchiera ultras, il metano che costa quasi quasi il 50% più del nostro ma dura il doppio, e i bagni di un autogrill col tornello causa lucro. Per il resto arriviamo con largo anticipo, parcheggiando lungo il ruscello che scorre anche dietro la Muttenzerkurve. Per Simone è l’occasione di vedere i tanti murales degli ultras rossoblu dipinti nella zona. Poi il siparietto accrediti presso il Media Center: se per Simone la pratica è scontata, del mio accredito non c’è traccia, e solo l’assenso dell’addetto stampa mi permette di non aver fatto un viaggio a vuoto. Nonostante un po’ di nervosismo causatomi dall’episodio, da notare la flessibilità dell’addetto stampa locale, ben lontana dalla spocchia dei nostri epigoni locali. Parole dette e ridette.

È il momento di pensare al nostro compito: ora il must è cercare di captare l’arrivo degli ultras polacchi. Speriamo, in corteo. Ci piazziamo in una scalinata dove la zona del settore ospiti è ben visibile, ma l’attesa resta lunga e vana. Solo rientrando in sala stampa e intercettando un giornalista polacco (forse proprio l’addetto stampa del Lech), capiamo che mentre arrivavamo noi sono entrati loro. Il nostro interlocutore ci conferma l’arrivo ordinato in corteo e la presenza ufficiale di mille tifosi nel settore ospiti. Entrati fisicamente nell’impianto, troviamo corrispondenza tra queste parole e la verità: effettivamente i polacchi sono già insediati nel loro spicchio, su due anelli, in maniera compatta e ordinata. Da un primo sguardo capiamo che il gruppo più “pesante” è sistemato in basso. Spiccano, oltre ai tipici vessilli dei biancoblu, le due pezze, una nell’anello inferiore, e una più piccola nel superiore, dei gemellati dell’Arka Gdynia, squadra dell’estremo nord della Polonia. Un drappo, arancio e nero, dovrebbe essere riferito a un’altra realtà, ma non sono ben riuscito a leggerne l’insegna.

Anche il settore più caldo di casa è pieno con largo anticipo e presenta le tipiche sigle degli ormai storici gruppi al seguito della squadra elvetica. Il resto dello stadio si riempirà mano a mano, segnando negli ultimi minuti il picco di affluenza, fino ad arrivare agli oltre 18.000 spettatori ufficiali. Oltre al migliaio di tifosi biancoblu nel settore ospiti, da segnalare altri supporters polacchi sparsi qua e là nei vari settori più tranquilli dello stadio.

Durante la fase di riscaldamento sono i Basilesi a fare la voce grossa con cori dalle alte tonalità e battimani compatti, mentre nulla si registra sulla sponda opposta. I tifosi venuti dall’Est inizieranno a tifare solo con l’ingresso delle squadre in campo.

L’atmosfera con la quale i 22 giocatori titolari e gli arbitri entrano in campo è quella ormai classica delle competizioni europee: musica enfatizzante, bambini accompagnatori, bandierone della competizione in mezzo al campo. La Muttenzer non propone spettacoli particolari, ma accoglie l’evento con una buona sciarpata e le tante bandiere agitate al vento. Sul lato polacco, invece, nessuna nota di colore al di fuori delle tantissime maglie del club: spiccano comunque l’uso di un tamburo e il megafonista posto nell’anello inferiore. I primi cori sono ormai parte del repertorio standard del Paese dove ha avuto inizio la Seconda Guerra Mondiale: settore intero a cantare, battimani in perfetta sincronia, tono assai baritonale e poco melodico.

Iniziato il match, prima gli steward che fanno a gara a limitare la mia libertà di movimento e quella di Simone, poi l’atteggiamento in stile teatro del pubblico presente mi provocano una sorta di malessere nervoso: poca partecipazione popolare, brusio fitto e rilassato di sottofondo non mi sembrano consoni alle aspettative. La curva di casa canta e tiene bene e a lungo i propri cori; tuttavia la mia impressione è che manchi mordente e convinzione, il tutto accentuato dall’appena accennato atteggiamento passivo del pubblico. Stesso copione nel settore ospiti: a parte qualche pausa, il compito viene svolto, sempre con l’idea che manchi la giusta spinta per il decollo. Finisce un primo tempo senza infamia, senza lode, e senza reti: le squadre infatti non hanno fatto davvero nulla per portare un barlume di fomento al St. Jakob.

Dopo una pausa rigeneratrice, torniamo in pista noi, tornano in campo le squadre, ripartono le tifoserie. Intanto cambia subito il volto del match: il Lech Poznan, perso per perso, attacca con maggior convinzione; le occasioni da rete sbagliate, però, sono sintomatiche del livello non ancora eccelso del calcio polacco. Il Basilea è sornione ma quando riparte rischia di fare del male. Tutto ciò infiamma il pubblico e le curve. Sia i Basilesi, sia, soprattutto, gli apparentemente flemmatici polacchi alzano i propri decibel. La contesa diventa divertente per noi tanto per il pubblico assiepato sugli spalti. Finalmente si torna al pari delle aspettative. Da segnalare qualche torcia sparuta accesa nella curva di casa.

Stiamo già per smantellare corpo macchina e obiettivo quando, proprio nel finale, tale Bjarnason, islandese transitato per Pescara, sigla di testa l’unica e decisiva rete del match. Se la segnatura dà vita ad un’esultanza tutto sommato compassata, il giocatore arrivato dalla terra dei geyser diventa l’idolo delle folle e viene acclamato a partita conclusa. Potere del calcio. Il Basilea passa, come da previsione, e può giocarsi le sue chances per entrare nella fase a gironi di Champions League nel doppio confronto con il Maccabi Tel Aviv.

Poi io e Simone usciamo dall’impianto, e quanto successo è storia raccontata all’inizio di questo articolo. La stanchezza del ritorno viene ben compensata da una giornata passata in allegria, un’estensione gradita delle nostre vacanze arricchita da ciò che più ci piace.

Testo Stefano Severi

Foto e video Simone Meloni